La fase che stiamo vivendo è una fase di precipitazione dove le distinzioni tra soluzione e precipitato sono sempre più nette e chiare. Il cambio di amministrazione negli Stati Uniti ha portato a un cambio di strategia. Quello che viene descritto dall’intellighenzia europea come il “tradimento” di Trump nei confronti dei suoi alleati e dei valori occidentali è dovuto alla perdita di egemonia e posizioni degli Stati Uniti su scala globale[1]. Il cambio di strategia degli Stati Uniti evidentemente ha ripercussioni sul resto dei suoi alleati. Se il vertice del blocco imperialista di cui i paesi europei fanno parte fa dei passi indietro, si rende necessario, per chi sta al di sotto nella piramide imperialista[2], prendere dei provvedimenti per rafforzare la propria posizione.
La risposta è immediatamente arrivata per voce della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen con 800 miliardi di euro (per un’Europa “sicura” e resiliente) per il riarmo. Questa è la risposta del capitale europeo alle mosse degli USA, in maniera tale da sviluppare un’autonomia militare per la difesa degli interessi dei monopoli europei dando inoltre ossigeno al settore industriale europeo, in particolare l’automotive, risollevandolo dalla crisi nera in cui è impantanato[3].
In questo quadro, che vede gli Stati Uniti perdere egemonia a dispetto della Cina, in cui l’Europa cerca di ritagliarsi il proprio spazio in un mondo le cui modalità di spartizione di risorse, ricchezze e rotte commerciali stanno mutando e con i BRICS che sono a tutti gli effetti paesi a capitalismo avanzato che cercano a loro volta di guadagnare posizioni nella competizione interimperialista, la manifestazione del 15 marzo a Piazza del Popolo di Roma chiamata da Michele Serra non è altro che lo strumento di quei settori della borghesia che vedono in un’ Europa forte la strategia migliore per la difesa dei propri interessi, a costo di gettare benzina sul fuoco della guerra.
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei

Maurizio Landini e Nicola Fratoianni alla manifestazione di Piazza del Popolo
In una fase come quella attuale è importante chiarificare bene quali siano gli amici, chi i nemici e soprattutto chi i falsi amici che rischiano di mettere i lavoratori alla coda dei loro aguzzini vendendo ai lavoratori l’idea che i propri interessi siano coincidenti con quelli delle classi dominanti. Per questo motivo, la partecipazione a Piazza del Popolo è da considerarsi come spartiacque tra chi è per la pace e chi, nonostante le acrobazie retoriche, è per la guerra. Se è chiarissimo il posizionamento di alcuni partiti al di là della barricata rispetto agli interessi della classe operaia, vale la pena soffermarci sull’adesione alla piazza da parte della CGIL e di AVS.
La presenza della dirigenza del più grande sindacato italiano è un elemento sconcertante: come fa quello che dovrebbe essere il principale strumento dei lavoratori per portare avanti le proprie lotte economiche a prendere posizione in una piazza del genere, che nel migliore dei casi preferisce spendere miliardi in armi invece che in sanità, istruzione, sicurezza sul lavoro, pensioni… mentre nel peggiore vedrebbe ben volentieri i lavoratori nelle trincee come nuovi guerrieri d’Europa[4]? Fortunatamente (in questo caso) la CGIL è un colosso eterogeneo e i deliri della segreteria Landini non sono condivisi da una parte rilevante della base del sindacato, che spesso ignora le linee politiche espresse dalla dirigenza, e diversi iscritti al sindacato hanno prodotto una lettera[5] in cui viene espresso disappunto e disapprovazione per l’adesione alla piazza definita, giustamente, reazionaria e guerrafondaia. Da segnalare che una dinamica simile è avvenuta anche all’interno dell’ANPI[6].
Per quanto riguarda AVS, la partecipazione alla piazza europeista non stupisce. Storicamente il piano inclinato della guerra ha sempre portato i socialdemocratici a mostrare la loro vera faccia e a schierarsi con la propria borghesia a discapito dei lavoratori. Riteniamo però sia necessaria un’opera di demistificazione dei soggetti in questione dato il finto radicalismo di cui si ammantano grazie alla presenza di alcuni deputati o eurodeputati legati all’antifascismo o a vecchi percorsi di militanza.
Il partito Alleanza Verdi e Sinistra, a partire dalle dichiarazioni di Ilaria Salis[7], si è detto contrario al riarmo, ma a favore di un esercito europeo, posizione assimilabile a quella espressa da Prodi[8], e che fa il gioco di alcuni settori della borghesia europea, che sfrutteranno la maggiore capacità militare e repressiva di un esercito comune per perseguire i propri interessi di classe, non certo per proteggere quelli dei proletari. Così da un lato il piano ReArm Europe è passato senza troppe difficoltà e dall’altra viene fatta avanzare da “sinistra” l’idea della necessità di un esercito comunitario, soffiando sulla paura infondata di un’imminente invasione dei “cosacchi” e andando incontro alla necessità della borghesia europea di rafforzarsi come polo imperialista facendo solo un banale ragionamento “aziendale” e non politico per cui un esercito unico è più efficiente in termini di spesa rispetto a 27 eserciti separati.

Slogan a sostegno di ReArm Europe alla manifestazione di Piazza del Popolo
Nessuno, nel panorama politico istituzionale italiano, ha dunque messo in dubbio l’Unione Europea e il suo ruolo fortemente regressivo per le condizioni dei lavoratori europei e pericoloso dal punto di vista della pace.
Il dramma della posizione espressa è che è totalmente idealista e staccata dalla realtà. Si può parlare di pace e contemporaneamente parlare di esercito comune europeo? Un esercito comune europeo in che direzione andrebbe? L’esercito di un polo imperialista come quello europeo potrebbe mai avere natura solo difensiva? Tolto il fatto che la storia dell’ultimo secolo qualche indizio dovrebbe darlo, per rispondere a queste domande bisognerebbe avere chiara la natura dell’Unione Europea[9]. Nonostante anni di sforzi propagandistici fatti per farla apparire come l’”Europa dei popoli”, risulta sempre più evidente come questa sia l’Europa del capitale e dei monopoli che si muove a discapito dei lavoratori.
Il grado di idealizzazione e distacco della realtà appare chiarissimo, nonostante siano appena stati approvati 800 miliardi di euro per il riarmo, Fratoianni è in grado di dichiarare “o si fa un’Europa di pace o si muore”[10] senza domandarsi se l’unione di 27 paesi capitalisti possa effettivamente garantire la pace. O sono incredibilmente ingenui o sono complici. Sfortunatamente non crediamo esistano gli ingenui, almeno non in politica.
I compiti di chi vuole lottare per la pace

Spezzone del Fronte Comunista in piazza contro riarmo e guerra imperialista
Il compito immediato che si deve dare chiunque voglia lottare oggi per la pace è quello di rispondere colpo su colpo alla propaganda di guerra che serve solo agli interessi dei padroni. Per fare questo è necessario rimettere al centro una visione marxista del mondo per mostrare che dietro la retorica di chi ci rivorrebbe col moschetto in mano ci sono interessi chiari, e che questi interessi sono inconciliabili con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. Non è con l’avanzamento o la sconfitta di uno dei campi in lotta che i lavoratori potranno emanciparsi dallo sfruttamento e dal rischio della guerra.
Se è vero che per distruggere l’inevitabilità delle guerre è necessario distruggere l’imperialismo, è fondamentale dotarsi degli strumenti necessari per questo compito, primo fra tutti quello del partito, che sia espressione sia a livello teorico che pratico degli interessi del proletariato, specialmente mentre il mondo corre verso la barbarie.