Il 4 aprile è stato approvato dal governo Meloni, in un Consiglio dei Ministri durato mezz’ora, un decreto-legge che riporta quasi per intero i contenuti dell’ex DDL 1660 (poi DDL Sicurezza), fermo da tempo nel suo percorso di approvazione sia per motivi politici che di bilancio. Abbiamo già analizzato qui e qui i contenuti del vecchio DDL, spiegando come esso fosse paradigmatico delle intenzioni del governo di far fronte ad una grossa fetta di problemi sociali e delle contestazioni che essi suscitano come un mero problema di ordine pubblico, sottolineandone quindi il carattere classista e repressivo. Il nuovo decreto si differenzia dalla legge precedente soltanto per alcune accortezze inserite, come vedremo, al fine di garantire la costituzionalità del testo, e di aggirare il dibattito parlamentare per accelerare la messa in atto delle misure, alle quali viene evidentemente conferito un carattere “emergenziale”; queste scelte sono una dimostrazione palese di quanto la frazione della borghesia rappresentata dal governo attualmente in carica abbia bisogno di tutelarsi da soggetti e organizzazioni che essa reputa pericolosi per i suoi interessi. Analizzeremo in questo articolo, dunque, i provvedimenti più deleteri che sono entrati in vigore a partire dall’approvazione del decreto da parte del governo e, soprattutto, le ripercussioni che essi avranno sui ceti popolari, i quali saranno ancora di più esposti a ritorsioni dello Stato e dei padroni per azioni dettate da legittime esigenze dovute al crollo dei salari reali e all’inesistenza di diritti sociali effettivi.
Gli aspetti principali del decreto
1. Il decreto, innanzitutto, introduce una nuova fattispecie di reato finalizzata al contrasto del fenomeno delle occupazioni abusive di immobile destinato a domicilio altrui o di sue pertinenze: il delitto è punito ora con la reclusione da due a sette anni. Questo significa che se un proletario perde casa per colpa del lavoro povero e del caro affitti, ad esempio – ricordiamo che è stato da poco cancellato il fondo per la morosità incolpevole –, e ha necessità di occupare, per sopravvivere, un immobile abbandonato (o, anche, se parteciperà per solidarietà a un picchetto antisfratto) sarà punibile anche con sette anni di carcere. Da adesso, inoltre, le forze dell’ordine potranno inoltre intervenire subito, anche senza autorizzazione del giudice, e procedere allo sgombero in tempi rapidissimi. Questo significa che un atto di sopravvivenza verrà punito come un atto di violenza contro la “proprietà privata”, anche se è una proprietà pubblica, abbandonata e appartenente ai fondi speculativi che monopolizzano sempre di più il settore immobiliare.
2. Il provvedimento introduce poi, addirittura al primo articolo, il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo. Verrà punito con la reclusione da due a sei anni chi si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione e l’uso di congegni bellici micidiali, armi, sostanze chimiche o batteriologiche e di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti con finalità di terrorismo. Viene inoltre anticipata la soglia di punibilità per chi distribuisce, diffonde o pubblicizza con qualsiasi mezzo materiale contenente istruzioni per la preparazione e l’utilizzo di materie esplodenti essenziali per la commissione di reati gravemente offensivi. Per quanto possa sembrare una norma che previene atti di violenza eccessiva o arbitraria, essa contiene in maniera subdola un ennesimo pretesto per perseguire chi pratica lotta politica dura. Ad esempio, un militante che possiede sul suo computer o nel suo archivio dei documenti che potrebbero strumentalmente essere collegati a pratiche di sabotaggio, anche in assenza di precedenti penali, potrebbe essere punito. Si noti: essere punito non per quello che fa ma per quello che potrebbe fare, un vero e proprio processo alle intenzioni.
3. Il decreto interviene anche in materia di revoca della cittadinanza: viene esteso da tre a dieci anni il periodo in cui questa può essere esercitata nei confronti dello straniero, a decorrere dalla sentenza di condanna per i gravi reati già previsti dall’ordinamento. Questo significa che se una persona divenuta italiana da adulta fa militanza politica e compie atti interpretabili come “terrorismo” o eversione, anche dopo aver scontato la pena e aver ricostruito la sua vita, potrebbe subire la revoca della cittadinanza fino a dieci anni dopo la sentenza definitiva. In questo caso, la cittadinanza smette di essere un diritto e diventa un premio che si può revocare nei casi in cui si fanno battaglie aspre contro il sistema capitalista e le ingiustizie che esso provoca.
