Da Adelante! – Organo del PC Paraguaiano
Link all’originale
Di I. M. Isasi
L’inaugurazione di Trump: reazione e demagogia
“L’età dell’oro degli Stati Uniti (USA) inizia ora. Da oggi in poi, il nostro Paese prospererà e sarà di nuovo rispettato in tutto il mondo, e saremo l’invidia di tutte le nazioni”. Con queste parole il miliardario Donald Trump ha iniziato il suo discorso inaugurale il 20 gennaio. Sulla base del suo primo discorso e delle misure attuate in questi primi giorni, è stata pubblicamente stabilita la direzione che la più grande potenza imperialista del nostro tempo prenderà nei prossimi quattro anni.
Per comprendere in termini generali come l’attuale situazione negli Stati Uniti abbia preso forma e le sue ripercussioni a livello locale, ma con un’enfasi sull’impatto internazionale, è necessario affrontare il contesto economico, politico e ideologico che ha dato origine a questa realtà.
Negli ultimi anni, la crisi dell’accumulazione capitalistica si è espressa, tra l’altro, in un aumento del costo della vita che ha colpito le tasche dei lavoratori di questo Paese, con l’aumento del costo di beni e servizi, una situazione che diversi analisti borghesi sono stati in grado di identificare come la ragione principale che ha portato gli elettori a sostenere la campagna repubblicana.
La premessa per cambiare questo scenario è quella di intraprendere un’offensiva economica protezionistica per gli Stati Uniti, i cui assi principali sarebbero a priori l’intenzione di ridurre le tasse sui cittadini e di implementare tariffe massicce fino al 60% sui prodotti cinesi e del 10-20% su tutte le merci provenienti dall’estero, al fine di incoraggiare la produzione e il consumo interni, generando al contempo nuovi posti di lavoro.
“A tal fine, creeremo il Foreign Revenue Service”, ha detto Trump nel suo discorso, “per raccogliere le tariffe e le tasse che saranno massicce e che entreranno nel nostro tesoro, provenienti da fonti straniere”. Gli economisti tradizionali avvertono (e chiunque abbia un minimo di raziocinio se ne renderebbe conto) che tassare le importazioni a tassi così assurdi è un’idea disastrosa e controproducente, in quanto implicherebbe un aumento dei prezzi dei beni da parte delle aziende straniere per coprire le alte tariffe, e scatenerebbe ritorsioni economiche della stessa natura per le esportazioni statunitensi. Ironia della sorte, Cina, Messico e Canada sono i maggiori importatori di beni negli Stati Uniti, Paesi che Trump ha inimicato nei suoi discorsi recenti.
Oltre a strumentalizzare demagogicamente le calamità oggettive che affliggono la classe operaia, l’attuale presidente si affida alla narrazione del salvataggio di una “Grande Nazione” che non solo sta vivendo un periodo di recessione economica, ma è impantanata in uno stato di decadenza quasi terminale che minaccia l’American way of life.
Il ritorno alla tradizione americana: l’eccezionalismo
La “Via Americana” si riferisce all’American Way of Life, un termine che racchiude credenze e valori basati sul protestantesimo, sul liberalismo economico, sulla mobilità sociale e sulla meritocrazia: un cittadino statunitense, per il solo fatto di essere tale, ha intrinsecamente la capacità di “andare avanti”, di superare le proprie condizioni di vita iniziali, per quanto sfavorevoli possano essere, grazie al merito e al duro sforzo individuale, per raggiungere il successo e vivere il Sogno Americano di possedere una casa, un’auto, mettere su famiglia e così via. “Costruiremo una società basata sul merito, non sul colore”[1], ha detto Trump all’insediamento presidenziale.
“Dopo tutto quello che abbiamo affrontato insieme, ci aspettano i migliori quattro anni della storia americana (…) Con il vostro aiuto, ricostruiremo la nazione che tanto amiamo. Siamo un popolo, una famiglia e una nazione gloriosa davanti a Dio”.
La peculiarità dell’eccezionalismo yankee, fondata sulla dottrina del Destino Manifesto, è stata affermata con forza durante la mezz’ora di discorso. Il magnate trasformato in presidente ha sputato senza ritegno una serie di discorsi che esaltavano una versione mitizzata del colonialismo genocida che ha forgiato gli Stati Uniti nel corso della loro storia, come se fosse qualcosa di ispiratore e degno di essere emulato per la necessaria ripresa nazionale:
“Nelle nostre anime risuona il richiamo alla prossima avventura. I nostri antenati hanno trasformato un piccolo gruppo di colonie ai margini di un vasto continente in una potente repubblica, con i cittadini più straordinari della terra, nessuno può vantare niente di simile. Gli americani si sono fatti strada attraverso migliaia di chilometri di territorio aspro e selvaggio, attraversando deserti, scalando montagne e superando pericoli inimmaginabili. Sono stati vittoriosi sul selvaggio West, hanno posto fine alla schiavitù, hanno salvato milioni di persone dalla tirannia, hanno tirato fuori miliardi di persone dalla povertà….”.
