Sezione ideologica del CC del Partito Comunista del Messico (PCM)
In memoria di Vladimir Ilich Lenin
traduzione di Giaime Ugliano
Quando nel febbraio del 2022 la Federazione Russa è intervenuta militarmente in Ucraina, le diverse posizioni espresse dai partiti comunisti hanno confermato la crisi ideologica, politica e strategica del movimento comunista internazionale; non si tratta di una diversità di approcci, di una pluralità, ma di una questione di principi, in cui non è ammissibile una doppia interpretazione: o si marcia sotto la bandiera dell’internazionalismo proletario, o si imbocca la china funesta che la Seconda Internazionale a suo tempo seguì, decomponendosi, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
La realtà, tutto ciò che è materiale, è conoscibile con l’approccio scientifico del marxismo-leninismo, e naturalmente anche i processi sociali, lo sviluppo sociale; se si parte da un punto di vista di classe, non si può arrivare a due conclusioni diverse o opposte, a meno che l’approccio non sia classista, a meno che non si dica solo formalmente di partire dalla nostra teoria ma in realtà non lo si faccia, oppure perché alcuni dei suoi elementi sono stati diluiti e altri sono stati offuscati dal revisionismo o dal dogmatismo, dal soggettivismo o dall’eclettismo: è il caso, ad esempio, della teoria leninista dell’imperialismo e anche della questione delle guerre.
È necessario evidenziare alcuni elementi essenziali, senza voler fare alcuna analogia, della situazione all’interno della Seconda Internazionale di fronte alla guerra imperialista scoppiata nel 1914.
Nel preludio alla prima guerra imperialista, la socialdemocrazia ratificò la sua posizione internazionalista, avvertendo che il suo inizio sarebbe stato anche una base per esplosioni rivoluzionarie, come nel caso della guerra franco-tedesca con la Comune e della guerra russo-giapponese con la Rivoluzione del 1905. Il Manifesto di Basilea spiega molto chiaramente che “i lavoratori considerano un crimine spararsi addosso a beneficio dei capitalisti”, invitando a opporsi al militarismo e ad agire efficacemente. Ma allo scoppio della guerra tutto fu tradito, e la socialdemocrazia tedesca votò per i crediti di guerra, con la giustificazione che il 30% dell’esercito tedesco simpatizzava per il socialismo, oppure altre argomentazioni, alcune molto strane come quello di Adler e degli austriaci, ma in senso generale, la Seconda Internazionale fallì sostituendo il marxismo con il socialsciovinismo. Tale sostituzione, improvvisa e intempestiva come tutti i cambiamenti qualitativi – ma non imprevedibile – fu il risultato di una graduale decomposizione ad opera del lavoro coerente del revisionismo e del riformismo che minò le posizioni politiche rivoluzionarie dei partiti operai, e che impedì loro anche di comprendere il passaggio dal libero scambio al monopolio all’interno del modo di produzione capitalistico. Si può notare nel dibattito sull’imperialismo la grande differenza, ad esempio tra Lenin e Kautsky, tra il considerare questa fase, o una fase di decomposizione e un preludio alla rivoluzione socialista, o un fattore progressivo per la pace universale, come si teorizzava dell’“ultraimperialismo”.