4. Nella nuova legge il Daspo urbano, ossia il divieto di frequentare determinate aree delle città, viene esteso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano. Viene inoltre esteso l’arresto in flagranza differita al reato di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico, commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. Si tratta, in questo caso, di un chiaro tentativo di intimidire qualsiasi tipo di lotta sui territori che possa in teoria degenerare in scontri con le forze dell’ordine o in momenti di mobilitazione convulsa, ovvero quasi tutti i tipi di lotta pesante nelle piazze. Soprattutto, si punta a scoraggiare attività di boicottaggio degli interessi dei padroni che abbiano a che fare con blocchi della produzione o del trasporto di merci.
5. Sulla scia di questo, viene anche inasprita la pena per il blocco stradale. Attualmente la legge punisce con una multa da mille a 4mila euro chi impedisce la circolazione su una strada ordinaria usando il proprio corpo. Il disegno di legge dispone che ostruire la circolazione stradale anche soltanto tramite il proprio corpo diviene un reato punibile con la reclusione fino a due anni. Se un lavoratore, per esempio di un magazzino Amazon o di un’azienda portuale, con altri colleghi blocca l’ingresso con un picchetto per denunciare lo sfruttamento, chiedere tutele o anche per contestare il transito di armi nei container, rischierà fino a due anni di carcere.
6. L’articolo 15 del decreto interviene in materia di esecuzione della pena per donne incinte e con figli: resta l’abolizione dell’obbligo di rinvio della pena per le condannate incinte o madri di bimbi più piccoli di un anno. Anche loro, quindi, d’ora in poi potranno finire in carcere. Si tratta di uno dei punti più contestati del provvedimento, su cui si erano focalizzate le attenzioni del Presidente della Repubblica. La modifica apportata è minima e non riguarda l’esecuzione della pena bensì la custodia cautelare: nel decreto viene inserito l’obbligo di eseguirla presso un istituto a custodia attenuata.
7. Il decreto predispone un’ulteriore aggravante in caso di atti violenti commessi al fine di impedire la realizzazione di un’infrastruttura (la cosiddetta norma “anti no Ponte o no TAV”), ma viene specificato nel testo che le infrastrutture sono quelle «destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici». Fa il suo esordio, inoltre, la nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni. In altre parole: coloro che si oppongono alla costruzione di una nuova base militare, di un hub per il transito di armi, di un poligono di tiro, di una miniera estrattiva, di una discarica vicino a una scuola, di un’autostrada che devasta un parco naturale e si difende da una carica della polizia rischia un’ulteriore aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale con una pena aumentata di un terzo e l’impossibilità di beneficiare di attenuanti, eccetto nel caso che l’imputato sia minorenne.
8. Il decreto, però, non si limita a rendere la vita difficile a coloro che sono considerati un fastidio dai padroni, ma si impegna a tutelare coloro che oggi ne difendono gli interessi. Infatti, per gli appartenenti alle forze di polizia, al corpo nazionale dei Vigili del fuoco e alle Forze armate indagati o imputati per fatti connessi alle attività di servizio, lo Stato potrà corrispondere fino a 10mila euro per le spese legali in ciascuna fase del procedimento. È prevista la rivalsa se venisse accertata la responsabilità del dipendente a titolo di dolo ma questa è esclusa, invece, in caso di sentenza di non luogo a procedere, per intervenuta prescrizione, per archiviazione e negli altri casi di proscioglimento. Perciò, se un agente di polizia, un carabiniere o un militare è imputato o indagato per un fatto connesso al suo servizio, ad esempio lesioni durante una manifestazione o uso eccessivo della forza in un fermo o uno sgombero, non rischierà nulla. Un neanche troppo nascosto invito alle forze dell’ordine a usare la “mano pesante” per reprimere le contestazioni e le manifestazioni di piazza contrarie agli interessi del capitale italiano.
9. Inoltre, le forze di polizia potranno indossare bodycam sulle divise, ossia dispositivi di videosorveglianza idonei a registrare l’attività operativa nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno, provvedimento che, come abbiamo già fatto notare, diverse associazioni hanno definito ad esclusiva protezione degli agenti in assenza di codici identificativi che permettano ai cittadini di risalire a chi si trovano di fronte. Infine, gli agenti della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza o della Penitenziaria potranno portare con loro, anche fuori servizio e senza licenza, pistole, rivoltelle, armi lunghe e persino bastoni animati con lama, anche se non sono armi in dotazione. Non ci sarà nessun obbligo di visita medica, di informare la famiglia o la questura, nessun controllo psicologico né esami tossicologici. Un via libera totale che allarga il potere repressivo dalla sfera pubblica a quella privata, annullando qualsiasi garanzia.