Dopo l’indipendenza, gli Stati Uniti hanno basato il loro espansionismo in tutto il Nord America su questa dottrina che caratterizza la nazione come una sorta di popolo eletto, destinato per disegno divino a conquistare il “vasto continente” da una costa all’altra, imponendo con lo sterminio e lo spostamento forzato la propria concezione di civiltà agli abitanti originari di quei territori “aspri” e “inospitali”, dove si supponeva non ci fosse altro che natura incontaminata in attesa di essere colonizzata.
L’americano bianco anglosassone ha saziato il suo istinto di avventura e di conquista, appropriandosi di ciò che gli apparteneva di diritto secondo questa visione del mondo, per emergere infine “vittorioso sul selvaggio West”, l’ultima frontiera, espandendo così il suo dominio e spazzando via la barbarie. “Soprattutto, il mio messaggio agli americani è di agire di nuovo con il coraggio, il vigore e la vitalità della più grande civiltà della storia”, ha detto in un altro momento.
È opportuno ricordare che l’esperienza della colonizzazione americana ebbe un tale successo nel consolidare la nazione che servì da esempio per altri progetti espansionistici e genocidi, come il Lebensraum, la ricerca dello “spazio vitale”, attuata dal nazifascismo al costo di decine di milioni di vite considerate subumane[2].
Le manipolazioni borghesi nel discorso di Trump
Continuando a blaterare in modo iperbolico e delirante, Trump ha affermato che generazioni di patrioti americani hanno sacrificato tutto per la libertà: “hanno trionfato in due guerre mondiali, hanno sconfitto il fascismo e il comunismo”. Le mistificazioni borghesi non conoscono limiti, perché è stata la classe proprietaria americana, sintetizzata nel suo Stato nazionale, a ispirare, emulare e promuovere il fascismo quando non aveva altro modo per rimanere dominante che ricorrere al terrore, quando il grande capitale finanziario aveva bisogno di penetrare in nuove economie e quando serviva come forza d’urto contro l’avanzata rivoluzionaria del proletariato mondiale, come punta di diamante dell’assalto anticomunista.
Se mai ci fosse stato un “popolo” a cui dare il merito di aver posto fine al fascismo e di essere uscito veramente trionfante da una guerra mondiale, è il popolo dell’Unione Sovietica, di tutte le sue varie repubbliche e origini etniche, che, di fronte al loro imminente sterminio e alla minaccia che rappresentavano per l’umanità, guidò eroicamente lo sforzo per respingere e annientare l’invasore hitleriano con tutta la forza della gloriosa Armata Rossa, spalla a spalla con i loro compagni partigiani dell’Europa orientale e dei Balcani, e infine piantando la vittoriosa bandiera rossa con la falce e il martello nella capitale tedesca.
Così come, decenni prima, la Rivoluzione bolscevica aveva messo in subbuglio il prosieguo della prima Grande Guerra Interimperialista e le potenze che l’avevano istigata, ispirando rivolte e moti rivoluzionari in tutta Europa.
Per tutto il XX secolo e fino ad oggi, gli Stati Uniti hanno sostenuto la soppressione di qualsiasi forza progressista, democratica e tanto meno rivoluzionaria in difesa dei propri interessi geopolitici. Durante la cosiddetta Guerra Fredda hanno sostenuto logisticamente e ideologicamente decine di regimi reazionari e fascisti.
Se lo smantellamento dell’URSS e del campo socialista internazionale ha significato un enorme regresso per la classe operaia, queste esperienze socialiste hanno dimostrato che un altro tipo di società è possibile. Chi di noi è impegnato nella causa socialista deve imparare dai loro errori e superare i loro successi nei nostri futuri progetti rivoluzionari.
Ora, con il nazionalismo sciovinista sopra descritto, la classe proprietaria cerca e riesce in qualche misura a catturare l’attenzione del proletariato e a dirottarla verso la necessità di plasmare un consenso e un’identità basati sull’unità nazionale, abbandonando ogni accenno alla lotta di classe: siamo tutti americani, davanti a Dio e sotto la bandiera siamo tutti uguali, ricchi o poveri, e là fuori ci sono altri, che non sono come noi, e non potranno mai esserlo, quindi minacciano la nostra American Way.
