L’Interruzione di gravidanza ai tempi del Covid-19
In questi tempi di crisi è ancora più chiaro come un sistema sanitario finanziato a singhiozzo non riesce a reggere una situazione emergenziale. Ma non c’è solo la difficoltà di approcciarsi all’emergenza, quanto all’ordinarietà del sistema sanitario. Come spesso accade sono le donne a pagare il prezzo più alto delle contraddizioni di questo sistema ed appare ancora più evidente in questa situazione di totale emergenza.
L’ordinarietà delle visite in questa situazione è venuta pian piano meno, infatti in una sanità che vede la scarsità e la precarietà della maggior parte del proprio personale sanitario è costretta a riorganizzarlo in funzione dell’emergenza stessa. Molti medici e personale sanitario infatti sono stati dedicati ad altri reparti o all’emergenza sanitaria, lasciando inevitabilmente altri comporti vuoti e in totale disservizio.
Uno di questi settori è il consultorio familiare, in cui oggi se una donna incinta o non, vuole prenotare una visita è assai difficile averla in tempi brevi. Molte spesso ciò che accade, anche in regioni più avanzate come l’Emilia Romagna, è che viene proposta la libera professione per l’accesso alle prestazioni e alle visite, proprio perché il sistema pubblico è al momento ingolfato e incapace di fronteggiare i servizi richiesti dalla popolazione.
Le misure restrittive messi in atto per fronteggiare il Covid-19, hanno anche causato un’improvvisa riduzione dell’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, in piena conformità con quanto è stato stabilito con il decreto dello scorso 9 marzo, molti ospedali italiani hanno infatti sospeso la fornitura del servizio perché considerato non essenziale, in maniera totalmente illegittima, contravvenendo alle legge 194/1978 che inserisce l’interruzione volontaria di gravidanza fra le prestazioni mediche essenziali. Ledendo così il diritto alla salute, anche costituzionalmente riconosciuto.
Le difficoltà in cui vertono i consultori familiari sono tante e da molto tempo. L’emergenza sanitaria non ci racconta purtroppo nulla di nuovo, peggiora solo una situazione che era già drammatica per le donne e le famiglie rispetto al diritto all’aborto. Ma oggi è assai più grave in considerazione del fatto che invece si potrebbe verificare un deciso incremento di gravidanze indesiderate, considerando quante donne vivono in condizioni di estrema violenza, costrette in casa senza alcuna forma di tutela.
L’Italia è uno dei paesi al mondo col più alto numero di medici obiettori di coscienza, con un tasso in crescita dall’approvazione della legge 194 (Grafico 1) e con una forte eterogeneità tra regioni . In aggiunta, nel 2017 solo il 64,5% degli ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia effettuava interruzioni di gravidanza, questo vuol dire che in certe ospedali non è proprio previsto l’intervento di IGV, per la mancanza di personale o meglio perché tutto il personale è obiettore.
In Italia la percentuale dei medici obiettori di coscienza è del 70%, con regioni nelle quali la percentuale arriva a superare il 90%.
Quello che in molte regioni italiane è sempre stato ordinarietà, oggi avviene quasi sistematicamente in tutto il paese. Le donne faticano sempre di più a chiedere appuntamenti a riguardo poiché alcuni ospedali sono stati destinati solamente al trattamento del Covid-19, imponendo ancora di più una peregrinazione delle pazienti che devono trovare la struttura ospedaliera in grado in tempi consono di effettuare la prestazione. Chiaramente con le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria non è così facile e agevole spostarsi. Diventa inoltre difficoltosa anche l’ospedalizzazione per la somministrazione della RU486 (farmaco per l’aborto farmacologico).
Ad aggravare la situazione e approfittando meschinamente del contesto di emergenza, ci hanno pensato i movimenti “pro vita”, che hanno avviato una petizione online circa un mese fa, indirizzata al ministero della Salute, per chiedere di vietare l’aborto negli ospedali italiani.
Ma le donne hanno sempre abortito, in ogni luogo e periodo storico anche quando l’aborto era illegale, attraverso le vecchie mammane, con gli aborti clandestini. Pertanto possiamo dedurre che anche in questo periodo si potrebbe verificare un aumento di aborti clandestini, facendo esplodere il fenomeno.
L’Istat ha stimato circa 10 mila-13 mila aborti clandestini in Italia per gli anni 2014-2016 e anche se la vendita online di pillole abortive ha reso la procedura meno rischiosa che in passato, abortire clandestinamente continua ad avere comunque molti rischi per la salute della donna.
Nonostante l’emergenza le richieste di aborto non possono attendere, pertanto è necessaria una nuova forma di organizzazione del sistema sanitario per adempiere a tali richieste. Chiaramente per sostenere il sistema sanitario ed in particolare il comparto dei consultori familiari sono necessari nuovi fondi, con ampliamento del personale socio-sanitario che accoglie le donne. Se i tempi di attesa si allungano inevitabilmente a causa situazione attuale allora bisognerà snellire la procedura, magari attraverso l’eliminazione della settimana di attesa e di “ripensamento” che viene imposta alla donna. Inoltre in riferimento alla somministrazione della RU486, se gli ospedali sono pieni allora è possibile prevedere una somministrazione diversa, come già avviene in altri paesi, demandata al personale dei consultori familiari, allungando magari anche i tempi della somministrazione stessa da sette settimane e nove settimane.
Appare chiaro come il problema non inizia e non finisce con l’emergenza sanitaria, la piaga dell’obiezione di coscienza va eliminata e non è possibile arrivare a compromessi come qualcuno è disposto a farci credere, che è possibile avere un equilibrio tra il personale obiettore e quello non. L’obiezione di coscienza va eliminata dal nostro ordinamento, l’articolo 9 della legge 194/1978 va abolito.
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Federica Savino, militante comunista, già Responsabile della commissione donne FGC, assistente sociale precaria