In controtendenza, una minoranza all’interno del movimento operaio internazionale seppe adempiere alla propria responsabilità, senza smettere di lottare e di affrontare le vicissitudini quotidiane della lotta di classe, per difendere la teoria marxista contro gli apostati e per svilupparla in modo creativo, in particolare il Partito Bolscevico e Lenin, in tutti gli elementi essenziali e portandola a un punto più alto, e gli spartachisti, che, nonostante i loro onesti sforzi in alcune questioni, esitavano, ma nelle questioni essenziali avevano una posizione corretta. Lo sviluppo teorico dei bolscevichi ha superato con successo la prova della storia, con la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, e purtroppo uno dei difetti della Rivoluzione tedesca del 1919 è stato che il Partito, così come lo concepivano, non aveva le caratteristiche necessarie portarla a termine. Sia i bolscevichi che gli spartachisti, che avevano un buon grado di sviluppo organizzativo e di influenza reale tra il proletariato, non esitarono a collaborare con organizzazioni molto meno sviluppate, che erano a livello di piccoli gruppi, ma che agivano sulla base di principi determinati, in un momento di putrefazione ideologica generalizzata. Alcuni di quei gruppi che a Zimmerwald e Kienthal1 sostenevano gli internazionalisti e Lenin, e che contribuirono a gettare le basi della Terza Internazionale, divennero in seguito partiti, mentre altri non riuscirono mai ad abbandonare la loro cultura di piccolo gruppo, come nel caso di quello a cui parteciparono Gorter e Panekoek, ma nel momento critico si posizionarono correttamente. Ora che possiamo comprendere il fallimento di alcuni partiti comunisti che prima sembravano andare nella giusta direzione, che virando bruscamente verso il campo dell’opportunismo, fanno emergere al loro interno correnti decise a non rinunciare alle posizioni rivoluzionarie o all’internazionalismo proletario, è necessario tenere presente il criterio che l’atteggiamento verso la guerra imperialista nei momenti di confusione è il termine di paragone.
Non è un fatto secondario che questo periodo di crisi e di fallimento del movimento operaio sia anche un periodo di vitale sviluppo teorico e strategico del marxismo, il crogiolo del marxismo-leninismo: nell’economia, nello Stato e negli obiettivi programmatici, che hanno aperto la strada all’epoca storica della transizione dal capitalismo al socialismo.
Mettere a fuoco la natura di classe della guerra, allora come oggi, è il crocevia di diversi percorsi, non di diversi percorsi verso lo stesso obiettivo, ma di un diverso posizionamento nella lotta di classe, o con la classe operaia e i suoi interessi immediati e storici o con il dominio di classe del regime di sfruttamento. E su questo punto gli sforzi teorici dei marxisti rivoluzionari hanno permesso le seguenti conclusioni: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, la guerra è il risultato di scontri e antagonismi inconciliabili tra i diversi Paesi capitalisti, e finché esisterà il capitalismo le guerre saranno inevitabili, quindi un obiettivo è quello di mantenere una costante denuncia e lotta contro il militarismo e l’altro è di mantenerla contro un pacifismo utopico e sterile che pensa che la guerra possa essere evitata senza il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo. Per un certo periodo, mentre nell’attuale modo di produzione – l’ultimo in cui ci sarà una classe sfruttatrice – il processo di concentrazione e centralizzazione non aveva ancora soppiantato il libero scambio, alcune guerre potevano essere giuste, ma dalla fine del XIX secolo e dall’inizio del XX secolo, come disse Lenin, le guerre erano imperialiste da entrambe le parti.
Nel 1914 né in Russia, né in Austria-Ungheria, né in Francia, né in Inghilterra c’era una parte giusta, non era una guerra giusta da nessuna parte, e quindi, con Lenin alla testa, i rivoluzionari internazionalisti hanno indicato come loro compito quello di non mettersi sotto la bandiera di qualcun altro, ma di sostenere l’indipendenza di classe.
Oggi alcuni sostengono che la guerra non è imperialista da entrambe le parti, ma che c’è una parte giusta, nonostante il riconoscimento che i Paesi coinvolti sono capitalisti e che il capitalismo è nella sua fase più alta, l’imperialismo.
Ad esempio, si sostiene che la Russia ha il diritto di difendere la propria sovranità, o che si tratta di una guerra antifascista: falsità! Quanto triste è la posizione di alcuni PC e di gruppi provocatori come la Piattaforma Mondiale Antimperialista, nata con il compito specifico di attaccare i partiti comunisti rivoluzionari.
Sulla natura della guerra in Ucraina
Per i rivoluzionari, lo scoppio della guerra ha riportato all’ordine del giorno le discussioni sul grado di sviluppo del capitalismo e sul significato dell’imperialismo, sulla strategia e sulla tattica, sul ruolo dei comunisti e sui compiti del periodo. Ma per affrontare questa discussione, è necessario caratterizzare la natura della guerra in Ucraina e il suo significato.
