Ainur Kurmanov, co-presidente del Movimento Socialista del Kazakistan (SMK)
traduzione di Giaime Ugliano
Dopo la restaurazione del capitalismo e dopo i processi controrivoluzionari, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale si sono trasformate in tipici Stati borghesi con regimi dittatoriali. I governi locali hanno perseguito e perseguono una rigorosa politica antisociale di trasformazione orientata al mercato e di privatizzazione nell’interesse delle imprese locali e multinazionali.
Allo stesso tempo, sono in corso guerre commerciali e nella logistica tra i Paesi, crescono le contraddizioni e i conflitti per le risorse limitate; le giovani generazioni, in una situazione di catastrofe sociale e di degrado culturale ed educativo, sono avvelenate da una retorica nazionalista e sciovinista, che crea un nuovo focolaio di tensione generalizzato nello spazio post-sovietico.
A ciò si sovrappone l’influenza delle multinazionali straniere che si sono impadronite dei giacimenti più allettanti, nonché la lotta delle principali potenze imperialiste per la ridistribuzione delle sfere di influenza, delle materie prime e dei mercati di vendita, per i corridoi di trasporto nella regione. Questa situazione porta inevitabilmente a scontri e conflitti.
In questo articolo vogliamo fornire una breve analisi di questi processi e la nostra valutazione delle forze coinvolte nella lotta per la regione. Dalle conclusioni che ne trarremo in futuro, sarà possibile costruire una prospettiva di classe del movimento dei lavoratori e delle masse per la loro liberazione.
L’Asia centrale nell’era della controrivoluzione e della decomunistizzazione
La sconfitta del socialismo e il crollo dell’URSS si sono trasformati in una regressione e una vera e propria catastrofe sociale per le cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Ma le specificità di questa regione risiedono anche nel fatto che la restaurazione del capitalismo, se possiamo usare questo termine per una regione dove in realtà prima non c’era il capitalismo, è stata portata avanti dall’élite del partito al potere dall’alto, che si è trasformata in classe borghese.
In Kazakistan, l’ex primo segretario del PC Nursultan Nazarbayev, in Turkmenistan – l’ex primo segretario del PC Saparmurad Niyazov, in Uzbekistan – l’ex primo segretario del PC Islam Karimov hanno guidato il processo di smantellamento dell’economia pianificata e hanno perseguito una politica di privatizzazioni e l’introduzione di riforme di mercato.
Fa eccezione il Kirghizistan, dove i presidenti non sono arrivati al potere tra gli ex leader del partito, ma dove gli ex quadri del partito hanno svolto un ruolo di primo piano nelle trasformazioni del mercato. In Tagikistan, a seguito della guerra civile del 1992-1994, uno degli ex membri del partito e presidente di una fattoria collettiva, Emomali Rakhmonov, è salito al potere con il sostegno dell’attuale Partito Comunista, e in seguito è diventato, come Nazarbayev, Karimov e Niyazov, il leader permanente della repubblica e ha anche guidato il processo di instaurazione del capitalismo.
A seguito della controrivoluzione, gli Stati dell’Asia centrale si sono trovati sotto il controllo di clan borghesi locali e di cricche familiari, incapaci di mantenerli vitali e sulla strada dello sviluppo, o di creare condizioni in cui innumerevoli gruppi etnici possano vivere in armonia tra loro.
In realtà, questo non significa che non possa più esistere un capitalismo “progressivo” e “democratico”. È solo che il capitalismo che si è potuto instaurare in queste repubbliche ha potuto avere solo questa forma con l’instaurazione di dittature reazionarie borghesi-nazionaliste.
Invece di utilizzare le risorse naturali della regione per sviluppare l’economia e le infrastrutture sociali, le élite al potere le stanno attivamente saccheggiando con la partecipazione di compagnie minerarie americane, europee, britanniche e cinesi, che hanno di fatto iniziato a dividere la regione in sfere di influenza. In questo senso, l’Asia Centrale è sottoposta alla pressione di diversi attori imperialisti che sono impegnati in una feroce lotta tra loro per l’influenza e per il diritto di utilizzare le risorse locali.
Per mantenere il potere, le classi dirigenti delle nuove formazioni statali utilizzano i metodi dello Stato di polizia e nel caso del Turkmenistan, del Tagikistan e dell’Uzbekistan, in generale, possiamo parlare di una feroce dittatura.
I partiti dell’opposizione borghese, laddove esistono, non solo non sono in grado di offrire alla regione una via d’uscita dalla catastrofe economica, ma si battono per i diritti democratici solo quando i loro diritti sono stati violati. Come dimostrano gli eventi in Kirghizistan, i vari gruppi dell’élite borghese possono, quando gli fa comodo, vestire i panni dei combattenti per i diritti democratici, mentre altre volte sono capaci di usare le differenze nazionali ed etniche per dividere i lavoratori nella lotta per la ridistribuzione del potere e della proprietà.
