Le aziende di call center approfittano della crisi: la denuncia di un lavoratore.
Abramo Holding SpA è una società multinazionale del settore della fornitura di servizi di “call center” alle imprese, con filiali in Brasile, Germania, Albania, Slovenia, oltre che in Italia. Nel nostro Paese occupa circa 4mila lavoratori con contratto stabile nei call center, ma molti più sono i dipendenti con contratti a termine, interinali e altre forme precarie. Ha sedi a Roma, Palermo, Catania, Cosenza, Catanzaro e Crotone. Tra i committenti principali troviamo Eni, Enel, Poste, Tim, Alitalia, Rai, Sky e molti altri grandi monopoli. La crisi sanitaria ha impattato duramente su un settore che storicamente vede molto diffuse le forme di precariato e quindi la mancanza di tutela del posto di lavoro e del salario. L’Ordine Nuovo ha ricevuto una lettera di denuncia da parte di uno di questi lavoratori. La pubblichiamo ringraziandolo.
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“L’emergenza legata alla diffusione del virus Covid-19, il panico scatenato dai media in tv e l’impreparazione del sistema sanitario, vittima di un sistematico smantellamento negli ultimi decenni, hanno fatto sì che l’Italia precipitasse in uno stato di confusione e paura. Il mese di marzo è stato estremamente critico da questo punto di vista. Dal canto loro le aziende hanno minimizzato il problema del distanziamento sociale, spesso impossibile nei luoghi di lavoro o produzione e la logica del profitto è finita per ricadere sulle spalle dei lavoratori che, laddove possibile, hanno cercato di proteggere le loro famiglie facendo ricorso agli strumenti che il mondo del lavoro prevede (ferie, malattia e/o congedi parentali).
Il problema è stato duplice e ancor più accentuato nelle famiglie con figli: rimasti improvvisamente a casa, vista la doverosa chiusura degli istituti scolastici, i genitori si sono trovati nell’impossibilità di lasciarli da soli o naturalmente impossibilitati a pagare una babysitter che li accudisse. Compresa la gravità della situazione, il governo ha emesso provvedimenti straordinari come il congedo parentale retribuito al 50% e il bonus baby-sitting, mentre Confindustria, fregandosene come sempre della tutela e della salute dei lavoratori, ha esercitato fin da subito il suo potere pensando semplicemente al profitto ed a eventuali mancati guadagni. Il decreto Cura Italia emanato dal governo ha fatto sì che con una semplicità estrema e con un esame congiunto con le sigle sindacali solo figurativo, qualunque azienda potesse accedere agli ammortizzatori sociali.
Questo è avvenuto e avviene tutt’ora mentre queste righe vengono scritte, anche in settori che non hanno minimamente patito la crisi o avuto ripercussioni legate all’emergenza Covid-19. La cassa integrazione o FIS (Fondo Integrazione Salariale) nel comparto delle telecomunicazioni a cui si fa riferimento in queste righe e che è stata estesa fino al 31 luglio, è stata richiesta a tappeto da tutte le società che erogano in regime di subappalto, servizi per i colossi delle telecomunicazioni, Enel in testa. Secondo queste aziende ci sarebbero stati cali di volumi importanti e quindi di ricavi per queste società, vittime a loro volta del sistema in cui sguazzano, dei colossi che li sfruttano.
Non è una novità infatti che le grandi aziende diano mandato alle piccole società sulla base di gare d’appalto; a volte il prezzo offerto dalle aziende pur di accaparrarsi il servizio è così basso che copre a stento o addirittura non basta a coprire il costo orario di un lavoratore mediamente inquadrato al terzo livello contrattuale.
Il termine “mediamente” non è casuale. Le aziende spesso lasciano i lavoratori ad un livello contrattuale più basso di quello richiesto dalla mansione svolta da un operatore inbound (che riceve chiamate dai clienti) e quando vengono messe alle strette, laddove cedono, lo fanno a costo di vergognose conciliazioni che privano i lavoratori di soldi di cui avrebbero pieno diritto. In un settore come quello delle telecomunicazioni ed in un sistema come quello in cui viviamo, un dipendente non può nemmeno fare causa alla propria azienda perché i costi delle spese legali sono così proibitivi ed i tempi talmente lunghi che, 9 volte su 10, scoraggiano anche i più intransigenti.
Ad oggi i lavoratori dei call center sono vittime di un altro ricatto da parte delle aziende: il decreto infatti non obbliga le società ad anticipare la percentuale dello stipendio soggetto al Fondo di Integrazione Salariale. È imprescindibile sottolineare che questi lavoratori, gli stessi che rispondono ai vari numeri verdi nazionali, hanno contratti part time da 4 o 5 ore con stipendi che oscillano tra le 680 e le 850 euro al mese. Privare quindi intere famiglie di una fetta importante della loro fonte di sostentamento è quindi ancora più grave, soprattutto dove le aziende stanno usando la cassa integrazione per risanare i propri bilanci.
Un grido d’allarme viene ad esempio dai lavoratori della Abramo Customer Care con sede in Calabria ma che vanta aziende in Sicilia (Catania e Palermo) e un po’ in giro per l’Europa. L’azienda versa ormai da anni in una crisi, quindi quale miglior occasione per fare cassa e risanare le finanze se non adesso?
Questi signori, da sempre attenti ai bisogni dei propri dipendenti, hanno altresì deciso di non anticipare la percentuale delle ore di cassa integrazione, i lavoratori dovranno attendere le spettanze quando l’Inps sarà pronta ed erogarle, con ritardi quindi, e che nella migliore delle ipotesi, saranno disponibili dopo mesi.
Ricordo che le aziende che non anticiperanno, a livello nazionale, sono meno del 10% ed hanno tutte sede nelle zone lombarde più colpite dal virus.
Non paghi dello scempio, inoltre, da una nota interna fatta circolare sui sistemi dei dipendenti è stato annunciato proprio questa mattina un incremento delle ore di FIS per il mese di maggio, raggiungendo quindi percentuali che potrebbero tranquillamente superare il 40/45%. Questo perché i lavoratori si sono resi colpevoli di aver creato un danno al fatturato aziendale nel mese di marzo, usufruendo degli strumenti legali a disposizione come ferie, rol, congedi o malattia.
Come al solito, chi paga la crisi e chi ci rimette sono i lavoratori, la cui bocca è tappata dalla mano larga del decreto che ha permesso a qualsiasi industriale di appianare i propri debiti o addirittura di speculare sulla crisi. Il mondo delle telecomunicazioni infatti non ha subito flessioni legate all’emergenza, anzi, con 3/4 della popolazione chiusa a casa, la mole delle chiamate è aumentata drasticamente.
Ancora una volta assistiamo all’operato di un governo incapace di fare fronte alle istanze dei lavori, tenuto sotto scacco da quella vergognosa cricca che prende il nome di Confindustria e che, come al solito, non fa altro che lucrare sulla pelle dei lavoratori.
L’augurio che viene dal cuore è che la gente ricordi questi giorni e soprattutto prenda coscienza. Agli altri auguriamo di pagare caro e pagare tutto!”