Continua senza sosta la lotta degli operai della Berco di Copparo (FE) i quali, nonostante le provocazioni degli ultimi giorni da parte della dirigenza aziendale, hanno annunciato ulteriori giornate di sciopero e presidio presso il polo produttivo ferrarese. Le mobilitazioni da parte dei lavoratori sono riprese dai primi di febbraio scorso, da quando l’azienda, ricusando le fragili intese raggiunte ai tavoli ministeriali nel novembre 2024, ha annunciato la disdetta unilaterale dei contratti integrativi e la riapertura della procedura di licenziamento collettivo per 247 operai. La dirigenza della Berco, azienda metalmeccanica dal 1999 di proprietà della ThyssenKrupp, nonostante gli aumenti di fatturato degli ultimi anni e gli utili in positivo[1], trincerandosi dietro ambiguità e reticenze sui piani industriali da attuare, manifesta apertamente la volontà di non scendere a compromessi con le rappresentanze sindacali e di far pagare interamente ai lavoratori di Copparo il prezzo della sua ristrutturazione.
Le ultime vicende della vertenza Berco, realtà industriale tra le maggiori produttrici di sottocarri cingolati per macchinari agricoli in Italia, iniziano ai primi di ottobre 2024 quando la multinazionale tedesca ThyssenKrupp annuncia oltre 550 esuberi per le due sedi Berco in Italia[2], nello specifico 480 a Copparo e 70 nel sito più piccolo di Castelfranco Veneto[3]. Numeri pesantissimi se si considera, per di più, che il diktat della multinazionale tedesca sta coinvolgendo oltre un terzo dell’intera forza lavoro. Tuttavia questa vera e propria mazzata non giunge del tutto inaspettata, infatti: «dal 2008 ad oggi – come riferisce uno dei lavoratori che abbiamo raggiunto davanti ai cancelli della fabbrica e che è ormai da oltre un mese in sciopero e presidio – l’azienda ha diminuito la sua forza lavoro da 3000 ai 1040 odierni inclusi quadri dirigenti e amministrativi», un drastico taglio che ha visto come contraltare un aumento delle delocalizzazioni estere in Asia e America Latina.
Nel corso dei mesi l’atteggiamento della dirigenza Berco è stato un susseguirsi di ambiguità e ipocrisia: basti pensare, da un lato, all’atteggiamento tenuto ai tavoli di crisi del Ministero delle imprese e del Made in Italy (MIMIT) nel novembre 2024 quando aveva ritirato i licenziamenti collettivi in cambio di una discussione sulla revisione dei contratti integrativi e sulle dimissioni volontarie incentivate[4], dall’altro all’atteggiamento di reticenza e provocazione aperta tenuto nei confronti dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali in sciopero, che chiedevano risposte chiare su licenziamenti e piano industriale. All’inizio di febbraio, infatti, a dispetto del ritiro dei licenziamenti concordato alla fine dell’anno scorso, la dirigenza Berco ha annunciato la riapertura delle procedure di licenziamento collettivo per 247 lavoratori, da aggiungere ai 153 dipendenti che già hanno accettato le dimissioni volontarie[5]. Inoltre, i vertici di Berco, dimostrando la totale volontà di non arretrare rispetto alle imposizioni di novembre, hanno annunciato, dal 1 marzo, l’unilaterale revoca dei contratti integrativi, che, come riferiscono gli operai: «significa una cancellazione degli aumenti salariali frutto di 50 anni di lotte operaie, una decurtazione che va dai 400 ai 600 euro mensili dalla busta paga; se, per esempio, un operaio che faceva il notturno prendeva 1800 euro al mese adesso passerà a 1400».
Di fronte a questo ennesimo attacco al loro lavoro e alle loro vite, gli operai di Copparo non si sono fatti trovare impreparati, consapevoli dell’inaffidabilità dimostrata dai padroni hanno prontamente incrociato le braccia con picchetti e presidi davanti ai cancelli dell’azienda bloccando la produzione. Le provocazioni da parte della dirigenza contro gli operai hanno immediatamente attinto dal subdolo campionario del sabotaggio degli scioperi: dal tentativo di far ripartire la produzione e aggirare il blocco delle merci durante la notte con la complicità di responsabili, preposti ecc. ad azioni dimostrative di crumiraggio interno nel vano tentativo di fiaccare lo spirito di unità dei lavoratori in lotta. È di pochi giorni fa, infatti, la sfilata di una trentina di dipendenti Berco, per lo più dirigenti e quadri amministrativi, che hanno oltrepassato il picchetto dei lavoratori in sciopero per timbrare il cartellino[6]. Questo gesto da parte di questi veri e propri emissari della dirigenza malcela il tentativo dell’azienda di mostrare il fronte dei lavoratori come “disunito” di fronte agli occhi dell’opinione pubblica e di frustrare la determinazione degli operai stessi che, tuttavia, ben comprendendo la natura di questi atti provocatori hanno annunciato ulteriori ore di sciopero e mobilitazione, memori anche delle esperienze di lotta che negli anni ne hanno forgiato carattere e combattività.