I confini amministrativi formali che dividevano la Valle di Ferghana in epoca sovietica sono ora diventati reali e i vari regimi li tengono chiusi con ogni sorta di pretesto. C’è la prospettiva terrificante (anche se non immediata) che Ferghana si trasformi in un nuovo Kashmir, fatto a pezzi, occupato da una repubblica o dall’altra, con l’aiuto di un muro indissolubile tra di loro. Un esempio vivido è il sanguinoso pogrom della diaspora uzbeka nella città kirghisa di Osh nel 2010.
Ogni anno si verificano tensioni tra gli Stati per l’assegnazione delle risorse idriche e tra Tagikistan e Kirghizistan scoppiano continuamente conflitti di confine. Per 33 anni, dopo il crollo dell’URSS, i leader delle repubbliche indipendenti della regione non sono riusciti a trovare un accordo sull’uso comune delle risorse idriche, terrestri ed energetiche, il che, in una situazione di desertificazione e crescita demografica, porta a inevitabili contraddizioni interetniche e interstatali.
La regressione ha riguardato non solo il lavoro, ma anche le relazioni familiari, e ha portato al ritorno della posizione subordinata delle donne rispetto agli uomini e delle ragazze rispetto ai genitori. A partire dagli anni ’90, in Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kazakistan si è iniziato a praticare il matrimonio forzato di ragazze e bambine e si è diffuso il rapimento forzato delle spose, che si concludeva con percosse e schiavitù sessuale. La percentuale di donne analfabete è aumentata notevolmente. In Tagikistan, ad esempio, è cresciuta un’intera generazione di ragazze tra i 18 e i 20 anni, tra le quali più del 50% non andava affatto a scuola, ma era impegnata nelle faccende domestiche o nel lavoro nei campi.
La situazione è aggravata dalla crescita dell’oscurantismo religioso, che contribuisce ulteriormente alla schiavitù delle donne nell’Asia centrale ex sovietica. Questo vale soprattutto per il Tagikistan, il Kirghizistan meridionale e alcune regioni dell’Uzbekistan. La poligamia sta diventando un fenomeno quotidiano e in Kazakistan una parte della borghesia ha avviato la pratica di mantenere giovani ragazze e bambine come mogli aggiuntive.
Questi principi selvaggi sono coltivati dall’alto dalla classe dirigente, sono deliberatamente diffusi attraverso la predicazione a livello ufficiale di idee nazional-conservatrici e patriarcali. L’attuale leadership al potere sta anche cercando di isolare i popoli dell’ex Asia centrale sovietica attraverso l’introduzione dell’alfabeto latino nelle lingue nazionali e privando le giovani generazioni dell’accesso al patrimonio culturale, scientifico e letterario sovietico. Tutto ciò è certamente accompagnato da un generale abbassamento del livello di istruzione dei giovani e delle donne.
Il nazionalismo sta diventando anche il principale nucleo ideologico dei moderni Stati dell’Asia Centrale, a cui si aggiunge l’anticomunismo militante, così come l’elogio dei partecipanti al movimento controrivoluzionario Basmach1, dei rappresentanti del partito Alash, che hanno combattuto al fianco dell’Ammiraglio Bianco Kolchak nella Guerra Civile e dei collaborazionisti che hanno affiancato i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Così, nel 2017, le autorità kazake hanno inaugurato nella città di Kyzyl-Orda un monumento all’ispiratore ideologico e organizzatore della Legione del Turkestan della Wehrmacht e delle unità SS musulmane Mustafa Shokay. Strade, centri commerciali, biblioteche gli sono intitolate e gli vengono dedicati dei film. La stampa pubblica sempre più spesso le immagini dei legionari che hanno servito sotto Hitler come “combattenti” contro la “dittatura stalinista”.
In Kirghizistan, alla fine dell’anno scorso, i deputati di tutte le fazioni parlamentari hanno persino presentato una proposta di legge sulla piena riabilitazione di tutte le vittime del dominio sovietico, compresi i legionari della Legione del Turkestan e i soldati delle unità SS musulmane. È da notare che i lobbisti di questa proposta di legge erano l’“Open Government”, creato con la partecipazione dell’agenzia americana USAID, e la famigerata Fondazione Soros. Nel vicino Uzbekistan, nel 2022, tutti i leader di spicco del movimento Basmachi sono stati riabilitati.
