Andreas Sorensen, Segretario Generale del CC del Partito Comunista di Svezia
traduzione di Giaime Ugliano
Gli sviluppi nel mondo nell’ultimo anno hanno acuito le contraddizioni insite nel sistema imperialista e hanno quindi accentuato la necessità di un’analisi approfondita dei meccanismi che spingono questi sviluppi.
Per poterlo fare, questa presentazione si concentrerà sull’analisi presentata da Lenin nel suo pamphlet L’imperialismo, fase suprema del capitalismo: in questa opera ha esplorato i meccanismi che decidono e determinano lo sviluppo del capitalismo internazionale. Nel corso dell’articolo si discuteranno i meccanismi e le caratteristiche individuate e si farà luce sugli approcci problematici che i lettori adottano nei confronti di Lenin.
Un punto di partenza teorico
I punti teorici principali, che saranno anche sostenuti nel corso del testo, saranno esposti nelle sezioni seguenti. La base di questa analisi è la semplice affermazione che l’imperialismo è il capitalismo nella sua forma moderna. Questa affermazione è abbastanza semplice, ma andando avanti vedremo che nasconde molto di più di quanto non sembri.
Innanzitutto, è necessario non separare il capitalismo moderno dall’imperialismo. Piuttosto, il capitalismo oggi esiste nella sua fase finale: la fase imperialista, o fase del capitale monopolistico. Oltre a rappresentare la fase in cui sono maturate le condizioni oggettive per la transizione al socialismo, significa che ha smesso di essere caratterizzato dalla libera concorrenza, ma è invece caratterizzato dal capitale monopolistico. Non c’è quindi alcuna differenza tra Stati capitalisti e Stati imperialisti. In realtà, si sosterrà che i due aggettivi possono essere usati in modo intercambiabile quando ci si riferisce al modo di produzione contemporaneo.
All’interno di questo sistema, ogni Stato capitalista lotta per avanzare nella gerarchia che è la competizione capitalistica. In rappresentanza delle rispettive borghesie, gli Stati capitalisti lottano per le quote di mercato, per le materie prime, per le vie di trasporto, per i diversi vantaggi geopolitici e così via. Naturalmente, questo implica anche impedire a ogni altro Stato di raggiungere i propri obiettivi.
Ciò non significa che non esistano divisioni all’interno di questo sistema o tra questi Stati. Tuttavia, il punto è che queste differenze sono quantitative e non qualitative. Questi Stati non sono diversi per natura, ma piuttosto per forza e sviluppo.
Le cinque caratteristiche dell’imperialismo secondo Lenin
Forse il passaggio più citato di Imperialismo è quello in cui Lenin presenta il suo breve riassunto delle caratteristiche principali dell’imperialismo. Questo potrebbe anche essere stato il suo più grande errore.
Tuttavia, l’errore non è teorico, ma piuttosto pedagogico, in quanto ha invitato i lettori ad accontentarsi del riassunto e a non andare oltre. A sua volta, questo invita a una lettura superficiale e il suo avvertimento che tutte le definizioni hanno un “valore condizionale e relativo” che “non può mai abbracciare tutte le concatenazioni di un fenomeno nel suo pieno sviluppo” troppe volte non è stato ascoltato, ma piuttosto ignorato.1 Le caratteristiche, che la maggior parte dei lettori conoscerà, sono le seguenti:
(1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; (2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria; (3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; (4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo e (5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.2
Nei casi più estremi, una lettura sciatta si traduce in una presunzione su come utilizzare queste caratteristiche. Troppo spesso vengono utilizzate acriticamente per decidere se un singolo Paese è imperialista o meno. Ciò presenta tutta una serie di problemi teorici e scientifici.
Quando si usa Lenin in questo modo, si incontrano necessariamente diversi problemi. Questi problemi sono inevitabili e mostrano molto chiaramente le carenze scientifiche del tradurre le caratteristiche principali dell’imperialismo in criteri da applicare a ogni Paese. Certo, non tutti usano Lenin in questo modo, ma alcune delle questioni che verranno discusse di seguito sono rilevanti come critica alla maggior parte dei modi di usare Lenin che si incontrano oggi.
