Hegel e Marx: dall’Idealismo al Materialismo storico. Una risposta a Fusaro e Gentile 2/3
La gnoseologia materialistica di Marx
Marx, nel 1843, perviene ad una nuova concezione del concetto. Per Marx il concetto perde ogni valore ontologico, per cui esso non è più destinato a cogliere nel suo esserci una struttura assoluta del reale e duplicarla nel concetto; in stretta connessione con questo, Marx rifiuta il criterio trascendente della verità come adaequatio intellectus et rei.
In opposizione al razionalismo metafisico, Marx elabora una concezione critica del concetto e scrive: “Ma questo comprendere non consiste, come Hegel crede, nel riconoscere ovunque la determinazione del concetto puro, bensì nel concepire la logica specifica dell’oggetto specifico.”[1] Quindi Marx, già nel 1843 è consapevole che il concetto è il processo di razionalizzazione del dato empirico, è il processo di teoreticizzazione della realtà empirica che la strappa dai limiti dogmatici dell’immediatezza e del teleologismo metafisico e la risolve nella sua struttura relazionale che costituisce l’obiettività positiva dell’oggetto.
Marx perviene, in tal modo, ad una concezione categoriale dell’ontologia che non ha nulla a che vedere con l’ontologia metafisica hegeliana.
Marx, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, dimostra di aver acquistato chiara consapevolezza che il concetto critico ha una struttura dialettica – “pensare ed essere sono dunque, certamente distinti, ma ad un tempo in unità l’uno con l’altro”[2] – per cui esso, per la reciproca funzionalità di essere e pensiero, è un’idea-limite, è un concetto-limite; esso esprime un compito infinito del pensiero, che mira all’universalità di un momento dell’esperienza, intesa non come l’astratta generalità di tale momento ma come il sistema dei rapporti, dei significati, dei valori che in esso s’intrecciano e che da esso si sviluppano.
La mancata comprensione del concetto di materia in Marx ha rappresentato un limite gravissimo nella filosofia di Gentile perché il nostro critico della metafisica dell’essenza[3], anche se ha pubblicato le tesi di Marx su Feuerbach,[4] è stato incapace di cogliere la portata teoretico-antimetafisica della filosofia marxiana e segnatamente dell’XI Tesi: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in modi diversi, si tratta piuttosto di mutarlo”.
Questa tesi, in forma concisa, costituisce la critica più profonda che sia stata mossa alla metafisica dell’essenza, alla metafisica idealistica, al suo fondamento teoricistico[5] e alla sua intrinseca tautologia.
Conseguentemente è inevitabile l’XI Tesi, cioè il rifiuto opposto da Marx ad ogni forma di filosofia contemplativa, al realismo concettuale che ne è il fondamento, e che consiste in un’interpretazione dogmatica del concetto inteso come immagine astratta di un’entità essenzialmente reale. Da qui la polemica marxiana contro le astrazioni ipostasi, contro i concetti ontologici.
Fusaro segue fedelmente il maestro, nell’ingenuo convincimento che Gentile lo immunizzi da clamorosi errori ed afferma: “L’undicesima tesi alla “riflessione feuerbachiana […] contrappone il codice idealistico della coincidentia oppositorum, dell’identità nell’opposizione tra il polo del soggetto e quello dell’oggetto”.[6] Ed ancora: “l’undicesima delle Thesen, […] da leggersi […] come una ripresa del fichtiano idealismo in quanto filosofia che accorda operativamente l’Oggetto al Soggetto, il mondo alla ragione rivoluzionaria”.[7]
Gli errori conseguono inarrestabili: Fusaro non comprende la differenza tra metafisica e materialismo marxiano, tra pensiero critico e pensiero dogmatico-metafisico, tra concezione negativa della materia e concezione positiva del mondo empirico, tra le fasi della “vita” dell’Assoluto e la prassi trasformatrice. Ne consegue che, con la disinvoltura del dilettante filosofico, pensa di poter applicare lo schema soggetto-oggetto della metafisica idealistica al pensiero di Marx, non rendendosi conto che la realtà per Marx è un processo infinito che si sviluppa sotto lo stimolo dell’attività teoretica e pratica che dialetticamente si relazionano tra di loro, e non l’emanazione di un Assoluto-Soggetto.