Per i più incauti, questa illusione viene percepita come vera quando vedono sugli schermi repubblicani e democratici fraternizzare dal vivo e direttamente, alla ricerca di un trasferimento pacifico del potere, uniti per il bene comune del Paese. Ma sia che un partito o l’altro vinca nella disputa inter-borghese per amministrare il dominio di classe, lo Stato, in quanto prodotto degli antagonismi inconciliabili della società di classe, è l’organo di dominio dei proprietari contro la classe dei diseredati. Gli interessi di qualsiasi candidato sono, in fondo, gli interessi della stessa classe, che è quella che governa e cerca di perpetuarsi.
Il capitale e le elezioni americane
In nessun luogo (…) il potere del capitale, il potere di un pugno di miliardi su tutta la società, si manifesta in modo così brutale, con una corruzione così aperta come in America. Il capitale, dal momento in cui esiste, domina su tutta la società, e nessuna repubblica democratica, nessuna legge elettorale muta la sostanza delle cose.
V.I. Lenin, Sullo Stato: conferenza tenuta all’Università di Sverdlov l’11 luglio 1919.
Subito dopo la vittoria elettorale di novembre, c’è stata un’impennata record del mercato azionario, le 10 persone più ricche del mondo hanno visto un aumento combinato di circa 64 miliardi di dollari, in previsione di politiche più favorevoli alla classe come la deregolamentazione e le agevolazioni fiscali, ma soprattutto gli incentivi statali per i capitalisti, con Elon Musk che ha beneficiato maggiormente di questo aumento.
Diversi miliardari hanno finanziato l’uno o l’altro candidato, soprattutto Harris, con cifre esorbitanti, in base al programma di governo a loro più congeniale o al candidato più influente per favorire le loro aziende. Inizialmente, personaggi di spicco come Mark Zuckerberg di Meta e Jeff Bezos di Amazon si sono astenuti dal prendere posizione nelle elezioni, ma si sono assicurati i posti migliori alla cerimonia di insediamento sborsando un milione di dollari ciascuno per organizzare l’evento.
L’avvicinamento dell’amministratore delegato di Meta, società madre di Facebook, Instagram e Whatsapp, con l’impegno del proprietario della piattaforma X, precedentemente assicurato, è in linea con la pretesa del nuovo presidente di “fermare la censura” e “ripristinare la libertà di espressione”, nonché con le restrizioni antitrust e anti-espansione a cui la multinazionale è sottoposta a livello locale e globale.
Pochi giorni prima, Meta ha implementato una nuova forma di regolamentazione dei contenuti, ponendo fine al sistema dei regolatori esterni e sostituendolo con note della comunità in modo simile a X. Per regolatori esterni si intendono le organizzazioni di fact-checking che sono solitamente composte da professionisti, come i giornalisti, che hanno il compito di verificare la veridicità dei contenuti diffusi sulle piattaforme, in particolare le notizie, e che lavorano secondo determinate norme e standard internazionali. La nuova strategia è accompagnata da politiche sull’“incitamento all’odio” più permissive che favoriranno la diffusione di pubblicazioni di natura reazionaria, negazionista, cospiratoria, razzista, xenofoba, lgbtfobica, ecc.
La diffusione di questi discorsi è aumentata notevolmente da quando la piattaforma precedentemente nota come Twitter ha implementato parametri di questo tipo. Gli stessi giganti tecnologici modificano, vietano o spingono le pubblicazioni, a seconda del loro contenuto politico o ideologico; tendono a favorire le idee della classe dominante (le idee della classe dominante sono le idee dominanti in ogni epoca) per consolidare la loro influenza sul pubblico, ad esempio censurando le denunce contro lo Stato sionista.
Passando dalla coercizione alla violenza, e tornando alla ripartizione del discorso inaugurale, sono stati sicuramente i segmenti che esaltano la potenza militare degli Stati Uniti quelli più applauditi della cerimonia. Biden, Harris, Obama ed i Clinton, uniti dall’appetito guerrafondaio della loro classe, si sono alzati in piedi quando Trump ha promesso di “costruire l’esercito più potente che il mondo abbia mai visto”.
Durante la sua campagna elettorale, la figura del pacifista Trump ha ricevuto molta attenzione mediatica, ma questa percezione è semplicemente una cortina di fumo. Secondo i dati della Banca Mondiale, durante la sua prima presidenza (2017-2021), la spesa militare statunitense è aumentata in modo significativo, passando da 646,75 miliardi di dollari nel 2017 a 778,4 miliardi di dollari nel 2020, con l’obiettivo di ammodernare e rinnovare gli equipaggiamenti obsoleti, dando priorità allo sviluppo dei sistemi di difesa missilistica e delle armi nucleari, e riorientando al contempo la strategia militare verso il Sud-est asiatico, riducendo la presenza in conflitti come l’Afghanistan.