Il primo problema che si incontra è la questione della quantificazione:
- Quando si dividono le nazioni capitaliste del mondo in capitaliste o imperialiste, si deve necessariamente affrontare la questione della quantificazione. In parole povere: a che punto una nazione capitalista si trasforma in una nazione imperialista? Quanto devono essere concentrati la produzione e il capitale? Quanto deve essere sviluppato il capitale finanziario? Quanto deve essere cresciuto il ruolo dell’esportazione di capitale rispetto all’esportazione di merci?
Il lettore attento riconoscerà immediatamente i problemi. Per decidere se un Paese è imperialista o capitalista, bisogna necessariamente quantificarne le caratteristiche. Se non lo si fa, la decisione di etichettarli in uno o nell’altro modo diventa arbitraria e perde ogni significato scientifico. D’altra parte, se si tenta di quantificare le caratteristiche, si deve semplicemente scegliere un livello di concentrazione, di sviluppo del capitale finanziario e di esportazione di capitale in cui un dato Paese passa da capitalista a imperialista. Come si fa? Dove si trovano questi livelli e come si giustificano?
Questi non sono gli unici problemi di una lettura di Lenin in questo senso. Se si afferma che esistono nazioni capitaliste e imperialiste, si deve anche riconoscere che esistono differenze qualitative tra di esse. Sorgono diverse domande: una nazione capitalista agisce in modo diverso rispetto a una imperialista? Le motivazioni alla base delle loro azioni sono diverse? In caso contrario, quali sono i vantaggi analitici che si possono trarre da questa divisione?
L’insistenza nel separare le nazioni capitaliste da quelle imperialiste pone anche la domanda: chi governa le nazioni capitaliste? Lenin ha detto chiaramente che “i cartelli sono diventati uno dei fondamenti dell’intera vita economica”, parlando della concentrazione della produzione e del capitale; la logica vuole che ciò non avvenga nelle nazioni capitaliste.3 Quindi, se i cartelli e i monopoli non costituiscono le fondamenta dell’intera vita economica nelle nazioni capitaliste, cos’altro lo rappresenta?
Allo stesso modo, se l’imperialismo è capitalismo monopolistico e il capitalismo non imperialista è caratterizzato dalla libera concorrenza, sarebbe anche logico supporre che questo è ciò che caratterizza i Paesi capitalisti che non hanno ancora raggiunto lo stadio imperialista. Di conseguenza, si deve giungere all’inevitabile conclusione che queste nazioni sono governate dalla piccola borghesia, perché non sono certamente Stati contadini o operai. Come si vedrà più avanti nel testo, questa argomentazione non regge, perché non esiste nazione capitalista che non passi attraverso il processo di creazione di un capitale finanziario.
Questi problemi analitici e teorici non si applicano solo a chi utilizza Lenin nel modo descritto sopra, ma anche a chi insiste sulla separazione tra Stati capitalisti e Stati imperialisti in generale, indipendentemente dal metodo.
Proseguendo, si incontrano ancora più problemi nell’utilizzare Lenin in questo modo:
- Quando si applicano le caratteristiche di Lenin ai singoli Paesi, sorge la domanda: come trattare le ultime due caratteristiche? Come si possono applicare a un singolo Paese “il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo” e “la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche”?
Per evitare questo problema, ci sono due strade principali: si possono ignorare queste due caratteristiche e concentrarsi su quelle precedentemente menzionate, oppure si può interpretare questo fatto come la partecipazione di determinati monopoli alla “formazione di associazioni capitalistiche monopolistiche internazionali” o la partecipazione di un determinato Stato alla divisione del mondo.
È ovvio che la prima strada porta a una completa falsificazione di Lenin e non è altro che disonestà intellettuale. È un vicolo cieco.
La seconda via è più ragionevole, ma ci si trova necessariamente di fronte alla domanda: se questo era il modo in cui Lenin intendeva interpretare la sua analisi, perché non ha scritto semplicemente della partecipazione di paesi e monopoli alla divisione del mondo?