La guerra imperialista che si sta combattendo in Ucraina ha le sue radici nel trionfo della controrivoluzione nell’URSS e nella restaurazione del capitalismo. In questa regione gli scontri inter-imperialisti si sono acuiti rapidamente e hanno avuto i loro momenti centrali: la decisione di rafforzare i legami economici con la Russia a scapito degli Stati Uniti e dell’UE e il successivo intervento del blocco USA-UE nel 2014 con l’insediamento di un governo favorevole ai suoi interessi; la risposta della Russia con l’annessione della penisola di Crimea e nel 2022 con l’inizio formale della guerra.
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha segnato l’inizio di una nuova fase della disputa inter-imperialista, in cui ogni parte è disposta a sacrificare interi popoli per assicurarsi la massima quota di profitto, e in cui si agita l’ombra dell’uso di armi nucleari, e i rappresentanti della borghesia di entrambe le parti parlano apertamente dei necessari preparativi per la guerra generale. Al centro della questione della guerra ci sono gli antagonismi dei poli imperialisti e in particolare quello tra Cina e Stati Uniti e, in modo derivato, lo scontro tra Russia e Unione Europea.
Per Lenin, l’imperialismo è la fase suprema dello sviluppo del capitalismo, una fase caratterizzata dal processo di concentrazione e centralizzazione economica, dalla fase di dominio dei monopoli e dalla fine della libera concorrenza caratteristica del periodo precedente, una fase in cui non solo l’esportazione di merci ma anche l’esportazione di capitale giocano un ruolo centrale. Nell’analisi di Lenin questa fase non può essere valutata solo come lo sviluppo unilaterale di alcuni Paesi, ma deve essere esaminata nel suo complesso come una fase raggiunta dal capitalismo, in cui tutti i Paesi sono legati tra loro dalla legge dello sviluppo ineguale. Lenin osservò lo sviluppo di questo fenomeno alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, nel momento in cui alcuni Paesi iniziarono a raggiungere la fase imperialista e questo fatto iniziò a collegare tra loro le relazioni capitalistiche in un sistema complessivo. Lenin ha sottolineato il problema dei Paesi dipendenti, coloniali e semicoloniali, ma lo sviluppo delle forze produttive e la lotta di classe (in cui l’URSS e i comunisti hanno svolto un ruolo decisivo) hanno cambiato questo mondo. Paesi che all’inizio del XX secolo avevano un basso sviluppo delle forze produttive (come il Brasile, il Messico o l’Australia) o erano soggetti al giogo coloniale o semicoloniale (come i Paesi del Sud-Est asiatico) hanno ora subito un processo di sviluppo accelerato e sono inseriti in complessi legami di interdipendenza. In molti di questi Paesi, la storia mostra la nascita della borghesia e il suo sviluppo con mezzi pacifici e violenti che l’hanno portata a occupare posizioni importanti.
È necessario prendere le distanze da analisi che trattano l’imperialismo in modo riduzionista, considerandolo non una fase dello sviluppo generale del capitalismo, ma una fase dello sviluppo di alcuni paesi, o una serie di politiche estere aggressive che portano a identificare la lotta antimperialista solo con la lotta contro alcune manifestazioni di alcuni paesi capitalisti, una visione che in molte occasioni riduce la lotta contro l’imperialismo alla sola lotta contro l’imperialismo statunitense. Con questa concezione alcuni gruppi di comunisti hanno aperto la porta ad alleanze senza principi e ad essere lasciati a rimorchio del polo borghese opposto agli USA, senza far avanzare di un centimetro la rivoluzione socialista.