Il pensiero, nell’opera di conoscenza della realtà da esso indipendente (ed è questa indipendenza che Fusaro, prigioniero dei suoi schemi hegeliani, non può ammettere), non è un’attività ricettiva, riflettente come uno specchio, bensì un’attività attiva di teoreticizzazione di tale realtà, cioè di elaborazione dell’esperienza secondo un proprio sistema di categorie che, quindi, sono i principi euristici dell’esperienza.
Risultato di questa operazione è il concetto in sé dialettico (astrazione determinata, idea-limite, che non ha nulla a che vedere con il concetto inteso “nel senso della hegeliana Scienza della logica”[8]) tra la polarità universale – o tautoeterologica – e la polarità di realizzazione pragmatica, per cui esso non ha valore ontologico di rispecchiamento ma metodico-funzionale cioè il concetto è una legge di struttura che non contempla le strutture della realtà empirica ma conosce tali strutture per cambiarle con l’azione rivoluzionaria. Ed è questo, appunto, il significato dell’XI Tesi su Feuerbach.
Marx, contrariamente a quanto asserito da Fusaro,[9] respinge l’idea del sapere metafisico – che sostiene la validità di un sistema di valori assoluti posti a fondamento dell’agire umano – e restituisce la teoresi al mondo dell’umanità, per cui il sapere diventa sapere pragmatico, cioè sapere per fare che, penetrando la struttura dialettica della storia, attraverso l’esperienza dei suoi conflitti, individua, definisce le forze interessate alla creazione nella storia di una realtà universale umana, indicando loro una concreta direzione di lotta; esso è, pertanto, l’azione stessa nel suo determinarsi e superarsi storico in una realtà di cui essa è un momento essenziale.
Non bisogna essere dei “geni” come Gentile, o come Fusaro, per capire che Marx non può essere un metafisico perché la teoria di Marx è intessuta di ipotesi verificate e, quindi, di leggi continuamente da controllare e da “aggiustare” alla luce dell’esperienza storico-reale; nel suo pensiero i concetti, mai esaustivi, non hanno valore ontologico ma hanno un carattere metodologico; le soluzioni dei problemi, pertanto, hanno il valore di soluzioni limite, non definitive, non esaustive.
In altri termini, in Marx il sapere, cioè l’esigenza storica di teoreticizzare il reale empirico, è mosso dalla coscienza che esso è un processo aperto, infinito. E’ questo lo spartiacque che separa lo storicismo metafisico gentiliano dallo storicismo critico-antimetafisico marxiano.
Il marxismo è storicismo che non neutralizza la storia, ponendola come piano di oggettività di una disciplina privilegiata, bensì concezione della storicità vivente; l’azione non è un richiamo astratto all’obbiettività ideale di valori ma ricerca delle proprie condizioni reali di movimento, quindi ricerca della realtà.
Filosofare, dopo la lezione di Marx, significa intendere razionalmente questo umano mondo degli uomini in ogni sua dimensione, per operare dentro e mutarlo collaborando con gli altri, per conquistare per sè e per gli altri sempre nuove libertà.
Infine vogliamo evidenziare altri due punti della riflessione di Gentile che costituiscono lo stravolgimento delle tesi di Marx. Dice Gentile: una filosofia che “vuol essere materialistica non può quindi ammettere un pensiero come tale; anzi il pensiero considera forma derivata ed accidentale dell’attività sensitiva. Questa è l’attività originaria; e in essa è quindi la radice e la sostanza del pensiero. […] L’organismo del pensiero non è se non l’organismo di quest’attività [sensibile n.d.a.]”.[10]
Un altro presunto errore di Marx sarebbe quello di avere copiato la dialettica triadica – “Marx – scrive Fusaro – assume integralmente la dialettica hegeliana”,[11] estendendola dall’assoluto alla realtà storica: “Fichte diceva tesi, antitesi, sintesi, essere, non essere, divenire Hegel. […] Il soggetto, l’attività pratica di Marx è la tesi; le circostanze, l’educazione sono l’antitesi; il soggetto modificato dalle circostanze e dall’educazione, la sintesi”;[12] infine “il materialismo storico […] riesce uno de’ più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano, in quanto riconduce ad una metafisica (scienza necessaria ed assoluta) del reale inteso come oggetto alla maniera prekantiana; e, quel che è più, trascina alla concezione di una dialettica, determinabile a priori, del relativo”.[13]
Sfugge a Gentile e Fusaro, e in ciò è un ulteriore, grave, limite teoretico del loro pensiero, che gli schemi teoretici del giovane Marx, nati dall’esperienza hegeliana, sono antitetici alla metafisica idealistica e alle concezioni universalistiche della coscienza borghese. Essi, infatti, sono gli strumenti che hanno permesso a Marx di concepire un realismo attivo come principio del rinnovamento della vita dell’umanità che crea dalla sua realtà a se stessa il proprio mondo e il proprio destino (es. il procedimento di autoliberazione dell’umanità dalle sue alienazioni storiche descritto nei Manoscritti).