Arriviamo così a un punto cruciale: non è affatto questo il modo in cui Lenin intendeva la propria analisi e non è certamente il modo in cui voleva che gli altri la interpretassero. Invece, si possono usare le ultime due caratteristiche come indizi – che alludono all’oggetto dell’analisi: cioè il sistema capitalista nella sua fase imperialista.
Il sistema capitalistico nella sua fase imperialista
Come in precedenza, il punto di partenza sarà costituito dalle caratteristiche individuate da Lenin, ma in opposizione ai punti di vista presentati in precedenza, le caratteristiche non saranno trattate come criteri, ma piuttosto come semplici caratteristiche. Ciò significa intenderle come processi che in ogni momento fanno progredire lo sviluppo in ogni paese capitalista.4
Di seguito, quindi, verranno discusse le diverse manifestazioni di queste caratteristiche – o meglio, processi – così come appaiono in una varietà di nazioni capitaliste.
La concentrazione del capitale e della produzione
Questo processo è il primo oggetto di analisi in Imperialismo… e fin dall’inizio Lenin chiarisce il suo debito con Marx. Scrive della “scienza ufficiale” (cioè gli economisti borghesi) che…
…ha tentato di seppellire con la congiura del silenzio l’opera di Marx, che, mediante l’analisi teorica e storica del capitalismo, ha dimostrato come la libera concorrenza determini la concentrazione della produzione, e come questa, a sua volta, a un certo grado di sviluppo, conduca al monopolio.5
Nello stesso passo, scrive che…
…i fatti provano che le differenze tra i singoli paesi capitalistici, per esempio in rapporto al protezionismo e alla libertà degli scambi, determinano soltanto differenze non essenziali nelle forme del monopolio, o nel momento in cui appare, ma il sorgere dei monopoli, per effetto del processo di concentrazione, è, in linea generale, legge universale e fondamentale dell’odierno stadio di sviluppo del capitalismo.
Ciò che Marx sostiene e Lenin accentua è che questa tendenza è presente in ogni paese capitalista, in ogni momento. Le politiche perseguite in un dato paese capitalista in un dato momento non fermeranno questa tendenza, come dimostra la realtà, e un dato paese non può, come sosteneva Kautsky, scegliere di seguire o meno una politica imperialista.6
Nel 2020, l’1% più ricco degli Stati Uniti possedeva il 31,4% della ricchezza del Paese, mentre in India la stessa percentuale era del 40,5%. In Gran Bretagna e in Francia, invece, l’1% possedeva solo il 22-23% della ricchezza totale dei rispettivi Paesi nel 2020. In Svezia, l’1% possedeva il 34,9% di tutta la ricchezza; in Nigeria e in Sudafrica, la stessa percentuale era rispettivamente del 44,2% e del 40,8%. In cima alla classifica c’è il Brasile, dove l’1% più ricco della popolazione possiede il 49,6% di tutta la ricchezza.
Questi numeri dicono molto, ma allo stesso tempo non forniscono un quadro completo. Ciò che non dicono è il livello di sviluppo di ciascun Paese e la sua posizione nella gerarchia capitalistica. La concentrazione del capitale all’interno di un determinato Paese non dice molto sul carattere della ricchezza, sulla sua provenienza e così via. D’altra parte, è evidente l’inutilità di questi numeri quando si cerca di usarli per decidere se un Paese è imperialista o meno. Utilizzando questi numeri in questo modo, si direbbe che dopo il Brasile, la Nigeria sarebbe il Paese imperialista più sviluppato al mondo, mentre la Gran Bretagna e la Francia si troverebbero all’estremità opposta. Il punto è molto semplice: non si possono usare i numeri in questo modo. Piuttosto, si può concludere che il capitalismo concentrerà la proprietà del capitale e della produzione in ogni paese e, come tendenza inerente al capitalismo, svolgerà il suo ruolo in ogni paese capitalista.
La fusione del capitale bancario e industriale nel capitale finanziario
Come in precedenza, Lenin sottolinea che questo processo è intimamente legato al capitalismo in quanto tale. Infatti, inizia la sua analisi scrivendo quanto segue:
Ora dovremo esporre come lo “spadroneggiare” dei monopoli capitalistici, nell’ambito generale della produzione di merci e della proprietà privata, metta inevitabilmente capo al dominio dell’oligarchia finanziaria.7
In altre parole: non è possibile immaginare un Paese capitalista che non sviluppi un’oligarchia finanziaria.