Il business della guerra e delle armi
L’industria degli armamenti è un altro settore della borghesia che sta dietro ai conflitti e che viene rafforzato dal potenziamento del bilancio della “difesa”: i tre segretari alla Difesa al servizio del miliardario newyorkese avevano legami con grandi aziende coinvolte nella produzione di materiale bellico: Jim Mattis era membro del consiglio di amministrazione della General Dynamics, Pat Shanahan era un dirigente della Boeing e Mark Esper era il principale lobbista della Raytheon. Questo background parla da sé, quindi si può prevedere un orientamento simile per i prossimi anni.
La spinta degli Stati Uniti a rafforzare il proprio dominio globale non si limita alle spese militari, ma comprende un generale riorientamento della politica economica verso la preparazione ai conflitti globali. I dazi sulle importazioni descritti in precedenza fanno parte della guerra commerciale che rientra anch’essa in questa strategia.
“Misureremo il nostro successo non solo dalle battaglie che vinceremo, ma anche dalle guerre che concluderemo e, cosa più importante, dalle guerre in cui non saremo coinvolti”, ha dichiarato durante la cerimonia. Giorni dopo, il Dipartimento di Stato ha ordinato una sospensione di 90 giorni di gran parte dei programmi di “assistenza” estera, diversi analisti borghesi e lo stesso governo di Zelensky avevano espresso negli ultimi mesi qualche incertezza sul proseguimento del sostegno economico e militare all’Ucraina, ma ci sono ancora fondi autorizzati dal Congresso per continuare il sostegno alla guerra, spetta alla Casa Bianca decidere se erogarli o meno.
Allo stesso modo, la sospensione non riguarderà lo Stato genocida di Israele o l’Egitto, Paese confinante con la Palestina occupata.
Un altro momento che ha attirato una standing ovation da parte di tutta la sala è stato quando si è preso il merito di quello che ha descritto come il rilascio degli ostaggi in Medio Oriente. Il rilascio dei coloni sionisti detenuti dalla resistenza palestinese e di un migliaio di palestinesi nelle carceri “israeliane” fa parte degli accordi per il cessate il fuoco a Gaza.
L’amministrazione Biden aveva già proposto una tregua all’entità sionista nel 2024, ma era stata respinta. Questa volta c’è stato uno sforzo bipartisan, in quanto sia il presidente entrante che quello uscente hanno inviato i rispettivi diplomatici a premere per un accordo.
La fragile cessazione delle ostilità è solo una mossa tattica da parte dell’imperialismo. Il ritiro delle truppe di occupazione da Gaza è stato celebrato dalla resistenza e dalla comunità internazionale solidale con la causa come una tregua necessaria, ma il sionismo mantiene la sua presenza militare sul perimetro della regione e ha semplicemente riconfigurato le sue tattiche di sottomissione intensificando l’aggressione nei territori della Cisgiordania. I media sionisti sostengono che Trump abbia promesso a Netanyahu che, se accetterà un cessate il fuoco e il ritiro delle sue forze militari da Gaza, sosterrà retroattivamente Tel Aviv se deciderà di riprendere l’aggressione e di violare la fragile tregua.
Inoltre, lo stesso magnate newyorkese ha dichiarato di non fidarsi della durata della tregua, dando sostegno alla visione sionista dell’insediamento a Gaza: “Gaza è come un enorme sito di demolizione. Quel luogo deve essere ricostruito in modo diverso”, ha dichiarato a un corrispondente della Casa Bianca. Ha anche detto che potrebbe svolgere un ruolo in questa “ricostruzione”, lodando la sua “posizione fenomenale, di fronte al mare” e il suo clima soleggiato.
L’impero della famiglia Trump si basa sulla speculazione immobiliare, quindi l’insinuazione del genocidio come opportunità di business non sorprende. Inoltre, i suoi commenti replicano le dichiarazioni del genero Jared Kushner del febbraio 2024, quando ha definito il territorio in riva al mare “molto prezioso” e ha suggerito che lo Stato sionista dovrebbe espellere i palestinesi da Gaza e “ripulirla”.
Questa posizione, che riduce la vita e la sofferenza di migliaia di persone oppresse a una mera opportunità economica, fa parte di una narrazione più ampia.