A tal proposito vale la pena citare i precedenti più significativi che hanno visto gli operai della Berco lottare in prima linea contro i propositi di licenziamento di dirigenza e padroni, come quando nel 2013, di fronte alla prospettiva di un maxi licenziamento di 611 operai, un gruppo di lavoratori si è unito sotto la bandiera – dapprima nata dallo slogan “No 611” – della “Berco siamo noi“[7]. Una forma embrionale di collettivo di fabbrica per organizzare le rivendicazioni, insieme ai sindacati, e che ha prodotto scioperi, presidi e mobilitazioni che hanno coinvolto l’intera comunità di Copparo. Inoltre, oggi come allora, si registra sempre forte la solidarietà da parte di ampi strati della popolazione, della classe operaia e degli studenti, come ad esempio i militanti del Fronte Comunista e del Fronte della Gioventù Comunista, in gran parte studenti e giovani lavoratori, che da settimane di fronte ai cancelli della Berco manifestano la loro solidarietà e vicinanza agli operai in lotta.
Pertanto dinanzi all’arroganza padronale che cerca costantemente di irretire alcune frange di lavoratori spingendoli ad entrare per far naufragare la lotta dei loro colleghi in sciopero, gli operai della Berco sanno di non essere soli e di avere la solidarietà non solo della comunità di Copparo, sanno che è proprio la solidarietà di altri lavoratori e di ampi strati della società che può dare forza alla loro lotta, evitando cedimenti e smobilitazioni che metterebbero ancor più a rischio il mantenimento dei posti di lavoro.
Da parte della ThyssenKrupp la strategia sembra evidente, ovvero quella di svuotare progressivamente l’azienda ed eventualmente passare alla totale liquidazione di manodopera, macchinari e strutture. Una strategia che va avanti da 15 anni e ha visto, oltre le già citate delocalizzazioni, licenziamenti portati avanti dalla metà degli anni 2000 con una riduzione di due terzi della forza lavoro iniziale. Tutto ciò è ben chiaro agli operai i quali sono ben consci delle manovre del colosso tedesco: «Da quando è entrata la ThyssenKrupp noi siamo solo dei numeri» affermano. La dirigenza della Berco, dal canto suo, ha giustificato tutte queste manovre, incluso l’odierno corposo taglio prospettato, con le solite scuse sulla necessità di far fronte alla crisi post-pandemica, all’aumento dei costi dell’acciaio e dell’energia, alla concorrenza, alla chiusura dei mercati dovuti alla guerra ecc. Affermazioni che stonano con le cifre registrate negli ultimi anni e che trovano la loro giustificazione nella necessità di massimizzare i profitti sulla pelle degli operai: infatti dal 2020 ad oggi il fatturato è passato dai 240 milioni del 2020 ai 400 milioni del 2023, con un utile netto di 10 milioni di euro sempre al 2023[1]. E suonano come l’ennesima beffa le recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato di Berco che alla stampa millanta la volontà di investimento nell’azienda per i prossimi quattro anni con un piano di oltre 58 milioni di euro, con l’obiettivo di tenere aperto lo stabilimento di Copparo “per altri 100 anni”[8].
A dispetto di queste dichiarazioni roboanti alla stampa i dirigenti della Berco continuano con la linea dello scontro frontale e delle reticenze sulle scelte aziendali e gli investimenti per il futuro, tanto da disertare i tavoli di crisi organizzati dal MIMIT, come quello del 13 febbraio scorso[9]. L’ovvia conclusione, se i disegni della dirigenza dovessero concretizzarsi, è ben chiara agli operai. Infatti a fronte di quasi 400 licenziamenti (fra i 247 aperti e le dimissioni volontarie incentivate) si arriverebbe ad un rapporto fra operai addetti alla produzione e amministrativi (dirigenti e impiegati) di 2 a 1: «un rapporto del genere sarebbe assolutamente insostenibile per mandare avanti la produzione» afferma uno degli operai in sciopero, e prosegue: «se attuano quello che hanno intenzione di fare, il futuro per la vita della Berco è nero, la nostra lotta è quella di arrivare ad una soluzione che ci garantisca il lavoro per un lungo periodo». Oltre a mettere a repentaglio il futuro di migliaia di operai e delle loro famiglie, la prospettiva di una chiusura della Berco di Copparo avrebbe un impatto devastante su una realtà, quella del ferrarese, che già sta vedendo i risvolti di una crisi immobiliare pesantissima[10]. Gli operai che, dopo anni di duro lavoro, sono riusciti a comprare una casa per le loro famiglie, rischiano di vedere tutti i loro sforzi vanificati se non addirittura di perdere tutto nel caso di chi, una volta perso il lavoro, si ritroverebbe schiacciato dai mutui. «Copparo è nato con la Berco, qui gli operai si sono trasferiti con le famiglie e adesso si rischia lo spopolamento» afferma uno degli operai in sciopero. I continui licenziamenti che l’azienda, che ha compiuto 105 anni, sta portando avanti ormai da 15 anni stanno avendo sul territorio un impatto sociale catastrofico. Pertanto la lotta degli operai della Berco non si configura come la sola lotta dei lavoratori per il loro posto di lavoro ma come quella di un’intera comunità messa a repentaglio dalla rapace logica del profitto della ThyssenKrupp e delle dinamiche del capitalismo.