Quello che vediamo è lo sviluppo del capitale a un livello superiore, che costituisce la base per la concentrazione del capitale e della produzione, ma anche per l’esportazione del capitale, che è la prossima caratteristica da osservare. Ma prima, Lenin sarà messo alla prova con la realtà.
I lettori conosceranno più o meno bene la situazione dei Paesi occidentali, per questo motivo i riflettori saranno puntati su un altro Paese, di solito mai menzionato in una discussione sull’imperialismo, eppure diviso tra i due maggiori blocchi imperialisti: l’Ucraina. Questo servirà da esempio, ma è ovviamente possibile osservare le stesse tendenze in ogni Paese.
Se si esamina la realtà economica dell’Ucraina prima della guerra, si può osservare chiaramente la formazione di un’oligarchia finanziaria, concentrata nelle mani di poche persone.
L’uomo più ricco dell’Ucraina, Rinat Akhmetov, è il proprietario di SCM Holding, una delle maggiori holding del Paese. Alla SCM Holding sono collegate società attive nei settori della metallurgia, dell’energia, delle telecomunicazioni, dell’immobiliare, delle banche e delle assicurazioni. All’interno della sfera di SCM si trovano la First Ukrainian National Bank, che nel 2018 è stata la nona banca del Paese, e la società mineraria e siderurgica Metinvest, la più grande dell’Ucraina e in grado di competere a livello internazionale.
Dietro Akhmetov, troviamo Viktor Pinchuk. È il fondatore di Interpipe, uno dei principali produttori di tubi d’acciaio al mondo. Da questo gruppo si è ramificato in diversi settori. Il gruppo ha operato nei settori dell’aviazione, degli investimenti e della finanza, dei trasporti, dei media e dell’immobiliare, solo per citare alcuni ambiti.
Altrettanto interessante è l’attività del Gruppo Privat, uno dei maggiori conglomerati dell’Ucraina. Le attività del gruppo sono varie e non si limitano all’Ucraina. Tra questi vi sono investimenti nei settori dell’acciaio, della metallurgia, del petrolio, dell’agricoltura, dell’alimentazione, dei media e dell’industria chimica. Fino a pochi anni fa, il gruppo controllava anche la Privatbank. Tuttavia, questa è stata nazionalizzata a seguito di una crisi finanziaria.
Si può continuare in questo modo, ma l’oggetto dell’analisi non è l’Ucraina in sé. È stato invece dimostrato che la fusione del capitale industriale e bancario in capitale finanziario avviene in ogni Paese capitalista. Anche in Ucraina, “lo ‘spadroneggiare’ dei monopoli capitalistici metta inevitabilmente capo al dominio dell’oligarchia finanziaria”.
Naturalmente, questo non significa che il capitale finanziario ucraino possa competere con le oligarchie finanziarie dei Paesi più sviluppati, ma è inconfutabile che anche i Paesi capitalisti più deboli e meno sviluppati formino oligarchie finanziarie. Stando così le cose, è chiaro che esistono differenze quantitative tra gli Stati capitalisti, e non qualitative: in ogni Paese si può osservare un’oligarchia finanziaria, anche se a diversi livelli di forza.
L’esportazione di capitale rispetto all’esportazione di merci
Quando si parla di esportazione di capitale, è importante notare che prima di Lenin, Marx aveva notato la stessa tendenza. Nel terzo volume del Capitale, scriveva quanto segue:
Per quanto riguarda i capitali investiti nelle colonie, invece, essi possono produrre tassi di profitto più elevati per la semplice ragione che il tasso di profitto è più alto in quei luoghi a causa dello sviluppo arretrato, e anche per lo sfruttamento del lavoro, a causa dell’uso di schiavi, coolies, ecc.8
La base di questa parte dell’analisi di Marx è che il capitale cerca i settori industriali con il più alto tasso di profitto. Il capitale deve semplicemente cercare gli investimenti più redditizi. Lenin ripete questa conclusione, anche se usa altre parole:
La necessità dell’esportazione del capitale è creata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato “più che maturo” e al capitale (data l’arretratezza dell’agricoltura e la povertà delle masse) non rimane più campo per un investimento “redditizio”.9
In questo senso, le colonie sono state utili alle nazioni capitaliste e hanno offerto ulteriori opportunità di investimento, in parte negate dal livello di arretratezza dell’agricoltura e dalla povertà dei Paesi d’origine.