La conseguente lotta antimperialista è la lotta contro i monopoli, la lotta contro la borghesia in ogni paese. In un momento di guerra imperialista, l’unico rivoluzionario conseguente è quello che agisce per il rovesciamento della borghesia, come ha sottolineato Lenin: “la lotta contro il governo che conduce la guerra imperialista non deve arrestarsi dinanzi alla possibilità della sconfitta del proprio paese, come risultato di questa agitazione rivoluzionaria.” (La conferenza delle sezioni estere del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, 1915).
Dopo aver sottolineato il problema della caratterizzazione dello stadio di sviluppo capitalistico, esaminiamo la questione della guerra in Ucraina.
Con il trionfo della controrivoluzione nell’URSS, le relazioni capitalistiche si sono sviluppate rapidamente sia in Russia che in Ucraina, innestandosi sulle conquiste tecniche e sulla capacità produttiva dell’industria socialista, la proprietà sociale è passata a mani private che hanno rapidamente concentrato la ricchezza dando vita a monopoli che controllano interi settori dell’economia e, nel complesso, hanno nello Stato il loro rappresentante. La classe operaia russa e ucraina è stata duramente colpita dallo smantellamento del socialismo e dalla restaurazione del capitalismo, dalla perdita di conquiste sociali quali: sanità e istruzione gratuite, alloggi, giornata lavorativa di 8 ore, pensione garantita per tutti i lavoratori, eliminazione della disoccupazione, sicurezza sociale, passi importanti per l’abolizione della disuguaglianza delle donne, l’elezione diretta dei rappresentanti a partire dai luoghi di lavoro e il diritto di revocarli; inoltre sono ricomparsi fenomeni che erano stati eradicati, come la formazione di un esercito industriale di riserva, la ricomparsa di flagelli come la miseria, la recrudescenza dello sfruttamento, ecc. Il ristabilimento del capitalismo significò anche la divisione e lo scontro tra il popolo russo e quello ucraino, popoli che avevano vissuto insieme per decenni, costruendo una società socialista, e che avevano combattuto insieme nella Seconda Guerra Mondiale contro il fascismo. Allo stesso tempo, è stata attuata un’operazione sistematica per screditare le conquiste del socialismo.
Nel processo di restaurazione del capitalismo, sia la Russia che gli altri Paesi che componevano l’URSS si sono integrati nel sistema imperialista, ma in posizioni diverse a causa della legge dello sviluppo ineguale.
Contemporaneamente all’affermazione della nascente borghesia russa e ucraina, i monopoli degli Stati Uniti e dell’Unione Europea hanno rivendicato la loro parte di bottino. Sono state create alleanze politiche, diplomatiche, militari ed economiche, diversi Paesi sono entrati a far parte dell’Unione Europea e della NATO (Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca nel 1999; Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania nel 2004) andando a costituire un nuovo polo imperialista.
I capitalisti russi hanno dovuto cedere posizioni perché non avevano un equilibrio di forze favorevole sul terreno internazionale. Ma a poco a poco la Russia – ora con il pieno dominio delle relazioni capitalistiche – è riuscita a ritagliarsi uno spazio all’interno della contesa capitalistica, i suoi monopoli e in particolare quelli dedicati all’energia hanno guadagnato forza e posizioni all’interno dei mercati dell’UE, mentre militarmente ha avviato una serie di campagne come quelle in Georgia, in Abkhazia e nell’Ossezia del Sud (1992-94 e 2008); gli interventi in Siria e in Medio Oriente; la repressione delle manifestazioni operaie in Kazakistan guidata dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, che ha riunito truppe di Russia, Bielorussia, Armenia, Tagikistan e Kirghizistan; e il caso dell’Ucraina dal 2014. Oggi la Russia ha un alto livello di sviluppo, essendo l’undicesima economia in base al PIL nominale e con potenti monopoli come Gazprom.