10. Oltre a colpire persone senza fissa dimora, lavoratori sfruttati, attivisti per l’ambiente e militanti politici, il decreto inasprisce le pene per i reati commessi nell’altro luogo dove la presenza di proletari è più densa: le carceri. Il provvedimento aumenta infatti la pena per chi istiga alla disobbedienza delle leggi se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario o attraverso scritti o comunicazioni dirette a persone detenute. Il reato di «rivolta all’interno di un istituto penitenziario» punisce così le condotte di promozione, organizzazione o direzione e partecipazione a una rivolta consumata all’interno di un istituto penitenziario da tre o più persone riunite, mediante atti di violenza o minaccia. Se un detenuto in un carcere in condizione di sovraffollamento, umiliazione o abbandono deciderà anche solo passivamente di partecipare a una protesta collettiva potrà essere accusato del reato di rivolta penitenziaria e gli verranno inflitti da uno a cinque anni di carcere, fino a otto se è promotore, e fino a venti se ci saranno morti o feriti, anche causati dalla polizia. Inoltre, se qualcuno esprimesse solidarietà dall’esterno invitandolo a resistere potrà essere accusato di istigazione a disobbedire alle leggi.
11. Restando sul tema della detenzione, se una persona immigrata rinchiusa in un Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) o in un centro d’accoglienza organizza o partecipa a una rivolta contro le condizioni disumane nelle quali è costretta a vivere potrà essere punita con il carcere da uno a sei anni, se si tratta del promotore della rivolta, o da uno a quattro anni, se vi partecipa. Se durante la protesta un agente o un membro dello staff del CPR subisce lesioni gravi, la pena può arrivare fino a vent’anni. Il CPR diventerà ancora di più un’area senza diritti, con ogni gesto di autodifesa che potrà essere interpretato come una minaccia all’ordine pubblico. Ancora sul tema dell’immigrazione, nel decreto-legge non c’è più la norma vessatoria che prevedeva l’obbligo di avere il permesso di soggiorno per acquistare una scheda SIM, ai migranti extra-Ue basterà esibire un semplice documento di riconoscimento.
12. Se, inoltre, un capitano di una nave ONG mentre salva dei profughi che le istituzioni hanno abbandonato non obbedisce a un ordine di fermo o ritarda a consegnare dei documenti potrà essere punito con fino a due anni di carcere per non aver obbedito all’intimazione dell’autorità. Se, poi, gli verrà contestata una “resistenza”, anche non violenta, contro una nave da guerra, come una motovedetta della Guardia di finanza, rischierà da tre a dieci anni di reclusione. Un’azione umanitaria e il salvataggio di vite diventeranno “resistenza” alle autorità.
13. Infine, il decreto cancella una delle norme più controverse del disegno di legge, quella che imponeva alle amministrazioni pubbliche, alle università e ai centri di ricerca l’obbligo di rispondere alle richieste di collaborazione dei servizi segreti, in deroga alla normativa sulla privacy. Nel decreto rimangono, tuttavia, le tutele per gli appartenenti ai servizi in relazione ad attività di contrasto rispetto a condotte riferibili a minacce terroristiche e sovversive, e l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza al personale delle forze armate adibito alla tutela delle strutture delle agenzie di informazione, laddove non ne sia già in possesso. Questo significa che un agente dei servizi segreti (AISE, AISI, DIS) che operi in nome della “sicurezza nazionale”, potrà infiltrarsi, organizzare, finanziare gruppi eversivi, detenere esplosivi, spiare, hackerare, violare domicilio e comunicazioni. Potrà persino deporre in tribunale con una falsa identità. Lo Stato borghese, in altre parole, reprimerà e agirà senza volto per indagare e danneggiare le attività di organizzazioni che sono considerate una minaccia politica dagli apparati dello Stato. O peggio ancora, come la storia del dopoguerra in Italia ci insegna, lo Stato potrà mettere in campo legalmente tramite i suoi agenti gli stessi atti terroristici sotto “false flag” per giustificare ulteriori strette repressive e antipopolari.