Tuttavia, bisogna anche notare che l’esportazione di capitale non è semplicemente una questione di esportazione dai Paesi più ricchi a quelli più poveri. L’importazione di capitali negli Stati Uniti è solo marginalmente inferiore all’esportazione di capitali10 e si può notare che la destinazione principale dei capitali svedesi sono gli Stati Uniti. Nel 2021, gli Stati Uniti hanno assorbito il 18,5% di tutti i capitali esportati dalla Svezia, mentre il resto dei Paesi nordici ha assorbito il 18,9% dei capitali esportati dalla Svezia.11
Tuttavia, questo non confuta né la tesi di Marx né quella di Lenin. Piuttosto, è necessario intendere gli “investimenti redditizi” in senso più ampio. Questi possono riguardare l’accesso ai mercati, la tecnologia, le vie di trasporto, una forza lavoro istruita, le infrastrutture e così via.
Inoltre, bisogna considerare la frase di Lenin. Cosa significa che il capitale in “alcuni Paesi” è diventato troppo maturo? Significa che bisogna trovare questi “pochi Paesi” oggi e che esisteranno sempre e solo “pochi Paesi” maturi? Questo significherebbe uscire dal campo del marxismo.
All’epoca di Lenin si poteva tranquillamente parlare di “pochi Paesi”, perché c’erano solo pochi Paesi in cui il capitalismo si era sviluppato! Sarebbe stato impossibile per lui parlare di capitalismo sviluppato in Africa o in Asia, perché queste aree erano coloniali o semi-coloniali. Certo, nelle colonie il capitale c’era, ma non era ancora “maturo”.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata e si può parlare di capitalismo in gran parte dell’Africa e dell’Asia; per uno scherzo del destino, il capitale indiano controlla oggi l’industria automobilistica in Gran Bretagna!
Tutto ciò significa che il sistema di esportazione del capitale è molto più sfaccettato e che attraversa l’intero mondo capitalista. Per accentuare questo aspetto, si discuterà brevemente il caso della Lituania.12
La Lituania è un mercato importante per i capitali svedesi, con grandi aziende come Ikea, ABB, Tele2, Telia Sonera, Swedbank e SEB. Molti di questi investimenti vengono effettuati nelle zone di libero scambio di Klaipeda e Kaunas. È relativamente facile trarre la semplice conclusione che, a causa dei salari più bassi e delle peggiori condizioni di lavoro, la Lituania offre investimenti più redditizi per il capitale svedese. Infatti, gli investimenti effettuati in Lituania hanno rappresentato circa un quinto del totale degli investimenti esteri effettuati dalle aziende svedesi nel 2016. Fermarsi qui significherebbe avere un classico esempio di nazione oppressa. Tuttavia, questo dipingerebbe un quadro incompleto della situazione.
Mentre i capitali vengono esportati dalla Svezia alla Lituania, i capitali vengono contemporaneamente esportati dalla Lituania ad altri Paesi.13
In Bielorussia, il capitale lituano è presente in oltre 500 società bielorusse e un legislatore lituano ha affermato che “un lituano ricco su due ha affari in Bielorussia”. Ogni anno, dalla Lituania alla Bielorussia affluiscono investimenti per circa 80 milioni di dollari.
Oltre alla Bielorussia, sono stati effettuati investimenti in Polonia, dove si trovano capitali lituani nel settore dell’energia e della vendita al dettaglio. Anche in Ucraina sono stati effettuati investimenti nel settore della vendita al dettaglio. In Lettonia, i capitali lituani confluiscono nel settore delle costruzioni, dove sono stati investiti centinaia di milioni di euro.