Immigrazione e politiche reazionarie
Gli immigrati sono stati un capro espiatorio costante nella retorica della “salvezza della nazione”, intorno a loro è stata costruita la figura del nemico esterno, una risorsa ampiamente utilizzata nella politica borghese, soprattutto nei Paesi del Nord, quando la loro maschera democratica inizia a cadere. La borghesia ha sotto il suo dominio un’intera sovrastruttura che installa le sue idee come idee della società, quindi non è così difficile piantare i semi della discordia nella coscienza dei lavoratori fomentando la divisione e l’antagonismo tra gli oppressi, in modo che essi dirigano il loro astio verso il lavoratore senza documenti per aver “preso il loro lavoro”, per esempio, piuttosto che contro i padroni che cercano di tagliare i costi e assumere manodopera precaria per salari da fame. Il messaggio è così efficace che tende a risuonare anche tra gli immigrati “buoni”, una volta ottenuta la residenza e il diritto di voto.
Le politiche di esclusione, persecuzione, incarcerazione e deportazione degli immigrati non sono comunque cessate durante l’amministrazione Biden, anzi, solo nel 2024 si è raggiunto il record di 271.484 deportazioni, più che in qualsiasi anno dell’era Trump. Ciononostante, colpisce come il tycoon abbia emulato la retorica dell’odio così diffusa dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e che ha posto le basi discorsive della cosiddetta Guerra al Terrore. Facendo un parallelo con la stigmatizzazione di allora, secondo cui ogni immigrato mediorientale era considerato un terrorista islamico intenzionato a distruggere lo stile di vita americano, i senza documenti, oltre a sottrarre posti di lavoro ai bravi americani e a intasare i servizi statali, sono etichettati come ladri, assassini, stupratori, membri di bande, trafficanti di droga e, naturalmente, terroristi.
Nei primi giorni di Trump, per la seconda volta nello Studio Ovale, l’approccio anti-inflazionistico promesso in campagna elettorale è stato praticamente inesistente; l’attenzione si è invece concentrata sull’immigrazione. Il tycoon ha firmato una serie di misure controverse per contrastare questa minaccia barbara, con cui intende “avviare la rivoluzione del buon senso”: ha immediatamente dichiarato lo Stato di Emergenza Nazionale al confine con il Messico, il principale corridoio migratorio attraverso il quale entrano nel Paese migliaia di persone costrette a migrare da diverse latitudini. Questa azione comporta la militarizzazione dell’area attraverso il dispiegamento di truppe, con la missione di fermare quella che definisce “l’invasione catastrofica” del Paese.
È previsto anche il ripristino del programma “Rimani in Messico”, che impedisce ai richiedenti asilo di entrare negli Stati Uniti mentre i loro casi sono in fase di elaborazione, costringendoli ad aspettare sul lato messicano del muro, sovraffollati ed esposti a condizioni precarie e pericolose, senza accesso ai servizi di base, con il rischio di aspettare per anni.
Tra le altre politiche, Trump ha assicurato l’uso di “tutti i poteri delle leggi federali e statali per eliminare le bande e le organizzazioni criminali straniere” con l’intenzione di far rivivere l’obsoleto Alien Enemies Act del 1798 (legge contro i nemici stranieri). La legge è stata utilizzata l’ultima volta durante l’amministrazione di Franklin D. Roosevelt per creare campi di concentramento per i cittadini di origine giapponese dopo l’attacco a Pearl Harbor.
Considerando qualsiasi ondata migratoria come un’invasione di criminali e indesiderabili che entrano nel territorio statunitense, va notato che l’applicazione di tale legge richiede una precedente dichiarazione formale di guerra o in una situazione di incursione predatoria nel territorio degli Stati Uniti (invasione). Inoltre, la designazione dei cartelli come organizzazioni terroristiche straniere può servire come giustificazione per un futuro intervento militare nella regione. Vale la pena ricordare che l’invasione dell’Iraq si è basata su accuse inventate di armi di distruzione di massa. Gli echi della Guerra al Terrore potrebbero risuonare nuovamente.
Anche la reinclusione di Cuba nella lista dei Paesi considerati “sponsor del terrorismo” da Washington, sommata alle aggressioni per un “cambio di regime” sull’isola, sono altri fattori da considerare in questo scenario. Infatti, Trump ha firmato un ordine per preparare le strutture carcerarie di Guantánamo, all’interno del territorio cubano occupato da una base navale statunitense dal 1898, ad accogliere 30.000 immigrati privi di documenti che non possono essere trasferiti nei loro Paesi di origine. Questa prigione è stata riconosciuta durante la Guerra al Terrore come centro di torture e sparizioni, molti dei detenuti non avevano nemmeno una condanna formale.
