Caccia ai braccianti a basso costo in tempo di pandemia
L’arrivo della bella stagione e, di conseguenza, il maturarsi degli ortaggi e della frutta nelle campagne europee, acuiscono la crisi dovuta alla mancanza di manodopera stagionale a basso costo da impiegare in agricoltura, accelerando esponenzialmente i tempi in cui agire: si stima, per il prossimo semestre, la mancanza di lavoratori nel settore agricolo per una cifra che va dalle 200000 alle 350000 unità. Si tratta per lo più di braccianti stranieri, tra quelli fermi nei propri paesi di origine a causa del blocco delle frontiere per far fronte alla pandemia da covid-19, i rimpatriati in seguito allo scoppio dell’epidemia in nord Italia, e coloro che si rifiutano di lavorare temendo il contagio. La carenza di lavoratori si tradurrebbe nella più grave crisi economica del settore agricolo da decenni a questa parte, con migliaia di tonnellate di prodotti lasciate a marcire nei campi e sugli alberi, e prezzi in netta impennata nella GDO.
Altri paesi, come l’Inghilterra, stanno già attuando le strategie di implementazione dei “corridoi verdi”, con l’importazione di manodopera per via aerea (the Guardian parla di aerei charter atterrati a Stansted negli ultimi giorni, carichi di braccianti romeni per la raccolta di frutta e verdura), mentre le strategie che sembrano delinearsi in Italia, oltre alla preparazione di analoghi “corridoi”, per rispondere a tale impellente esigenza sono fondamentalmente due: la regolarizzazione degli immigrati irregolari ancora presenti sul suolo nazionale, proposta in Senato da Teresa Bellanova, attuale Ministro dell’Agricoltura, per consentire il riconoscimento del permesso di soggiorno ai cittadini stranieri, quindi la loro contrattualizzazione nelle campagne italiane; la seconda, che vede concordi Salvini per Lega e Bonaccini, a gennaio riconfermato presidente della Regione Emilia Romagna, per il Partito Democratico, individua nei beneficiari del reddito di cittadinanza una fonte di manodopera per le campagne italiane, in modo tale che chi percepisce il reddito “restituisca un po’ di quello che prende”.
La proposta del Ministro Bellanova, che raccoglie le istanze presentate dal terzo settore e dai sindacati confederali, permetterebbe ai circa seicentomila immigrati irregolari annualmente impiegati nell’agricoltura presenti in Italia di regolarizzare la propria posizione con un permesso di soggiorno, a fronte della stipula di un contratto di lavoro nelle campagne italiane.
«È urgente regolarizzare i migranti in attesa del permesso di soggiorno – afferma il segretario confederale della Cgil, Giuseppe Massafra – affinché anche loro possano accedere ai sostegni previsti per far fronte all’emergenza Covid-19» ed essere dunque sottratti al caporalato, che sfrutta queste persone costringendole a orari di lavoro improbi per paghe da fame, sempre in nome della competitività del prodotto finale nel mercato: un intento che può apparire nobile, ma i cui limiti sono però nettamente tracciati dalla precarietà della contingenza. Il lavoro per queste persone, ammesso che poi nel concreto si attuino le prospettive di assunzione previste, per quanto regolare e con garanzia di alcuni diritti per il titolare, come il permesso di soggiorno, non saranno però slegati dalla logica stagionale del lavoro bracciantile: finita la stagione, finito il lavoro, finiti i diritti, esclusi quelli agli ammortizzatori sociali.
Per quanto la regolarizzazione anagrafica dei lavoratori immigrati permetta di costruire una prima base sicura per il riconoscimento di ulteriori diritti e di successive lotte, la questione dello sfruttamento di questa categoria di lavoratori non sarebbe comunque risolta o migliorata in maniera sostanziale.
I problemi del diritto ad una casa anziché un ghetto fatiscente, del cosiddetto lavoro “grigio”, del salario e delle ore realmente lavorate, restano questioni che questo sistema non può risolvere perché sono alla base della sussistenza dell’intera filiera agroalimentare.
La seconda strategia menzionata, che vede concordi Lega e PD, in realtà aderisce in parte alla proposta delineata da Coldiretti e Confagricoltura con largo anticipo rispetto alle uscite dei due leader politici, ovvero la reintroduzione dei voucher per i neo – braccianti agricoli da arruolare nel settore attualmente più in crisi, quello ricettivo/ristorativo. Pagando in voucher, le aziende agricole non sarebbero obbligate alla contrattualizzazione dei lavoratori, risparmiando notevolmente in contributi, e questi ultimi potrebbero continuare a percepire gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, NaSPI ecc., che spettano loro in seguito alla chiusura delle attività in cui erano occupati), tra cui, ovviamente, il reddito di cittadinanza: diventa quindi evidente che l’apparentemente inaudita condivisione di vedute tra Lega e PD sulla linea dell’utilizzo nei campi dei fruitori del RdC si inserisce perfettamente nella strategia di Coldiretti e Confagricoltura, ovvero dei maggiori organi di rappresentanza del padronato. Pensare che 500 euro lordi, integrati o meno a mezzo voucher, possano rappresentare il reddito ideale per un bracciante agricolo stagionale è sintomo della concezione classista consolidata che si ha di questa figura lavorativa, che non ne mette minimamente in discussione i caratteri di precarietà temporale ed economica. Se pensiamo poi che questi cinquecento euro ricadono sulla fiscalità generale, ecco che il padronato scopre definitivamente le sue carte, cercando palesemente di ottenere manodopera a costo zero, facendola addirittura pagare a tutti i contribuenti già gravati dalla crisi.
Nessuna delle due strategie proposte, in fin dei conti, fuoriesce dal solco della continuità: piuttosto che ripensare in maniera sistemica un settore strategico per la nostra economia, già in crisi da molti anni, secondo un criterio di equità per lavoratori, si preferisce intervenire con palliativi che, al solo scopo di rendere disponibile nell’immediato manodopera in quantità e a basso costo, forse permetteranno al settore agricolo la continuità nella fornitura di prodotti a prezzi competitivi fino al prossimo anno, ma non contribuiranno minimamente a mutare le contraddizioni che ne costituiscono lo sfruttamento dei lavoratori a livello strutturale.
Il sistema agricolo capitalistico palesa come la fornitura di frutta e verdura a prezzi estremamente convenienti per il consumatore abbia il suo rovescio della medaglia in un costo sociale altissimo in termini di sfruttamento e mancanza di diritti dei lavoratori. Mantenendo il costo della manodopera bracciantile il più basso possibile, e lasciando inalterato il carattere di precarietà che connota da decenni questa categoria professionale, il settore agricolo continuerà ad essere insostenibile per i lavoratori già impiegati in esso e non potrà essere uno sbocco realistico per i disoccupati del nostro paese, nonostante la sua importanza fondamentale nel soddisfacimento dei bisogni primari della società.