Perché questi fatti sono rilevanti? Perché mostrano molto chiaramente la gerarchia che esiste all’interno del sistema capitalista, che a sua volta mette in evidenza l’idea molto problematica che alcune nazioni siano oppresse, mentre altre praticano l’oppressione. Allo stesso tempo, i flussi di capitale mostrano chiaramente la forza dei diversi Paesi capitalisti e la loro capacità di affermare la propria influenza. A questo punto si arriva anche a una conclusione molto importante: questo è lo sviluppo previsto del capitalismo.
L’esportazione di capitali influisce sullo sviluppo del capitalismo nei paesi nei quali affluisce, accelerando tale sviluppo. Pertanto se tale esportazione, sino a un certo punto, può determinare una stasi nello sviluppo nei paesi esportatori, tuttavia non può non dare origine a una più elevata e intensa evoluzione del capitalismo in tutto il mondo.14
Sebbene breve, questo paragrafo è molto denso di significato. Bisogna riconoscere – come fece Lenin prima che ciò accadesse – che il capitalismo si è sviluppato; ha esteso e approfondito le sue radici in tutto il mondo. Ciò significa che non è possibile parlare di “pochi Paesi”, ma è necessario parlare di un sistema di Paesi capitalisti, in lotta all’interno di una gerarchia.
La divisione del mondo e la competizione internazionale tra i capitalisti
Come già detto, la divisione del mondo è intimamente legata all’esistenza delle colonie:
Siccome in Asia ed in America non vi sono territori non occupati, cioè non appartenenti ad alcuno Stato, la conclusione di Supan va estesa dicendo che il tratto caratteristico del periodo considerato è costituito dalla spartizione definitiva della terra; definitiva, non già nel senso che sia impossibile una nuova spartizione – ché anzi nuove spartizioni sono possibili e inevitabili – ma nel senso che la politica coloniale dei paesi capitalistici ha condotto a termine l’arraffamento di terre non occupate sul nostro pianeta.15
È necessario riconoscere che il mondo è cambiato. Il colonialismo non esiste più, a parte alcuni fenomeni residuali; la divisione del mondo non può assomigliare a quella dei tempi di Lenin. Lo sviluppo non è andato indietro e il capitalismo si è diffuso, tutte le aree del mondo rimangono occupate, non come colonie, ma come attori indipendenti su un palcoscenico capitalista. Semplicemente, ci sono molti più attori in lizza per un posto al sole.
In America Latina, il Cile, il Brasile e il Messico sono emersi come potenze regionali; in Africa, il Sudafrica, la Nigeria e l’Egitto si contendono l’influenza regionale; in Medio Oriente, la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran si sono scontrati sia in Siria che nello Yemen; in Asia, potenze forti, in grado di competere a livello mondiale, stanno sfidando il vecchio ordine; sia in Europa che in Asia, la Russia sta invertendo la sua politica precedentemente difensiva nei confronti del blocco euro-atlantico per soddisfare meglio le aspirazioni della borghesia russa e per far fronte all’espansione dell’imperialismo euro-atlantico.
Ci sono anche molti agenti più piccoli che si legano alle loro controparti più grandi. Il capitale svedese si sta avvicinando sempre di più a quello americano e tedesco; il capitale kazako è in equilibrio tra l’imperialismo occidentale e quello orientale; Paesi come l’Ungheria sono membri di un’alleanza imperialista, ma ancora incapaci e non del tutto interessati a recidere i legami con la Russia, uno dei principali concorrenti imperialisti dell’UE.
Questa realtà è alla base della competizione tra i capitalisti e i loro rispettivi Paesi. Non possiamo parlare di divisione e ri-divisione del mondo come faceva Lenin. Dobbiamo piuttosto parlare della competizione all’interno della gerarchia imperialista.
All’interno di questa gerarchia, che costituisce il sistema capitalista nella sua fase imperialista, agiscono tutte le nazioni capitaliste. Formano alleanze tra loro sulla base degli interessi comuni dei monopoli. Tuttavia, poiché il capitalismo si sviluppa in modo diseguale, emergono contraddizioni intra-imperialiste e le alleanze diventano intrinsecamente fragili e inevitabilmente si riorganizzano. In altre parole, l’esistenza di alleanze imperialiste, come l’UE o la NATO, non è eterna e immutabile.