Per fare un altro esempio storico che metta in luce l’ipocrisia statunitense, è stata la CIA a finanziare il terrorismo controrivoluzionario in Nicaragua introducendo e vendendo cocaina nei quartieri più emarginati di Los Angeles, scatenando un’epidemia di consumo di crack che avrebbe colpito soprattutto i latinos e gli afro-discendenti.
“Inizieremo il processo di restituzione di milioni e milioni di stranieri criminali ai luoghi da cui provengono”. Negli ultimi giorni, varie agenzie come l’ICE, la DEA e l’FBI hanno condotto raid in almeno dieci grandi città statunitensi, tra cui New York, Miami e Chicago. Circa 8 milioni di immigrati senza documenti sono lavoratori attivi, soprattutto nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e dei servizi, o in cerca di occupazione, e rappresentano il 5% della forza lavoro del Paese; la deportazione di soli 1,3 milioni di lavoratori ridurrebbe l’economia capitalista statunitense del 5%.
In una lieve battuta d’arresto di questo assalto xenofobo, un giudice federale di Seattle ha bloccato l’attuazione dell’ordine esecutivo del governo che limita la cittadinanza automatica per nascita negli Stati Uniti in quanto incostituzionale. L’ordine mira a impedire ai figli di genitori privi di documenti nati nel Paese di ottenere automaticamente la cittadinanza statunitense.
Le pretese espansionistiche dell’imperialismo si stanno riaffermando con sempre maggiore forza e ad ogni costo. “Gli Stati Uniti saranno di nuovo considerati una nazione in crescita. Aumentando la propria ricchezza ed espandendo il proprio territorio”, ha affermato il presidente. La classe dirigente riesce a persuadere e mobilitare le masse con slogan patriottici, anche ridicoli, come il cambio del nome del Golfo del Messico in Golfo d’America, o con una vecchia e affidabile campagna guerrafondaia per “difendere” i confini e gli interessi della patria.
Elon Musk e la conquista del cosmo
“Eserciteremo il nostro Destino Manifesto”, ha dichiarato apertamente, verso “nuovi orizzonti”, con la determinazione di raggiungere lo spazio esterno e conquistare persino il Pianeta Rosso come ultima frontiera. “Manderemo astronauti americani a piantare la bandiera (a stelle e strisce[3]) sul pianeta Marte”, un altro momento che è stato applaudito da tutti i presenti in sala, soprattutto dal boero[4] Elon Musk.
L’uomo più ricco del mondo sta rafforzando ulteriormente la sua posizione nel cerchio più interno del governo. Qualche ora dopo l’inaugurazione, in un comizio in uno stadio gremito, Musk ha affermato che il nuovissimo Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE) raggiungerà Marte (?????), ma non prima di aver fatto due volte il saluto nazista nel bel mezzo del suo discorso. Lo stesso sabato, ha partecipato in videoconferenza a un comizio del partito filofascista Alternative für Deutschland (AfD), dove ha manifestato il suo sostegno alle proposte suprematiste di quest’ultimo e ha dichiarato che i tedeschi non devono sentirsi in colpa per i peccati dei loro padri e dei loro nonni, in riferimento ai crimini del Terzo Reich, pochi giorni prima della Giornata Internazionale della Memoria delle Vittime dell’Olocausto.
Il DOGE è un’istituzione di recente creazione che avrà l’obiettivo di ridurre la spesa statale e ristrutturare le istituzioni, emulando probabilmente la motosega di Milei. Elon Musk guiderà questa organizzazione di governo.
Che arrivi o meno su un altro pianeta, il nefasto figlio dell’Apartheid si è aggiudicato circa 15 miliardi di dollari di contratti federali con la sua società SpaceX per lo sviluppo del programma missilistico della NASA e per progetti di “difesa” per il Pentagono, che utilizza i satelliti Starlink nelle sue operazioni militari in tutto il mondo. Possiamo presumere che la spesa per la “difesa” non sarà tagliata.
Allo stesso modo, l’istituzione della Forza Spaziale come ramo delle Forze Armate è avvenuta durante il primo mandato di Trump, quindi potrebbe essere un nuovo obiettivo per il bilancio del governo. Una corsa esplorativa allo spazio sarebbe solo una facciata per una graduale militarizzazione dello spazio.