Allo stesso tempo, emergono nuovi concorrenti capitalisti che iniziano a contendersi il controllo dei mercati, delle materie prime, dei nodi di trasporto e del commercio. In particolare, nell’ultimo decennio la Cina è diventata la seconda economia, scalzando Paesi come Francia, Germania e Giappone e con l’oggettiva tendenza a scalzare gli Stati Uniti dalla posizione di leader del sistema imperialista. La Cina è il principale partecipante ai BRICS e promuove progetti come la Nuova Via della Seta. È chiaro che Stati Uniti e Cina sono in competizione per la supremazia, in scontri che si esprimono su vari fronti, che a volte degenerano in guerre commerciali, istituzione di dazi, divieto di utilizzo di determinate tecnologie, rottura e formazione di nuovi accordi, escalation militari, ecc.
Per la borghesia russa è stato conveniente stabilire alleanze con il capitale cinese e con le economie capitalistiche emergenti raggruppate nei BRICS, nonché con altre alleanze regionali come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che si sono espresse in dichiarazioni magniloquenti come quella emersa dall’incontro ufficiale dei leader di Russia e Cina nell’ambito delle Olimpiadi invernali del 2022, in cui hanno proclamato che l’amicizia e la cooperazione tra i due non hanno limiti o zone proibite.
Dopo la crisi del 2009, il capitalismo ha cercato di far ricadere il suo peso sulle spalle della classe operaia a livello internazionale, nei paesi sviluppati ci sono stati anni di aggiustamenti di bilancio e di politiche apertamente antioperaie, allo stesso tempo i capitalisti hanno cercato di alleviare la crisi cercando di controllare nuovi mercati, risorse, snodi logistici, ecc., tuttavia, a differenza del XIX secolo, non esistono terre vergini in cui il capitalismo possa annidarsi; ciò ha condizionato un rapido sviluppo dei conflitti tra i diversi poli imperialisti, che si sono espressi con guerre commerciali, sforzi diplomatici, sanzioni economiche e lo scoppio di guerre.
In Ucraina, dal trionfo della controrivoluzione nell’URSS, si è assistito a uno sviluppo capitalistico segnato dall’interdipendenza asimmetrica con la Russia e dalla contesa dei mercati, delle risorse naturali, ecc. da parte delle borghesie dell’UE e degli USA. Questa disputa spiega gli sconvolgimenti politici degli ultimi decenni.
In Ucraina, nei primi anni del XXI secolo, è stata sviluppata una politica che ha cercato di garantire il massimo profitto, sono stati raggiunti accordi con la Russia, l’Europa e gli Stati Uniti, tuttavia, mentre si sviluppavano le contraddizioni tra i due blocchi, che non potevano essere mantenute all’infinito, nel secondo decennio l’Ucraina si è trovata nel dilemma di scegliere tra un accordo di associazione con l’UE o uno nel quadro dell’Unione Doganale Eurasiatica, promossa dalla Russia.
Nel 2010 è salito al potere Viktor Yanukovych, un politico sostenuto dalla borghesia con tendenze filorusse, con l’arrivo del quale si è intensificata la lotta delle diverse tendenze della borghesia in Ucraina. Nel 2014, il governo di Yanukovych ha fatto passi indietro nell’attuazione dell’accordo con l’Unione Europea e ha proceduto a rafforzare i legami con la Russia. Una parte della borghesia, con il sostegno attivo degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ha inscenato un colpo di Stato, ribaltando i piani di approfondimento dell’integrazione economica tra Russia e Ucraina; in queste manovre ha utilizzato gruppi nazionalisti e filofascisti e ha dato libero sfogo alla repressione contro qualsiasi espressione comunista. La Russia ha risposto rapidamente dichiarando l’annessione della penisola di Crimea. Nello stesso momento in cui entrambe le parti hanno iniziato le operazioni per mantenere il controllo dell’Ucraina orientale, la Russia ha riconosciuto le cosiddette “Repubbliche popolari” di Donetsk e Luhansk nella regione del Donbass e con il pretesto dell’autodifesa e della lotta contro il fascismo, sono stati compiuti altrettanti passi verso la guerra, una guerra che infine è iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 22 febbraio 2022.
La guerra in Ucraina fa parte dell’escalation generale degli scontri tra i poli imperialisti, che si stanno dirigendo verso guerre di dimensioni sempre maggiori.