Parallelamente, è in corso anche il processo di decomunistizzazione totale. Il partito nazionalista liberale kazako Ak Zhol (Sentiero Luminoso) sta cercando di adottare una legge sull’Holodomor secondo i modelli ucraini, oltre a bandire l’ideologia comunista. Il presidente Qasym-Jomart Toqaev ha formato una commissione speciale per la “riabilitazione”, in seguito alla quale sono stati assolti 311 mila criminali attribuiti alle “vittime del regime bolscevico”, oltre ai Basmachi, ai membri della Legione del Turkestan della Wehrmacht e unità delle SS.
Pertanto, quando si approva l’ideologia nazionalista, è anche molto importante distruggere tutti i monumenti sovietici: sono ancora fresche le impressioni della barbara distruzione di due monumenti al fondatore della RSS kazaka Michail Kalinin. Sempre più spesso assistiamo ad atti di vandalismo contro i monumenti ai soldati dell’Armata Rossa, che non vengono adeguatamente sottoposti a indagine dalla polizia.
L’attuale situazione dell’Asia centrale nel contesto della situazione economica globale significa che la regione continuerà a vivere crisi sociali e politiche e, pur non essendoci una chiara alternativa di classe, queste crisi saranno utilizzate da vari gruppi della classe capitalista dominante per promuovere i propri interessi politici. All’apice delle proteste sociali, presenteranno un programma populista per ingannare la popolazione.
È anche ovvio che gli umori di protesta e il malcontento dei giovani disoccupati vengono reindirizzati dai gruppi borghesi verso gli scontri interetnici e le vessazioni nei confronti delle minoranze nazionali. Nello stesso Kazakistan, molti ricordano ancora i pogrom contro i Dungan e gli Uiguri nel sud della repubblica nel 2020-2021.
Allo stesso tempo, la minaccia di scontri militari diretti tra Stati per le risorse in diminuzione aumenta ogni anno.
Gli scontri tra il Kirghizistan e il Tagikistan
Nei 9 mesi del 2022 si sono verificati 14 conflitti al confine tra Kirghizistan e Tagikistan, durante i quali sono stati attaccati alcuni villaggi kirghisi di confine e le parti si sono sparate addosso con l’artiglieria e gli elicotteri. Ci sono state scaramucce anche nel 2023 e nel 2024. L’ultimo oggetto del contendere era la stazione di distribuzione dell’acqua a Golovoi, insieme alla diga e al ponte associati ad essa.
A sua volta, Dushanbe accusa Bishkek di aver deliberatamente violato gli accordi bilaterali con il Tagikistan. Il comunicato stampa del Comitato di Stato per la Sicurezza Nazionale della Repubblica del Tagikistan indica che, in conformità con le mappe del 1924-1927 e del 1989, “questa struttura (la stazione di distribuzione dell’acqua, ndr) appartiene interamente alla Repubblica del Tagikistan ed è stata utilizzata dal 1968 per l’irrigazione e l’approvvigionamento idrico nelle regioni di confine delle Repubbliche del Tagikistan, del Kirghizistan e dell’Uzbekistan”.
La reazione delle autorità kirghise è stata immediata ed è stata seguita da una dichiarazione di Almazbek Sokeev, direttore del Dipartimento delle Acque della Repubblica kirghisa, che ha affermato che “il distributore d’acqua si trova sul territorio del Kirghizistan e a disposizione di Batken Vodokanal. L’acqua proviene dal fiume Ak-Suu, che viene riempito dai fiumi delle montagne kirghise”.
In effetti, a giudicare dai documenti sovietici d’archivio, il nodo di ingresso dell’acqua del sistema di irrigazione del fiume Isfara è stato costruito nel 1970 sul territorio del distretto di Batken della regione di Osh della RSS kirghisa dal conglomerato Batken Oshvodostroy su incarico del Ministero delle Bonifiche e delle Risorse Idriche della RSS kirghisa. Inoltre, in precedenza non vi erano problemi tra i vicini nell’utilizzo delle risorse idriche del Kirghizistan.
Come si vede, l’attuale conflitto è dovuto alle risorse idriche, che stanno diventando sempre meno e la cui distribuzione effettiva richiede sforzi congiunti, impossibili senza la creazione di strutture sovranazionali e di una gestione generale. In effetti, Dushanbe chiede di dividere il fiume Ak-Suu, cosa impossibile in linea di principio. Ma questo è solo un problema, che è diventato già un motivo di scontro.
Il fatto è che dopo il crollo dell’URSS, sono apparse immediatamente delle aree contese lungo tutta l’estensione dei confini, pari a circa 980 chilometri, che precedentemente erano solo amministrativi, a causa delle quali ci sono continui scontri tra i residenti dei Paesi vicini ora indipendenti. È ora in corso la lotta degli Stati nazionali per le risorse idriche e terrestri, per i passaggi, per i bacini strategici, che possono causare operazioni militari su larga scala o massacri etnici. Inoltre, ci sono intere enclavi tagike all’interno della Repubblica kirghisa, come ad esempio la stessa Vorukh.