Ciò non significa che i Paesi più forti non esercitino un’influenza o un impatto su quelli più deboli, in base alla loro posizione nel sistema imperialista. Tuttavia, non si tratta di una mera questione di subordinazione, ma riflette piuttosto l’allineamento dei più deboli con i più forti in modo da soddisfare meglio gli interessi delle rispettive borghesie. In questo senso, sosteniamo che l’adesione della Svezia alla NATO non è una questione di occupazione o di sottomissione con la forza, ma è piuttosto in linea con gli interessi della borghesia svedese, che ha bisogno di agire con più forza in un mondo caratterizzato da contraddizioni sempre più acute.
Che cosa avrebbe fatto Lenin?
Nel testo si sostiene che, invece di separare le nazioni capitaliste da quelle imperialiste, si dovrebbe considerare il sistema come imperialista, senza distinguere tra nazioni capitaliste e imperialiste. Per avvalorare ulteriormente questa tesi, è utile guardare a come Lenin stesso considerava la Russia zarista.
In Imperialismo…, Lenin tocca più volte il tema della Russia, il che dà al lettore un’idea molto chiara di come egli considerasse sia la Russia sia l’imperialismo. Nel suo capitolo sulle oligarchie finanziarie, parla delle banche russe e chiarisce che le loro dimensioni non si avvicinano a quelle delle banche occidentali, soprattutto se consideriamo il fatto che un quarto del loro relativamente modesto patrimonio era “nazionale” – il resto era straniero:
Secondo questi dati, sui 4 miliardi di rubli che formano il capitale “operante” delle grandi banche, più di tre quarti, oltre 3 miliardi, appartengono a banche che propriamente non sono altro che “società figlie” di banche straniere.16
Nel sesto capitolo di Imperialismo… scrive della Russia che si tratta di “…il più arretrato nei riguardi economici, dove il più recente capitalismo imperialista è, per così dire, avviluppato da una fitta rete di rapporti precapitalistici.”15 Si tratta certamente di un’analisi interessante, oltre che a prima vista contraddittoria: cosa fare di una nazione in cui dominano le relazioni precapitalistiche e le cui banche sono dominate dal capitale straniero?
La risposta la dà lui stesso. Nel suo testo La discussione sull’autodeterminazione riassunta, che scrisse all’incirca nello stesso periodo in cui scrisse Imperialismo…, scrive di come “…la Russia, anche in tempo di pace, ha avuto il primato nell’oppressione delle nazioni, la quale ha le sue radici in un imperialismo molto più brutale, medioevale, economicamente arretrato, militare e burocratico.”18
Non c’è dubbio che se un Paese come questo emergesse oggi, molti esiterebbero a definirlo imperialista, citando lo stesso Lenin e le sue caratteristiche. Rimarrebbero categorie come capitalista o precapitalista, forse semicoloniale o oppresso. Tutte queste categorie aprirebbero a loro volta la porta a conclusioni catastrofiche, come l’ipotesi che un Paese come questo possa essere antimperialista. Purtroppo, questa analisi si è fatta strada nel movimento comunista ed è profondamente opportunista e antisocialista. Se Lenin e i bolscevichi avessero intrapreso questa strada, è ragionevole supporre che sarebbero finiti dalla parte sbagliata della storia e che l’evento più importante della storia del mondo non si sarebbe mai verificato.
È ovvio che Lenin stesso non ha mai cercato di distinguere tra nazioni capitaliste e imperialiste sulla base della propria analisi. Se non altro, si deve presumere che se avesse voluto che la sua analisi fosse usata in questo modo, avrebbe effettivamente presentato un’analisi siffatta.
Conclusioni
Con questo testo sono state evidenziate alcune difficoltà teoriche e analitiche che sorgono quando si cerca di applicare Lenin nel modo descritto sopra. Sorgono diversi problemi, per i quali non ci sono risposte: quale classe detiene il potere in quale Paese? A che punto una nazione capitalista diventa imperialista? Dove sono i vantaggi analitici di questa distinzione?