Proprio per questo la critica di Marx alla filosofia hegeliana non poteva che andare oltre la critica all’Idea e alla presupposizione del pensiero all’essere; essa si estende proprio al nucleo essenziale della filosofia hegeliana, alla dialettica, cioè allo sforzo di Hegel di dedurre dall’Idea, con un processo di puro pensiero, la Totalità del reale. Tale critica non è diretta a liberare il metodo hegeliano dalla prigionia del sistema e a sostituire la dialettica dell’Idea con una dialettica (immutata) della materia, esattamente al contrario di quanto sostiene un luogo comune consolidato che ha visto accomunati filosofi idealisti come Gentile (e oggi Fusaro) e i primi commentatori e divulgatori della filosofia marxiana.
Per Marx la dialettica e il sistema in Hegel sono strettamente connessi tra di loro: infatti la dialettica è strettamente connessa con l’Idea, con l’idea di Tempo omogeneo che è il luogo dove si svolge l’auto-discorso dello Spirito; di Storia progressiva, di Sviluppo dell’Identico; proprio per questo la critica alla dialettica è sempre la critica alla metafisica di Hegel e la critica a quest’ultima è sempre la critica alla dialettica.
La dialettica di Marx è una dialettica non dell’oggettività originaria (cioè dell’uomo naturale) ma è dell’uomo nel suo lato oggettivo (naturale) e generico (storico-sociale) al tempo stesso. Tale momento, che in Marx è il momento della mediazione, rende perciò impossibile la dialettica triadica hegeliana in quanto viene a mancare il primo momento, quello dell’immediatezza, dell’in sé che è, invece, il primo momento della dialettica triadica.
In Marx “la capacità di comprendere i lati del reale dentro un processo di sviluppo deriva, al contrario che in Hegel, da una dialettica i cui termini sono due, eterogenei tra loro: da un lato i dati di fatto di natura scientifica, dall’altro astrazioni concettuali che oltre ad analisi scientifiche della realtà forniscano strumenti per eventualmente trasformarla”.[14]
_____________________
[1] Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili, cit., p. 105.
[2] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, cit., p. 239.
[3] Gentile, infatti, rimproverava alla metafisica dell’Essere di essere un’ontologia realistico-statica (l’Essere è una realtà che esiste in sé, indipendentemente dal soggetto); in contrapposizione ad essa sosteneva la dinamicità dello Spirito come realtà in fieri.
[4] G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, 1974, Firenze, pp. 68-71.
[5] Le filosofie teoricistiche sono quelle che identificano in modo assoluto il senso del reale (universale) con un dato conoscitivo particolare (es. lo Spirito di Hegel, l’esperienza nell’empirismo, Dio nelle religioni) e giustificano l’identità mediante il ricorso ad una conoscenza autogarantita.
Tale concezione teoricistica implica una contraddizione in quanto spiega e garantisce la validità del conoscere, del pensiero, sulla base di una realtà che deve a sua volta essere spiegata e garantita dal conoscere stesso. Il processo d’ipostatizzazione, quindi, è teoreticamente arbitrario.
[6] D. Fusaro, Il futuro è nostro, Filosofia dell’azione. Bompiani, Milano, 2014/2016, p. 278.
[7] D. Fusaro, Marx idealista, p. 11.[7]
[8] Ibidem, p. 54.
[9] Cfr. D. Fusaro, Marx idealista, p. 29.
[10] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 83. Ancora una volta il filosofo dell’atto ignora che Marx nei Manoscritti aveva affermato che il sapere è un’unità dialettica di due distinti qualitativi (e non quantitativi come in Hegel): la ratio essendi o senso (materia) e la ratio cognoscendi o pensiero dove il primo momento porta al conoscere e il secondo momento costituisce il processo del conoscere.
[11] D. Fusaro, Marx idealista, p. 26 e p. 92.
[12] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 85.
[13] Ibidem, p. 58.
[14] N. Merker, K. Marx, Laterza, Bari, 2010, pp. 152-3.