Il Kirghizistan è riuscito a risolvere tutte le questioni territoriali controverse con l’Uzbekistan, che sta diventando un importante partner strategico, ma la situazione con il Tagikistan non potrà concludersi in modo amichevole. Sebbene una speciale commissione interstatale, composta da rappresentanti dei comitati di sicurezza nazionale dei due Paesi, abbia già delimitato 580 chilometri di linea di confine, il suo lavoro si è inaspettatamente interrotto nel marzo 2022.
Forse la situazione non si sta muovendo a causa del fatto che entrambi gli Stati si considerano equivalenti e in grado di modificare l’attuale rapporto a loro favore con tali metodi. È anche un’opportunità per giocare sui sentimenti nazionali, aumentare il grado di patriottismo e distrarre la popolazione dalla difficile situazione socio-economica associata alla pandemia di coronavirus. Infatti, centinaia di migliaia di cittadini delle due repubbliche non sono potuti andare a lavorare in Russia durante la pandemia, e il numero di giovani disoccupati è già esploso e rappresenta una minaccia per i governi.
Ora possiamo concludere che, a seguito degli scontri, il Kirghizistan si è rivelato al momento più debole del suo avversario, il che spiega la retorica pacificatrice di Sadyr Japarov – anche se un paio di mesi prima dell’ultimo grande conflitto del 2022, ha offerto sprezzantemente ai tagiki di scambiare le loro enclavi con delle catene montuose disabitate nel sud della repubblica. Il fallimento delle misure difensive di Bishkek, così come lo stallo del processo negoziale sui territori contesi in generale, è stato influenzato anche dal cambio di potere a seguito di un’altra rivoluzione colorata.
Eventi così sanguinosi al confine tra i due alleati ufficiali sono un campanello d’allarme per l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), poiché i Paesi partecipanti all’accordo non hanno il diritto di usare le armi l’uno contro l’altro. Ma nessuno ci fa caso e Mosca ha fatto ogni volta grandi sforzi per intervenire nel conflitto e fermare i suoi alleati formali.
Se consideriamo le ragioni oggettive più profonde di quanto sta accadendo, esse risiedono a livello socio-economico nel degrado della regione e in particolare della Valle di Ferghana dopo il crollo dell’URSS, quando nacquero molte contraddizioni e dispute simili per la terra, le risorse idriche, i tratti stradali e le strutture idrauliche. Dopo tutto, l’intera industria è scomparsa nella stessa regione di Batken, in Kirghizistan, o nella vicina regione di Sughd, in Tagikistan, a causa della deindustrializzazione, e l’agricoltura su piccoli appezzamenti di terra fertile nelle valli è diventata l’unico modo per sopravvivere per milioni di residenti, in un contesto di alto tasso di natalità e mancanza di lavoro.
Ecco perché c’è una lotta così feroce per i singoli snodi, per la stazione di distribuzione dell’acqua del lago artificiale di Tortgul, per i pochi lembi di territorio che prima, 33 anni fa, non erano considerati nemmeno come una disputa di confini amministrativi. Ora più di una generazione è cresciuta, educata con uno spirito nazionalista aggressivo, e di conseguenza l’attuale cessate il fuoco temporaneo non può essere considerato come la fine del conflitto, che non potrà fare altro che svilupparsi nel tempo.
È interessante notare che la Turchia si è affrettata ad approfittare degli scontri, aumentando la fornitura di armi al Kirghizistan e al Kazakistan. Allo stesso tempo, Ankara sta cercando di negoziare con Dushanbe, volendosi presentare come una sorta di “pacificatrice” e mediatrice.
Il conflitto del luglio 2022 nella regione autonoma del Karakalpak in Uzbekistan e gli interessi del Kazakistan
La situazione è stata aggravata negli ultimi anni dalle proteste dei residenti della Repubblica autonoma del Karakalpak, all’interno dell’Uzbekistan, dove due anni fa i giovani si sono radunati per opporsi alla privazione di una serie di diritti e libertà in seguito ai nuovi emendamenti alla Costituzione voluti dal presidente Shavkat Mirziyoyev.
Allo stesso tempo, alcuni gruppi borghesi della repubblica autonoma, come alcuni manifestanti, hanno iniziato a propendere per la secessione dall’Uzbekistan e l’adesione al Kazakistan.