L’inasprimento delle misure repressive cucite in maniera accorta contro i proletari che rivendicano i loro diritti non è, naturalmente, soltanto la conseguenza del carattere securitario del governo di destra che opera oggi. Si tratta, invece, di una tendenza che va avanti da decenni e si accentua in parallelo con l’addensarsi dei periodi di crisi che il capitalismo italiano ed europeo subisce. Non è un caso, in effetti, che questa ulteriore stretta repressiva, avvenuta solo pochi anni dopo quella del decreto Salvini del 2018 – mai completamente abrogato – si inquadri in un contesto di accentuazione della crisi con l’incertezza dovuta ai dazi americani, che segue a distanza di pochissimo tempo la crisi economica legata al Covid e quella scaturita dall’aumento dei costi dell’energia a seguito della guerra in Ucraina. La borghesia, soprattutto nei momenti in cui sente minacciata la propria redditività, tende a richiedere misure che frenino ogni ulteriore danneggiamento dei suoi interessi economici. Anche per questo, riteniamo opportuno far notare che il quadro repressivo italiano è andato intensificandosi negli ultimi tempi e a prescindere dal colore politico dell’esecutivo borghese al governo.
La repressione negli ultimi anni
Facendo una panoramica di alcuni degli eventi e dei provvedimenti repressivi che hanno caratterizzato il nostro Paese di recente, molti ricordano solo i fatti del G8 di Genova del 2001, mentre pochi citano – ad esempio – la repressione della lotta No TAV, evidente in episodi come le perquisizioni fatte fare dalla Procura nel 2013 (governo Letta) a casa di alcuni giovani esponenti, giustificandole con la possibile esistenza di una associazione terroristica. Pochi ricordano, poi, che negli ultimi anni la maggior parte delle azioni repressive è avvenuta durante i governi sostenuti dal PD e dal M5S, che oggi manifestano in maniera ipocrita contro il decreto Sicurezza. Basti pensare che il primo esempio di Daspo urbano lo istituì Minniti nel 2017 (governo Gentiloni). I primi due esecutivi Conte, come abbiamo accennato, hanno istituito e poi in parte confermato i primi decreti sicurezza, altamente repressivi per chi manifesta aspramente in strada con picchetti o blocchi: questo ha spianato la strada alle aggressioni poliziesche o squadriste. Una parte importante dei decreti sicurezza del 2018 riguardava, infatti, già la repressione delle lotte operaie e sociali, con un pacchetto di disposizioni che inaspriva le pene per i reati commessi durante manifestazioni e criminalizzava le forme di lotta del movimento operaio, soprattutto con la reintroduzione del reato di blocco stradale. Questa parte del decreto Salvini non è stata affatto abrogata dal governo Conte II. L’occupazione di fabbriche e terreni, una delle più incisive forme di lotta del movimento operaio e contadino, è stata punita con quattro anni di reclusione per gli organizzatori e due per i partecipanti. Gli effetti di questa stretta repressiva si sono subito fatti sentire: 41.000 euro di multe per i lavoratori della tintoria Superlativa di Prato, colpevoli di aver protestato contro il lavoro nero e i turni massacranti. E ancora migliaia di pastori indagati per le rivolte del latte in Sardegna di inizio 2019.
Procedendo con quanto accaduto durante i governi sostenuti da PD e M5S, il 16 giugno 2021 (governo Draghi), per esempio, si è verificata una gravissima aggressione ai danni dei lavoratori immigrati della fabbrica Texprint di Prato che, con l’appoggio del sindacato SI Cobas, animavano da diversi mesi un picchetto permanente denunciando le gravi condizioni di sfruttamento all’interno dell’azienda. In questo e altri casi le forze dell’ordine curiosamente non sono intervenute, evidenziando una gravissima responsabilità del Ministero dell’Interno e degli apparati dello Stato legati alle forze dell’ordine. Ricordiamo poi il contrasto continuo alle manifestazioni degli studenti contro l’alternanza scuola-lavoro: a gennaio 2022 (sempre governo Draghi) la polizia antisommossa di Torino ha picchiato con i manganelli gli studenti che manifestavano contro la morte in alternanza scuola-lavoro di un ragazzo di 18 anni; circa 20 persone sono rimaste ferite, una in modo grave. Nello stesso periodo sono avvenute le gravissime perquisizioni contro gli attivisti di Fridays for Future. Alle 6:30 del 19 maggio 2022 (ancora governo Draghi), infatti, tre attivisti di Fridays For Future Milano sono stati perquisiti nelle proprie abitazioni da 18 carabinieri – 6 per ognuno – a seguito di un mandato di perquisizione; sono state perquisite le loro case, sequestrati cellulari e abiti, ed è stato loro chiesto di spogliarsi e fare flessioni. La richiesta di perquisizione era arrivata, in particolare, da Gazprom, la multinazionale del gas russa, che accusava gli attivisti di aver oscurato le telecamere di sorveglianza con l’accensione di un fumogeno e aver imbrattato di vernice l’esterno della sede di un rivenditore milanese della compagnia, durante la partecipazione a un’azione organizzata da collettivi studenteschi. A luglio 2022, con il governo Draghi agli sgoccioli, sei sindacalisti, di SI Cobas e USB, sono stati arrestati e indagati per quello che coincide praticamente come nient’altro che attività sindacale e che era stata interpretata dal procuratore di Piacenza come «associazione a delinquere». La violenza poliziesca, inoltre, si è manifestata in maniera importante anche nelle carceri. A novembre del 2022, ad esempio, 105 agenti penitenziari e altri funzionari sono stati per fortuna processati, accusati di molteplici reati, compresa la tortura, per la violenta repressione di una protesta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020 (governo Conte II). Questo quadro, inoltre, non tiene conto dei tanti abusi subiti da militanti politici col pretesto delle restrizioni dovute al Covid, specialmente nel 2020 e 2021: multe per manifestazioni non autorizzate, cordoni polizieschi palesemente pretestuosi, divieti al diritto di protesta.