Il ruolo dei comunisti contro la guerra imperialista
Dopo la controrivoluzione in URSS e negli altri Paesi socialisti, le forze dei monopoli si sono scatenate nella loro spietata competizione per il controllo dei mercati e delle risorse mondiali. Negli anni ’90, gli Stati Uniti e le potenze europee approfittarono della situazione per espandere la loro influenza economica e militare nel mondo, ora che l’argine socialista era scomparso. La prima guerra del Golfo e le guerre nell’ex Jugoslavia sono i casi più emblematici di quel periodo. Per un certo tempo, gli Stati Uniti hanno approfittato della loro supremazia nell’economia mondiale e della temporanea fine del socialismo per espandere il loro intervento in tutto il mondo. Non lo hanno fatto senza contraddizioni, anche da parte dei propri alleati euro-atlantici.
Dopo diversi decenni di degenerazione ideologica all’interno del movimento comunista internazionale, lo shock generato dal temporaneo arretramento del socialismo in Europa orientale e nell’URSS ha portato a una grave confusione in molti partiti comunisti. Vecchie ed errate posizioni sull’imperialismo sono penetrate nel movimento comunista internazionale, come ad esempio l’eliminazione dell’essenza economica e storica dell’imperialismo, come fase più alta e finale del capitalismo, e la considerazione unilaterale dei suoi effetti politico-militari, come il carattere aggressivo ed espansionistico di alcune potenze. In questo modo, l’imperialismo è diventato sinonimo di Stati Uniti, e semmai è stato riconosciuto il ruolo di alcune potenze europee, a livello di alleati subordinati. Le posizioni di Kautsky, confutate da Lenin e dall’Internazionale Comunista, sono riemerse all’interno del movimento operaio.
Tuttavia, la borghesia e i monopoli che hanno trionfato nella controrivoluzione in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche si sono gradualmente rafforzati, approfittando del grande sviluppo delle forze produttive avvenuto sotto il socialismo. Inizialmente, la loro rappresentanza statale si limitava a difendere il proprio controllo nella sfera delle ex repubbliche sovietiche, come nelle guerre cecene o nell’intervento nei conflitti in Abkhazia, Ossezia e Transnistria. Tuttavia, dopo 20 anni di rafforzamento, la Russia capitalista ha iniziato a dispiegare un intervento militare internazionale più consistente, prima nella guerra in Siria, poi in Ucraina, così come in Africa con il gruppo mercenario Wagner.
Nel caso della Cina, i rapporti di produzione capitalistici che stavano avanzando sin dagli anni ’70 hanno avuto un forte impulso all’inizio del XXI secolo, in particolare con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La Cina, che nel 1990 era solo l’undicesima economia mondiale in termini di PIL, a partire dal 2010 è entrata nella contesa per la supremazia nel sistema mondiale. Questo sviluppo accelerato del capitale è stato accompagnato da un rafforzamento della borghesia cinese all’interno del PCC e dalla necessità per i monopoli cinesi di competere per il controllo di rotte, risorse e mercati nel mondo. La Via della Seta è un chiaro esempio di questa necessità. In misura minore, altri Paesi che nel secolo precedente avevano avuto un minore sviluppo capitalistico, con un’economia prevalentemente agricola, sono rapidamente decollati nel giro di 30 anni, seguendo la legge dello sviluppo ineguale scoperta da Lenin. Paesi come l’India, il Brasile, il Messico e la Turchia hanno addirittura superato gli ex Paesi coloniali e hanno formato forti monopoli in grado di difendere i propri interessi economici, almeno nel contesto regionale.