Il fatto è che Astana ha fatto leva sui sentimenti separatisti di parte dell’élite al potere in Karakalpakstan. Una prova indiretta di ciò è il fatto che la maggior parte del materiale informativo, anche provocatorio, durante gli eventi dell’1-2 luglio 2022 è stato trasmesso dal territorio del Kazakistan.
E una delle conferme di ciò è il fatto che Tashkent ha fatto immediatamente alcune concessioni alla leadership del Kazakistan, che si sono tradotte nella ripresa dei lavori della commissione per la demarcazione e la delimitazione dei tratti di confine contesi. È ovvio che dietro le quinte, molto probabilmente, l’entourage del Presidente dell’Uzbekistan Mirziyoyev ha finalmente rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale nei confronti del Turkestan e del Kazakistan meridionale, dove c’è una grande diaspora uzbeka e questi stessi luoghi sono culturalmente e tradizionalmente storicamente più legati all’Uzbekistan agricolo.
In altre parole, tutto questo sostegno al separatismo in Karakalpakstan è un gioco mediatico e politico che coinvolge i nazionalisti e i liberali kazaki per esercitare pressioni su Tashkent. Va detto che gli stessi nazionalisti kazaki hanno sempre trattato i karakalpak con grande disprezzo e condiscendenza, considerandoli persone di seconda o addirittura terza classe: poi si sono improvvisamente “innamorati” di loro, iniziando a chiamarli “fratelli” non per caso, ma per ordine dall’alto.
Bisogna anche capire che la Repubblica del Karakalpak, la cui popolazione è etnicamente e linguisticamente più vicina ai kazaki che agli uzbeki, nonostante il problema ambientale del Lago d’Aral, è un ottimo obiettivo per scatenare possibili discordie e l’avvio di tali sentimenti separatisti e movimenti di massa.
Così, nel territorio dell’autonomia, nonostante l’esigua popolazione (due milioni di persone), sono stati scoperti enormi giacimenti di oro, gas, ferro, fosforiti, argille di tipo bentonite e caolino, sale da cucina e sale di Glauber, granito e marmo. Si ipotizza anche la possibile presenza di grandi volumi di petrolio.
Pertanto, gli appetiti dell’élite al potere in Kazakistan, in una situazione in cui una serie di giacimenti kazaki sta svanendo, si stanno ora estendendo a questo importante pezzo del territorio dell’Uzbekistan, per il quale può iniziare una lotta aperta.
Occorre tenere conto di un’altra circostanza. Astana e Tashkent sono rivali inconciliabili e conducono un confronto competitivo per il primato e l’egemonia nella regione. E ora la leadership uzbeka ha tutte le possibilità concrete di superare il Kazakistan in termini di crescita economica e sviluppo della produzione.
Così, nel periodo 2016-2020, sono stati raggiunti i seguenti risultati nel campo dell’attrazione degli investimenti: oltre 807 trilioni di som (equivalenti a 89 miliardi di dollari) di investimenti in immobilizzazioni in totale da tutte le provenienze; sono stati attratti dall’estero circa 29 miliardi di dollari sotto forma di investimenti diretti e fondi presi in prestito. Nell’ultimo anno e mezzo, nonostante la pandemia, la crescita economica è proseguita.
Nel primo trimestre del 2022, la crescita del PIL dell’Uzbekistan è stata del 5,8% più alta rispetto allo stesso periodo del 2021, gli investimenti stranieri sono stati pari a 2,4 miliardi di dollari e l’indicatore di previsione è stato addirittura raggiunto e superato al 167%. In altre parole, l’Uzbekistan è ora estremamente attraente per gli investitori.
Lo stesso Mirziyoyev sta portando avanti radicali riforme neoliberali del mercato e privatizzazioni, permettendo ai capitali occidentali di entrare in settori strategici dell’economia. È quindi possibile che presto gli investimenti americani, europei e britannici si spostino gradualmente dal Kazakistan all’Uzbekistan, con una manodopera più economica e un mercato interno promettente.
Tashkent ha un altro innegabile vantaggio: una popolazione di 35 milioni di persone, di cui oltre 29 milioni di etnia uzbeka. Di conseguenza, la perdita del primato nella regione è letale per la leadership del Kazakistan, poiché l’estrazione delle materie prime – a dire il vero, tutto il modello di neocoloniale-estrattivo dell’economia – non può esistere senza gli investimenti occidentali.
Inoltre, essendosi rafforzata, la classe dirigente uzbeka, guidata dall’energico e ambizioso Mirziyoyev, può stabilire la propria egemonia in Asia centrale, mettendo sotto la propria influenza le élite delle repubbliche vicine e, di conseguenza, stabilendo il controllo sui flussi energetici e su importanti arterie di trasporto.