![La Dottrina Trump: protezionismo, guerrafondaio e riaffermazione dell'eccezionalismo americano per una nuova età dell'oro](https://www.lordinenuovo.it/wp-content/uploads/2025/02/20250215-PC-Paraguay-la-dottrina-Trump-300x168.jpg)
Immagine di Elon Musk che fa il saluto nazista a un comizio di Trump, 2025. Via Reuters
La politica estera in un periodo critico
Passando a questioni più terrene, il Canale di Panama, una via fondamentale per il commercio mondiale che collega l’Atlantico al Pacifico, è diventato un altro fronte nella lotta per l’egemonia del sistema imperialista dopo le dichiarazioni del 47° presidente sulla possibilità di assumerne il controllo militare:
“Sono stati spesi soldi come mai prima d’ora per nessun altro progetto, sono state perse 38.000 vite per la sua costruzione. Siamo stati danneggiati da questo regalo a Panama che non avrebbe mai dovuto essere fatto. Le promesse di Panama non sono state mantenute. Lo scopo del nostro trattato è stato completamente violato. Le navi statunitensi sono sovraccaricate e trattate in modo ingiusto, compresa la Marina statunitense. La Cina opera nel canale. Non l’abbiamo dato alla Cina, l’abbiamo dato a Panama e ce lo riprenderemo!”
Qui Trump non ha bisogno del pretesto dell’installazione di una democrazia per rovesciare un regime o di un intervento umanitario per i grandi capitali statunitensi. Il Canale è loro, gli appartiene di diritto, lo hanno perso e per questo devono riprenderselo. La via d’acqua è di vitale importanza, in quanto collega gli oceani Atlantico e Pacifico e circa 14.000 navi vi transitano ogni anno; inoltre, circa il 40% delle merci che vi transitano sono destinate o provengono da porti statunitensi.
Sebbene il capitale di entrambe le potenze sia intersecato l’uno con l’altro, man mano che la Cina consolida il suo progetto contro-egemonico, gli Stati Uniti incontrano crescenti difficoltà nel sostenere il loro dominio globale. La crescente presenza di imprese cinesi nella regione, con investimenti in infrastrutture portuali come quelli di COSCO, uno dei maggiori gruppi navali cinesi a livello globale, e di altre società, ha sollevato preoccupazioni nel governo statunitense.
In questo contesto, altri territori chiave come il Canada e la Groenlandia sono passati da partner privilegiati a bersagli di una politica più aggressiva della Casa Bianca – almeno a parole, per il momento.
Per quanto riguarda il Canada, Trump ha ventilato l’ipotesi di una sua annessione come 51° Stato degli Stati Uniti. Questa affermazione, per quanto inverosimile in termini pratici, rafforza la visione geopolitica secondo cui Washington cerca di consolidare il proprio controllo sull’Artico e di assicurarsi l’accesso alle risorse naturali della regione e di rafforzare l’egemonia statunitense nello stesso emisfero occidentale. Il Canada ha un’estesa linea costiera del Circolo Polare Artico e fa parte del Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America (NORAD) insieme agli Stati Uniti.
La Groenlandia è un altro punto chiave nella competizione geopolitica tra le potenze imperialiste, grazie alla sua posizione strategica e ai vasti giacimenti di idrocarburi inesplorati e di risorse minerarie essenziali per l’industria energetica, tecnologica e militare. L’isola è sotto il dominio danese, ma Washington ha ripetutamente espresso il suo interesse a controllarla, dai tentativi di acquisto nel 1867 e nel 1946 alla proposta di Trump nel 2019.
La Forza Spaziale statunitense ha una presenza permanente nella base di Pituffik, nel nord-ovest dell’isola, che svolge un ruolo chiave nel controllo dello spazio aereo al servizio del NORAD. La Cina, da parte sua, ha cercato di accedere alle ricchezze minerarie della Groenlandia e l’ha integrata nella sua “Via della seta polare”. La Russia, con la più grande linea costiera artica, guida la militarizzazione della regione con più di 50 basi strategiche ed è predominante nello sfruttamento delle risorse.
Secondo quanto riferito da funzionari danesi, Trump ha avuto un acceso scambio telefonico con il primo ministro danese Mette Frederiksen. “Non c’è dubbio che ci sia un grande interesse per la Groenlandia e per i suoi dintorni. In base alla conversazione che ho avuto oggi, non c’è motivo di credere che questo interesse sia inferiore a quello che abbiamo sentito nel dibattito pubblico”, ha dichiarato ai giornalisti all’inizio della giornata. Il miliardario in capo aveva già minacciato di imporre le sue famose tariffe sul Paese europeo se questo non avesse ceduto alle sue intenzioni.
Curiosamente, né la NATO né l’Unione Europea hanno condannato con forza le minacce di Trump nei confronti di un Paese membro di entrambe le organizzazioni.