Queste trasformazioni del contesto internazionale degli ultimi 30 anni non sono altro che la forma concreta in cui si manifesta lo sviluppo dell’attuale capitalismo nella sua fase monopolistica, cioè l’imperialismo. Questo sviluppo è alla base di tutti gli attuali conflitti militari e della sempre più latente guerra imperialista tra Stati Uniti e Cina per la supremazia mondiale. Di fronte a questo scenario, un compito essenziale dei comunisti è la lotta implacabile contro tutte le posizioni politiche e ideologiche che cercano di portare la classe operaia e i popoli del mondo a servire da carne da macello per le guerre imperialiste attuali e future. Il compito principale sul piano ideologico è quello di spiegare ai lavoratori che l’origine dei conflitti diplomatici, delle scaramucce militari e delle guerre imperialiste in ultima istanza deriva da una causa comune: la competizione tra i monopoli e i loro rappresentanti statali per il controllo delle rotte commerciali, delle risorse, dei mercati e degli investimenti.
Ciò significa affrontare una lotta contro coloro che cercano di creare l’illusione di un capitalismo monopolistico senza guerre, di una pace duratura sotto l’imperialismo. Queste posizioni sono difese sia dagli attori politici degli Stati Uniti che dalle potenze europee, con la possibilità di una “Unione Europea per la pace” o di una “NATO senza piani militari o sistemi offensivi”. Ma anche da coloro che difendono l’illusione di un “mondo multipolare” pacifico sotto il capitalismo. Queste idee sono molto perniciose perché sotto la promessa di una futura pace imperialista, si nasconde la necessità di posizionarsi apertamente a favore della strategia militare di questo o quel blocco imperialista.
L’esempio dell’attuale guerra in Ucraina dimostra che la pace sotto l’imperialismo non è altro che la fase di preparazione per una guerra più ampia e sanguinosa. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata una nuova fase della guerra interna iniziata nel 2014. Le dichiarazioni di Zelensky e della Merkel hanno dimostrato che non c’era alcuna reale intenzione da parte della NATO o dell’Ucraina di attuare le misure degli accordi di Minsk. Si trattava solo di una tregua per migliorare il loro equilibrio di forze, riarmare e addestrare l’esercito ucraino e assimilare le bande fasciste, come quella di Azov. Da parte sua, anche la Federazione Russa, come ha confessato Surkov, ex consigliere del Presidente russo, non credeva nella stabilità degli accordi di Minsk. Infatti, ha usato quel periodo per eliminare gli elementi indipendenti nei gruppi di autodifesa del Donbass e assimilare la leadership militare e amministrativa delle “Repubbliche popolari”, in un’alleanza con la borghesia regionale. Come ci ha avvertito il comandante Ernesto Che Guevara nel 1961, “non possiamo fidarci dell’imperialismo, nemmeno un po’, per niente”. Questo vale non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti i Paesi in cui regna il potere dei monopoli, perché la bestialità imperialista “non ha un certo confine, né appartiene a un certo Paese (…) perché è la natura dell’imperialismo che rende gli uomini bestie, che li trasforma in bestie assetate di sangue”.
All’interno di questa lotta si colloca la lotta frontale contro le manifestazioni ideologiche dell’imperialismo, come il terrorismo, il razzismo, il nazionalismo o il cosmopolitismo della borghesia che cerca di dividere la classe operaia e di metterla l’una contro l’altra. Di fronte a ciò, bisogna dimostrare ai lavoratori che i loro unici alleati naturali sono i lavoratori e i popoli di altre nazioni.
Sul piano politico, uno dei compiti principali per cui i comunisti devono lottare è il ritiro del proprio Paese da unioni, blocchi e trattati imperialisti, che siano economici, politici o militari. Queste unioni imperialiste aumentano la forza dei monopoli, sia nel sottomettere i rispettivi lavoratori e settori popolari, sia nel combattere con il resto dei blocchi imperialisti: rendono più difficile la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e, in ultima analisi, la lotta per la rivoluzione socialista. Inoltre, diventano una calamita per possibili attacchi in eventuali future guerre imperialiste. Nel caso del nostro Paese, il Partito Comunista del Messico ha tra i suoi principali obiettivi strategici l’uscita del Messico dall’USMCA, ex NAFTA. Inoltre, ci opponiamo ai tentativi della borghesia messicana e dei suoi governi di inviare personale militare messicano in conflitti militari esterni.