Pertanto, il problema del Karakalpakstan sembra stabile per ora, ma non lo sarà nel breve o medio termine. In questa rivalità, i caracalpachi possono svolgere il ruolo dei curdi per la Turchia, ossia una ferita sempre sanguinante che non permette a Shavkhat Mirziyoyev e alla classe dirigente uzbeka di formare una potente potenza regionale.
Va compreso che questa rivalità è anche aggravata dalla somiglianza interna dei regimi del Kazakistan e dell’Uzbekistan, che stanno conducendo un’intensa costruzione dello Stato-nazione basata sull’ideologia nazionalista. Allo stesso tempo, questa ideologia è ancora più forte a Tashkent.
Con questo si intende, cioè, che da entrambe le parti ci sono dittature borghesi-nazionaliste, che impongono la propria ideologia di superiorità nazionale ai gruppi etnici che ne fanno parte, soprattutto ai giovani: il che è foriero di scontri più gravi in futuro, se non intorno al Karakalpakstan, ma per altre dispute sulla terra, l’acqua, l’energia e i trasporti, che non potranno che aumentare nella regione a causa della desertificazione, della crescita demografica e della stratificazione sociale.
È ovvio che queste contraddizioni saranno sfruttate da forze esterne, in particolare dall’Occidente, insieme a Turchia, Cina e Russia, interessate a stabilire il proprio controllo sulla regione.
La lotta per le vie di trasporto
A partire dagli anni ’90, le classi dirigenti delle repubbliche dell’Asia centrale hanno iniziato a costruire diverse rotte per il trasporto delle materie prime estratte verso i mercati internazionali, in particolare verso i Paesi dell’Unione Europea e la Cina. Queste rotte logistiche verso il continente europeo passavano principalmente attraverso il territorio della Russia, ma negli ultimi cinque o sei anni la situazione ha iniziato a cambiare.
Va ricordato che la stessa Asia centrale è un territorio di transito per le rotte di trasporto, e nel tentativo di riorientarsi verso l’Occidente attraverso l’“integrazione turca”, ad Astana, anche sotto Nursultan Nazarbayev, hanno iniziato a cercare altre rotte che aggirassero la Russia. In pratica, la stessa creazione dell’Organizzazione degli Stati Turchi nel novembre 2021 a Istanbul rappresenta l’intenzione delle leadership di Turchia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan di reindirizzare tutte le rotte energetiche e logistiche della regione attraverso il Mar Caspio verso il Caucaso meridionale e l’Anatolia turca.
Il 1° aprile 2022, le parti georgiana, kazaka, turca e azera hanno firmato a Tbilisi la dichiarazione “Sul corridoio transcaspico est-ovest”. In precedenza, i ministri dell’Energia dei Paesi dell’Asia centrale hanno concordato sulla necessità di utilizzare i percorsi proposti dalla Turchia e, in particolare, di partecipare al Gasdotto Trans-Anatolico (TANAP), lungo 1,85 mila km e con una capacità massima di 31 miliardi di metri cubi. Questo progetto sta diventando anche la base per il completamento di un’impresa di lunga data, cioè la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che dal Kazakistan farà scorrere fiumi di oro nero verso i mercati europei.
Inoltre, la via di trasporto internazionale transcaspica consente agli Stati Uniti, nascondendosi dietro il loro status sovranazionale, di esportare non solo petrolio, ma anche altri minerali, e in particolare le terre rare, il cui sviluppo di giacimenti in Kazakistan è già pianificato da aziende americane. E questo è già un duro colpo per la Cina, monopolista in questo settore, che ha recentemente minacciato di bloccare l’esportazione di terre rare in caso di divieto di fornitura di semiconduttori da parte dell’Occidente.
Già quest’anno, l’Unione Europea ha deciso di investire più di 40 miliardi di euro in cinque anni per la modernizzazione delle ferrovie, delle autostrade, degli aeroporti e delle infrastrutture portuali del Kazakistan sul Mar Caspio. Saranno costruite ulteriori strade di accesso ai depositi di metalli di terre rare e ad altri depositi di minerali strategici, tra cui l’uranio. Il governo del Kazakistan, a sua volta, ha annunciato il trasferimento di 22 aeroporti e dei 2 porti di Aktau e Kuryk a società europee con la possibilità di privatizzazione.
Allo stesso tempo, Pechino ha finora mostrato interesse per questa rotta transcaspica, dubitando della capacità del trasporto ferroviario e dei porti kazaki nel Mar Caspio. Ma come piano B, dal momento che la Cina è in competizione anche con le compagnie europee e americane per la regione, la leadership cinese ha deciso di riprendere i lavori sul progetto di costruzione della ferrovia Cina-Kirghizistan-Uzbekistan, lunga 454 chilometri e che bypassa il territorio del Kazakistan.