Vogliamo chiudere l’articolo accennando l’accanimento di cui i governi di centro-sinistra o a traino M5S si sono resi colpevoli nei confronti dei profughi, come abbiamo visto tra le vittime principali dell’ultimo decreto della Meloni. Innanzitutto, notoriamente, è stata la Legge Turco-Napolitano, la numero 40 del 1998 (governo Prodi I), a prevedere già un sistema di pianificazione degli ingressi basato non sul diritto dei più deboli ma sul mercato del lavoro. Il testo introdusse il permesso di soggiorno per gli stagionali o per la ricerca di occupazione e la protezione sociale a chi denuncia situazioni di sfruttamento. La legge del ’98 rendeva poi più rapide le procedure di espulsione con decreto amministrativo, e istituiva i Centri di permanenza temporanea per chi era in attesa d’identificazione o per gli irregolari.
Il 7 aprile 2020 (governo Conte II), l’Italia ha invece chiuso i porti agli sbarchi e ha dichiarato che, a causa della pandemia, il paese non era un luogo sicuro per i soccorsi effettuati da navi battenti bandiera straniera, al di fuori della sua regione di ricerca e soccorso. La misura è sembrata prendere di mira le navi delle ONG che spesso, dopo i soccorsi, sono state lasciate in mare per giorni senza istruzioni. Quando il trasferimento in Italia veniva autorizzato, le persone soccorse erano poste in quarantena su grandi navi, generalmente per due settimane, prima di essere trasferite a terra. Centinaia di rifugiati sono arrivati autonomamente, per la maggior parte sull’isola di Lampedusa, provocando un grave sovraffollamento nel centro di accoglienza locale. Per i rifugiati sull’isola è stato difficile aderire alle norme sul distanziamento fisico e il periodo di quarantena veniva reimpostato a ogni nuovo arrivo. Durante tutti i governi Conte e Draghi, inoltre, è continuata la cooperazione con la Libia – inaugurata da Minniti nel 2017 – sul controllo delle frontiere, che ha portato all’intercettazione da parte delle autorità libiche di migliaia persone, fatte poi sbarcare in Libia, dove i profughi hanno continuato a subire torture e altri abusi sistematici. Negli stessi anni, sono pervenute numerose segnalazioni di torture e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti da parte di personale carcerario e agenti di polizia nei confronti di profughi.
È chiaro che per combattere la deriva repressiva che le istituzioni italiane hanno intrapreso ormai da tempo non si può che lottare per rafforzare la solidarietà di classe e l’organizzazione dei momenti conflittuali che siano coordinati sul territorio nazionale. Piuttosto che delegare questa battaglia ai rappresentanti di partiti borghesi, per quanto oggi all’opposizione, che hanno già dimostrato in passato da che parte stessero quando c’era da scegliere tra diritti dei lavoratori e degli sfruttatori, occorre rispondere alla repressione di classe con una strategia che metta veramente sulla difensiva la borghesia attraverso il danneggiamento concreto dei loro interessi economici. Se è vero che la politica è basata sui rapporti di forza tra le classi sociali, solo una presa di coscienza della reale forza del proletariato può essere l’antidoto all’impunità di cui attualmente gode la classe degli sfruttatori.