Come accennato all’inizio del testo, questa strada è un vicolo cieco teorico e politico. Bisogna invece sottolineare l’importanza di vedere le dinamiche all’interno del sistema. Ciò che si intende è vedere il mondo così com’è, vedere la sua complessità. È evidente che il capitalismo si è evoluto, che ha trascinato quasi tutto il mondo nella sua sfera e ha creato una borghesia nazionale in molti Paesi che prima ne erano privi, il che ha reso la concorrenza molto più acuta e complessa. Il capitalismo si è allontanato dalla divisione del mondo così come Lenin l’aveva descritta, il che accentua la necessità di utilizzare il suo metodo, non di interpretare ogni sua parola come se si trattasse di una sacra scrittura.
Ogni Paese agisce secondo gli stessi principi – in sintesi, migliora la posizione dei propri monopoli nella lotta internazionale, in modo da assicurarsi il massimo profitto sia a lungo che a breve termine – e in questo senso non c’è differenza qualitativa tra la nazione capitalista più debole e quella più forte. Ciò rende superflua la divisione tra nazioni capitaliste e imperialiste, quando invece affermare il contrario serve a offuscare il funzionamento del sistema capitalista.
Viceversa il ragionamento opposto è particolarmente pericoloso in tempi di acute contraddizioni internazionali, poiché ha spinto troppi comunisti a schierarsi con un capitalista contro l’altro, abbandonando ogni pretesa di internazionalismo proletario. Schierarsi con il capitalista più debole contro quello più forte significa lasciarsi intrappolare in un circolo vizioso senza fine, perché ci saranno sempre capitalisti più deboli e più forti. L’obiettivo dei partiti comunisti deve invece essere quello di formare un punto di vista proletario, completamente al di fuori di qualsiasi influenza borghese e capitalista.
1 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/imp-hsc/ch07.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo7.htm
2 – v. nota 1
3 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/imp-hsc/ch01.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo1.htm
4 – La quinta e ultima caratteristica di Lenin – la divisione territoriale del mondo tra le grandi potenze – è intimamente legata all’esistenza delle colonie e deve quindi essere trattata con cautela; le colonie non sono più caratteristiche del capitalismo e la divisione del mondo ha assunto altre espressioni. In questo contesto, si usa spesso il termine neocolonialismo, che è problematico perché nasconde lo sviluppo di una borghesia nazionale in molte ex colonie. La divisione del mondo contemporaneo tra gli Stati capitalisti è un processo molto più complesso, poiché la competizione economica di oggi è portata avanti da una moltitudine di nazioni capitaliste e non solo da una manciata, come ai tempi di Lenin. Pertanto, è inutile discuterne in termini di neocolonialismo o di nazioni oppresse e oppressori.
5 – v. nota 3
6 – I numeri sono tratti dal rapporto Global Wealth Report 2021, pubblicato da Credit Suisse: https://www.credit-suisse.com/about-us/en/reports-research/global-wealth-report.htmI
7 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/imp-hsc/ch03.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo3.htm
8 – https://www.marxists.org/archive/marx/works/1894-c3/ch14.htm
9 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/imp-hsc/ch04.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo4.htm
10 – https://www.bea.gov/data/intl-trade-investment/direct-investment-country-and-industry
11 – https://www.kommerskollegium.se/handelsstatistik/direktinvesteringar/
12 – https://kommunistische.org/diskussion/zur-frage-des-imperialismus-on-the-question-of-imperialism/. Le fonti delle affermazioni riportate di seguito sono reperibili qui.
13 – Si raccomanda cautela: le informazioni che seguono risalgono a prima della guerra imperialista in Ucraina e potrebbero non rispecchiare fedelmente la situazione attuale. Tuttavia, servono come esempio e anche se alcune parti sono obsolete, dimostrano comunque il senso del testo.
14 – v. nota 9
15 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/imp-hsc/ch06.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo6.htm
16 – v. nota 7
17 – v. nota 15
18 – https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1916/jul/x01.htm, in italiano https://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/autodecisione.htm
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