Inoltre, questo percorso proseguirà attraverso il Turkmenistan fino all’Iran settentrionale e poi anche verso il Caucaso meridionale o la Turchia fino ai Paesi dell’UE. Si è scoperto che tale decisione contraddice chiaramente gli interessi di Washington e di Astana, poiché il percorso alternativo risulta essere fuori dal controllo del capitale occidentale e la classe dirigente kazaka subisce la concorrenza nella logistica da Bishkek e Tashkent.
D’altro canto, Mosca sta costruendo attivamente la sua rotta di trasporti aggirando il territorio del Kazakistan, le cui autorità hanno aderito alle sanzioni occidentali e stanno conducendo continue guerre commerciali e sulla logistica con il Kirghizistan, nonostante la comune appartenenza all’UEE (Unione Economica Eurasiatica, ndt), e con l’Uzbekistan. Il governatore della regione di Astrakhan, Igor Babushkin, ha annunciato nell’estate del 2023 che ora Uzbekistan e Kirghizistan potranno utilizzare il nuovo corridoio di trasporto multimodale verso la Russia e ritorno, aggirando il Kazakistan attraverso il Mar Caspio.
In altre parole, i flussi di merci provenienti da queste repubbliche vengono reindirizzati e scaricati via mare ad Astrakhan. Dal punto di vista logistico, il percorso via terra attraverso i territori kazaki è più veloce ed economico rispetto al nuovo corridoio attraverso l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Mar Caspio – dopo tutto, la distanza è maggiore, oltre al costo del trasbordo sulle navi mercantili. Ma le ragioni politiche del forte raffreddamento delle relazioni con Astana e la possibilità di chiudere le frontiere impongono questi aggravi di spesa.
Allo stesso tempo, alla fine del 2022, la Russia ha iniziato a formare una “triplice unione del gas” con la partecipazione di Kazakistan e Uzbekistan, che stanno vivendo una forte carenza di gas naturale. Tale associazione consente a Mosca, attraverso la modernizzazione delle infrastrutture del gas di queste repubbliche, di poter trasportare il gas attraverso il loro territorio lungo la rotta meridionale verso il Pakistan e l’India.
Inoltre, tenendo conto del riorientamento dell’Armenia verso l’Occidente e dell’inaffidabilità dell’Azerbaigian, il Cremlino sta prendendo seriamente in considerazione la possibilità di posare uno dei rami della rotta geostrategica Nord-Sud attraverso il territorio del Kazakistan e del Turkmenistan. Ciò rafforza ulteriormente l’interesse del capitale russo per l’Asia centrale come zona di transito per reindirizzare le materie prime verso i mercati di Cina, India e Sud-est asiatico.
Considerando il boom economico dell’Uzbekistan, la crescita della popolazione e l’espansione urbana, nonché le esigenze dell’industria chimica, le forniture di gas russo stanno diventando fondamentali anche per Tashkent. Inoltre, l’élite al potere ha bisogno di carburante a basso costo dalla Russia per estrarre ulteriori superprofitti. È per questo che la leadership uzbeka ha aderito all’UEE come osservatore per ricevere da Mosca tariffe preferenziali, oltre a sgravi doganali e di altro tipo.
Allo stesso tempo, Tashkent ha anche i suoi ambiziosi piani di lunga data, precedentemente sostenuti da Washington e Londra, per la costruzione di una linea ferroviaria attraverso l’Afghanistan fino al Pakistan lungo la linea Mazar-i Sharif-Kabul-Peshawar. Secondo l’idea, la nuova autostrada fornirà un accesso diretto ai porti marittimi pakistani – Karachi, Qasem e Gwadar.
Dopo il ritiro degli americani dall’Afghanistan nel 2021, questo progetto è rimasto in sospeso, ma dopo il riavvio del progetto da parte uzbeka e dopo il riorientamento dei flussi energetici dall’Occidente all’Asia da parte della Russia, anche questa rotta potrebbe trovare un rinnovato interesse, poiché torna a essere richiesta. Inoltre, Tashkent, a differenza di Dushanbe, ha stabilito fin dall’inizio relazioni amichevoli con il regime talebano.
Tutto ciò crea un groviglio di contraddizioni dovute alla differenza di interessi delle principali potenze imperialiste della regione nell’estrazione delle materie prime e nel loro transito, che cercheranno in un modo o nell’altro di consolidare le proprie posizioni e, al contrario, di indebolire l’influenza dei concorrenti. Allo stesso tempo, la Turchia, attraverso l’Organizzazione degli Stati Turchi in tandem con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione Europea, può rafforzare drasticamente il vettore filo-occidentale nella politica dei gruppi dirigenti delle repubbliche dell’Asia centrale, il che può causare un forte squilibrio di forze e provocare nuovi conflitti che coinvolgono Russia e Cina.