A questo punto si pone una questione importante nel movimento comunista internazionale: la partecipazione dei comunisti ai governi borghesi. L’attuale esperienza della guerra in Ucraina è un chiaro esempio di quanto siano sbagliate queste posizioni. Alcuni partiti difendono la partecipazione a questi governi con l’idea che in questo modo saranno in grado di spingere i governi verso posizioni favorevoli alla classe operaia e ai settori popolari. Ma in realtà si rivela il contrario, diventando complici delle politiche antioperaie e antipopolari che queste dirigenze devono necessariamente attuare di fronte alla crisi capitalistica. Lo Stato borghese, in quanto amministratore collettivo degli interessi della classe dominante, esercita la sua diplomazia e la sua politica internazionale in base alle esigenze oggettive dei suoi monopoli. È per questo che governi socialdemocratici come quelli del Portogallo, Spagna o Cile finanziano o inviano armi al governo reazionario di Zelensky, a dispetto di qualsiasi fraseologia. Ecco perché il governo messicano di López Obrador sta rafforzando le sue relazioni con gli Stati Uniti e il Canada e si assicura che il Messico si posizionerà a favore degli Stati Uniti nella competizione commerciale con la Cina, nonostante alcuni ammiccamenti demagogici che talvolta fa. Ecco perché noi comunisti dobbiamo opporci a tutte le amministrazioni borghesi, siano esse reazionarie, liberali o socialdemocratiche. Sostenere o partecipare a questi governi ha dimostrato nella pratica che non rafforza il movimento operaio e popolare, al contrario lo smobilita e lo lascia inerte di fronte all’ideologia borghese.
Un compito immediato nel contesto di guerre aperte, come quella ucraina, è quello di lottare contro l’invio di materiale bellico e di sostegno finanziario a entrambe le parti. Non permettere che la terra, il mare o l’aria del Paese servano da fulcro per le guerre imperialiste, il che include la lotta per la chiusura di tutte le basi militari straniere. Si tratta di una questione importante per il contesto latinoamericano, vista la grande presenza di basi statunitensi, in particolare in Colombia. Ma questo deve estendersi anche alla presenza di agenti e agenzie di polizia e di intelligence, come nel caso del Messico, dove la DEA, la CIA e l’FBI hanno una storia di impunità all’interno del Paese, svolgendo attività di controinsurrezione e persino alleandosi con i cartelli della droga.
Infine, un compito primario dei comunisti è la solidarietà con la lotta dei popoli. L’internazionalismo proletario in tutte le sue manifestazioni è un elemento cruciale nella lotta contro le guerre imperialiste. Di fronte a questo compito, dobbiamo sempre stare in guardia contro i modi sottili in cui l’ideologia borghese cerca di infiltrarsi, ad esempio, nel caso della Palestina, attraverso la categoria del terrorismo, cercando di criminalizzare e negare de facto il diritto del popolo palestinese di utilizzare tutte le forme e i metodi di lotta per la propria liberazione contro l’occupante.
Ma indubbiamente, come durante la prima grande guerra imperialista, e come hanno sottolineato le due dichiarazioni congiunte sulla questione della guerra imperialista in Ucraina, l’aspetto centrale è quello di garantire l’indipendenza politica dei partiti comunisti, sia dai due gruppi imperialisti in lotta, sia dall’assurda posizione di ritenere che questa guerra abbia un lato giusto. È imperialista da entrambe le parti e quindi non possiamo alzare queste bandiere a noi aliene.
1 – “Le conferenze di Zimmerwald e Kienthal ebbero la loro importanza in un momento in cui era necessario unire tutti gli elementi proletari disposti a protestare, in un modo o nell’altro, contro il massacro imperialista. Ma il gruppo di Zimmerwald era costituito, accanto a elementi genuinamente comunisti, anche da elementi “centristi”, pacifisti e vacillanti.” Così recita la Dichiarazione dei partecipanti alla Conferenza di Zimmerwald al Congresso dell’Internazionale Comunista, firmata tra gli altri da Lenin.
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