Il tycoon ha dichiarato quella che è stata definita un’emergenza energetica nazionale. Con lo slogan drill, baby, drill, il governo aumenterà i sussidi e abrogherà i regolamenti per le grandi multinazionali degli idrocarburi, a cui appartengono i “donatori” della sua campagna elettorale, per incentivare la perforazione di pozzi di petrolio e gas con la scusa di soddisfare la domanda interna ed esportare la materia prima. “Torneremo a essere una nazione ricca, l’oro liquido sotto i nostri piedi ci aiuterà a raggiungere questo obiettivo”.
Il crescente interesse per il Canada e la Groenlandia, non solo per le enormi riserve non sfruttate di petrolio, gas e minerali, ma anche per lo scioglimento dei ghiacci artici e l’apertura di nuove rotte marittime nei prossimi anni, non sorprende più di tanto.
L’emergenza energetica si accompagna all’inversione degli investimenti del precedente governo per incentivare la produzione di veicoli elettrici, riassegnando i fondi all’industria automobilistica tradizionale, che presumibilmente doveva essere salvata dalle imposizioni per “affrontare la crisi climatica”. Allo stesso modo, le grandi aziende sono state in grado di adattarsi al “mandato per i veicoli elettrici”. La Tesla di Musk è stata quella che ha avuto più successo, solo che invece di affidarsi completamente all’industria degli idrocarburi, ha semplicemente diversificato e si è sostenuta saccheggiando il Sud globale per l’estrazione di cobalto, zinco e altri metalli utilizzati nei componenti delle batterie e in altre parti, mascherando la logica distruttiva dell’accumulazione con il “capitalismo verde”.
Parallelamente all’aumento delle misure di predazione ambientale, Trump ha anche ufficializzato la sua uscita, ancora una volta, dall’Accordo di Parigi, un trattato internazionale che a parole cerca di alleviare il riscaldamento globale. Sebbene non siano altro che parole vuote sulla carta, promosse dai poteri più predatori e dalle multinazionali, la rottura rende evidente la concezione di sovrapporre la distruzione dell’ambiente all’ottenimento di risorse per massimizzare i profitti, logica strutturale del modo di produzione capitalistico predominante.
La farsa reazionaria: in conclusione
Donald Trump non è una figura eccezionale, è la sintesi del graduale crollo della facciata democratica della grande borghesia imperialista in crisi. E nemmeno l’ascesa delle sue idee reazionarie è un fenomeno isolato, ma fa parte di una tendenza globale a perpetuare la frattura tra dominanti e dominati nel modo di produzione capitalistico, in cui i capitalisti dominanti capitalizzano il malcontento del proletariato, deviando la sua frustrazione in narrazioni illusorie, mentre il progressismo elettorale e la sinistra riformista si limitano ad amministrare il capitalismo, sminuendo qualsiasi opzione realmente trasformativa.
Di fronte a queste condizioni, la vera alternativa non è una svolta a destra o un riformismo borghese, ma la costruzione di un progetto rivoluzionario e internazionalista, capace di articolare gli interessi dei lavoratori, non solo per una lotta difensiva, ma anche per l’avanzata verso la trasformazione socialista della società.
Qui è possibile ascoltare il discorso integrale di Donald Trump all’insediamento come presidente degli Stati Uniti.
Note
[1] “We’ll forge a society that is color-blind and merit-based”, color-blind è traducibile letteralmente con “daltonico”. In questo contesto, parlando di colore, Trump si riferiva al “colore della pelle”, all’etnia. Una “società basata sul merito” significa implicitamente mettere da parte la politica identitaria tipica dei democratici e dei progressisti. ︎
[2] Konrad Meyer, uno dei principali pianificatori delle SS naziste e autore del famoso Piano Generale per l’Est (…) scrisse che l’“America” dei popoli germanici si trova nell’Europa orientale. In Der Untermensch (I subumani), una delle pubblicazioni di Himmler per le SS, il Lebensraum orientale era descritto come “una terra nera che potrebbe diventare un paradiso, una California d’Europa”. Carroll P. Kakel – L’Ovest americano e l’Est nazista: una prospettiva comparativa e interpretativa. ︎
[3] Stars and Stripes è un modo colloquiale di riferirsi alla bandiera degli Stati Uniti per le sue caratteristiche 13 strisce rosse orizzontali e 50 stelle bianche, che rappresentano rispettivamente le tredici colonie e i cinquanta Stati originari. ︎
[4] Coloni bianchi di origine europea che imposero il loro regime razzista in Sudafrica. ︎