Ciò è particolarmente vero per il Kazakistan, la cui leadership, con il sostegno delle autorità azere, sta diventando il principale conduttore dell’“integrazione turca” nella regione e il pilastro delle società occidentali. L’uscita dell’Armenia dal blocco con la Russia potrebbe provocare una reazione a catena e indebolire fortemente la CSTO e l’UEE, dando ad Astana l’opportunità di accelerare il proprio riorientamento verso l’UE e gli Stati Uniti.
Ciò crea una situazione esplosiva in questa regione che sembrava invece lontana dai principali teatri di operazioni militari.
I risultati attuali
Pertanto, anche le repubbliche dell’Asia centrale stanno entrando in un periodo di instabilità socio-economica e politica, e saranno soggette a forti pressioni a causa dei fenomeni di crisi dell’economia capitalistica globale e della lotta delle potenze imperialiste. Allo stesso tempo, queste pressioni arriveranno sia dall’interno che dal basso, dalle masse di giovani disoccupati e lavoratori che protestano, così come dai vicini, in relazione al proliferare dei conflitti ai confini a causa delle contraddizioni legate alla terra, all’acqua e all’energia.
Inoltre, gli Stati capitalisti della regione sono in costante competizione tra loro nel quadro del sistema imperialista. L’ingerenza esterna delle potenze leader può aggravare la situazione o far esplodere la regione, causando scontri interetnici e “afghanizzazione”, cioè il crollo delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.
In questa situazione, la nostra organizzazione ha una responsabilità: rappresentare nel modo più ampio possibile un’alternativa socialista che possa offrire uno sbocco ai lavoratori e agli ampi strati popolari del Kazakistan. Mettiamo al centro della nostra propaganda l’idea della massima unità possibile degli strati operai e popolari di tutte le nazionalità della regione.
Soprattutto nel caso in cui i lavoratori di un’impresa entrino in conflitto con un proprietario straniero, chiediamo di cercare di unire tutti i lavoratori in un sindacato e di lottare per richieste come la parità di retribuzione per lo stesso lavoro, indipendentemente dalla nazionalità, contro la segregazione razziale e la discriminazione, per un lavoro per tutti.
Con lo slogan della nazionalizzazione, parallelamente, viene avanzata anche la richiesta di controllo e gestione operativa – che l’impresa venga sottratta alle società straniere, che non ci si limiti al trasferimento ad un proprietario locale.
Naturalmente, questa lotta non può essere separata dalla lotta contro il capitalismo, poiché è inaccettabile creare illusioni sulla possibilità di una sorta di “autogoverno dei lavoratori” nelle condizioni del capitalismo e sotto il dominio dei capitalisti. Pertanto, questo è solo un passo per lo sviluppo della coscienza politica del popolo lavoratore, che dovrebbe essere educato nella comprensione che solo con la costruzione di una nuova società socialista si può realizzare un reale controllo dei lavoratori e stabilire le istituzioni del potere dei lavoratori.
L’attuale crisi capitalistica, che ha colpito in particolare le economie estrattive della regione, accompagnata dall’incapacità delle autorità di far fronte alla pandemia di coronavirus, ha provocato una nuova ondata di attività sociali e di protesta non solo in Kazakistan, ma anche nei vicini Kirghizistan e Uzbekistan. Una nuova generazione di giovani, senza prospettive di trovare un lavoro anche poco retribuito, gli immigrati interni, i “lavoratori autonomi”, così come i reparti della classe operaia nelle industrie estrattive, stanno diventando la miscela esplosiva di futuri sconvolgimenti sociali.
Nonostante l’attuale controrivoluzione, la reazione rampante e l’arretramento, i risultati ottenuti dal governo sovietico durante la costruzione socialista e la formazione di nuove nazioni sono stati comunque così elevati da far si che questi paesi non siano abbandonati completamente all’epoca medioevale. Esiste anche una base e un fondamento culturale ed educativo comune, che crea una certa prospettiva per i popoli dell’Asia centrale, nel caso di una nuova crisi rivoluzionaria, di uscire dalle catene della doppia oppressione e di sollevare la questione della socializzazione della produzione e di un cambiamento radicale dell’intero vettore di sviluppo socio-economico.
[1] Nota del traduttore: per approfondimento, si veda qui https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_dei_basmachi
[2] Nota del traduttore: capitale del Tagikistan
[3] Nota del traduttore: capitale del Kirghizistan
[4] Nota del traduttore: capitale del Kazakistan
[5] Nota del traduttore: capitale dell’Uzbekistan
[6] Nota del traduttore: solfato di sodio
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