La spada di Damocle dei vincoli europei sulla ripresa economica
La Ue, di fronte alla peggiore crisi del dopoguerra, ha deciso all’inizio della pandemia di attivare la clausola d’emergenza che nei fatti sospende il controllo sulla finanza pubblica dei paesi europei. In pratica è stato sospeso il Patto di stabilità per quel che concerne i vincoli del 3% al deficit e del 60% al debito.
Tuttavia, in questi giorni la Commissione europea sta già pensando a quando reintrodurre il Patto di stabilità e i relativi vincoli.
Il Comitato consultivo europeo per le finanze pubbliche in un recente rapporto ha dichiarato che al momento dell’attivazione della clausola d’emergenza si sarebbero dovute fornire indicazioni sui tempi e sulle condizioni per la revisione della sospensione e che chiarimenti in merito dovrebbero essere forniti almeno entro la primavera del 2021. Il concetto è che la sospensione delle regole del Patto non può essere senza scadenza. Il vice-presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha preso spunto dal rapporto per dichiarare che “[Il rapporto del Comitato] è in linea con quello che pensiamo. Ora l’incertezza è troppo grande, ma ci torneremo [sulla questione della reintroduzione delle regole] in autunno per prendere decisioni allora o in primavera”.
La dichiarazione di Dombrovskis, che si era eretto, già nelle prime discussioni sulle misure anti-crisi, come paladino del controllo della finanza pubblica a ogni costo, lascia perplessi per due ragioni. In primo luogo la crisi in atto è molto più profonda di quello che si pensava, dal momento che, secondo il Fmi, nel 2020 il Pil dell’area euro calerà del 10,2% e quelli di Italia, Francia e Spagna caleranno di oltre il 12%. Il rimbalzo nel 2021 sarà per l’area euro del 6% e per i tre Paesi considerati tra il 6 e il 7%.
Ciò vuol dire che la ripresa del 2021 non sarà in grado di riportare il Pil sui livelli del 2019 e che servirà un periodo molto più lungo di un anno.
A questo proposito va ricordato che nel 2019 il Pil italiano non aveva ancora recuperato pienamente, a dieci anni di distanza, dalla crisi precedente, proprio a causa delle politiche di inasprimento del controllo di bilancio imposte durante la crisi. In secondo luogo, il deficit italiano, secondo il Mef, nel 2020 toccherà e forse supererà l’11%, mentre il debito con l’attivazione dei pacchetti di sostegno europeo, che in gran parte sono prestiti e perciò andranno a incrementare il debito, salirà, secondo il Fmi, oltre il 160%.
La situazione è talmente difficile che persino uno degli estensori del Patto di stabilità come il ministro dell’economia italiano, Gualtieri, ha dichiarato: “È evidente che tornare a una meccanica applicazione delle regole del Patto di stabilità nel 2021 non appare in linea con le previsioni attuali”[1]. Anche il commissario all’economia della Commissione europea, Gentiloni, ha avvertito, a proposito di quanto ha affermato Dombrovskis, che proprio la ricaduta nella crisi, dopo il 2009, nel 2011 dimostra che bisogna stare attenti a non sbagliare la tempistica del rientro dal debito. Tuttavia, Gentiloni ammette che la stretta sulla spesa dovrà esserci, anche se in modo graduale. Infatti, il ministero dell’economia, per tranquillizzare i partner europei più riluttanti ad allentare le regole del Patto, nel Piano nazionale di riforma punta a una prospettiva decennale di riduzione del debito, sostenuta dal rilancio degli investimenti pubblici, dalla revisione della spesa e dalla riforma fiscale “pro crescita”.
La discussione è, però, paradossale, perché mentre si pensa già al ripristino delle regole del Patto nel frattempo le misure anticrisi o non sono state ancora attivate (Mes e Sure) oppure la discussione sulla loro definizione è ancora in alto mare, come nel caso del Recovery Fund.
Quest’ultimo dovrebbe essere il provvedimento anti-crisi più importante, visto che, secondo la proposta avanzata da Germania e Francia, dovrebbe poter contare su 750 miliardi di euro, parte in prestiti (250 miliardi) e parte in sussidi a fondo perduto (500 miliardi), finanziati con l’emissione di titoli comuni da parte della Commissione europea e basata sul bilancio Ue che dovrebbe essere incrementato a 1.100 miliardi. Ma è proprio sul Recovery fund e sull’aumento del bilancio europeo che c’è disaccordo tra i vari Paesi europei e le decisioni definitive in merito vengono rimandate da un summit all’altro.
Non si deve, però, pensare che i fondi previsti verranno erogati con facilità e senza condizionalità. Sul Mes, destinato alle sole spese sanitarie, ci saranno dei controlli e la possibilità per la Commissione di introdurre delle condizionalità più restrittive nel corso dell’erogazione. Del resto, come Adriana Cerretelli ha ricordato sul Sole 24ore, rispondendo ai critici all’interno del governo Conte sull’uso dei fondi del Mes, anche il Recovery Fund è soggetto a precise condizionalità, dal momento che gli aiuti sono “condizionati dall’attuazione delle riforme indicate nelle raccomandazioni del cosiddetto semestre europeo con implicite cessioni di sovranità economica e di bilancio e con verifiche periodiche e con erogazioni per tranches, congelabili se Bruxelles non ritenesse conformi i piani concordati.”[2]
Appare così evidente che sulla ripresa europea e in particolare su quella italiana pende la spada di Damocle dei vincoli europei, che, contrariamente a quanto alcuni si illudono, continuano a essere presenti nelle decisioni che sono in gestazione presso gli organismi europei. Il capitale italiano e la Confindustria, come appare molto chiaramente dalla lettura del suo quotidiano, premono per l’accettazione da parte del governo del Mes e degli altri strumenti europei anti crisi. Evidentemente sperano in una pioggia di denaro che possa aiutare un sistema che era già in crisi prima che la pandemia la facesse venire alla luce, aggravandola nel modo più drammatico. Intanto, il presidente di Confindustria, Bonomi, chiama i sindacati principali alla collaborazione per il rilancio dell’economia. Il rientro dal debito, che prima o poi verrà messo in atto, evidentemente si pensa che verrà pagato dai lavoratori e dai disoccupati italiani e europei. Ancora una volta si dimostra che quella dell’euro e della Ue è una gabbia che favorisce il capitale e contribuisce a tenere sotto scacco i lavoratori.
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[1] B. Romano e G. Trovati, Torna il fantasma del Patto Ue. Gualtieri: non è nelle previsioni, Il Sole24 ore, 2 luglio 2020.
[2] A. Cerretelli, Per l’Italia il rischio è l’isolamento politico in Europa, Il Sole 24 ore, 2 luglio 2020.