Comunicato conclusivo della prima assemblea nazionale dei lavoratori combattivi
Riportiamo di seguito il comunicato conclusivo della prima assemblea nazionale dei lavoratori combattivi svoltasi lo scorso 12 luglio a Bologna che ha visto la partecipazione di decine di delegati e lavoratori da tutta Italia, provenienti da numerosi settori lavorativi. L’assemblea si inserisce nel più vasto processo di ricomposizione di un ampio fronte di classe che si pone l’ambizioso obiettivo di riorganizzare la controffensiva di classe di fronte all’approfondimento della crisi sociale ed economica che farà seguito alla crisi sanitaria.
L’assemblea e le sue conclusioni individuano fin da subito l’eccezionalità del contesto sociale in cui ci troviamo ad operare e la necessità di una risposta non ordinaria ai pesanti attacchi che, già adesso, ma con ancora maggior forza a partire dall’autunno, colpiranno i lavoratori e il sindacalismo di classe. Partendo dalle insufficienze espresse dal quadro di frammentazione sindacale esistente in Italia, e sgombrando il campo da processi velleitari di sommatorie a freddo, si individua la necessità di porre la riaggregazione di classe sul terreno reale del conflitto sociale e del protagonismo diretto dei lavoratori. Il riconoscimento dell’esaurirsi degli spazi di battaglia vertenziale, anche in quei settori in cui fino ad oggi è stata portata avanti in maniera vincente, porta con sé la necessità di porre la controffensiva su di un piano più ampio contro la classe padronale. Questo è un primo passo di consapevolezza importante nei settori più avanzati e combattivi della classe che travalica la semplice lotta economica riconoscendo la necessità di un’offensiva di classe più generalizzata contro il sistema capitalistico nel suo complesso e aprendo spazi a importanti processi di acquisizione di una maggiore coscienza di classe tra i lavoratori.
Come ogni processo reale anche questo non è esente da contraddizioni e difficoltà, ma il quadro che fuoriesce da questa prima assemblea è largamente positivo e pone le basi per una rinnovata stagione di conflittualità sociale.
MOZIONE FINALE DELL’ASSISE SINDACALE DEL 12 GIUGNO A BOLOGNA IN PREPARAZIONE DI UN ASSEMBLEA NAZIONALE DEI LAVORATORI COMBATTIVI.
La riunione dei delegati e lavoratori combattivi svoltasi nella sede SI Cobas di Bologna domenica 12 luglio in modalità mista fisica-telematica a causa delle normative anti-Covid, ha visto la partecipazione e l’intervento di decine di lavoratori ed esponenti di svariate organizzazioni e aree del sindacalismo di classe.
Dall’andamento del dibattito è emersa la comune convinzione che siano mature le condizioni per aprire una nuova stagione di lotta del sindacalismo di classe e combattivo.
L’approfondimento della crisi sociale è di dimensioni mai viste prima, con effetti catastrofici per la classe lavoratrice che tenderanno a manifestarsi sempre più nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
La vera e propria mattanza prodottasi negli ospedali del nord ha messo a nudo lo sfascio del sistema sanitario e svelato le dinamiche di supersfruttamento a cui sono stati e continuano ad essere sottoposti infermieri, Oss e precari della sanità.
Migliaia di fabbriche e magazzini, in nome della sacralità del profitto e del mercato, sono stati lasciati aperti durante tutto il picco pandemico pur non operando in servizi essenziali, grazie allo stratagemma dei codici ATECO, e milioni di lavoratori sono stati lasciati in balia dei contagi, il più delle volte privi dei più elementari dispositivi di protezione e prevenzione: un’emergenza che continua a manifestarsi quotidianamente, come dimostrano chiaramente i numerosi focolai di contagio sviluppatisi a Bologna alla BRT, alla TNT e in tanti magazzini della logistica, e che confermano come la campagna di astensione condotta in questi mesi da diverse realtà del sindacalismo combattivo era ed è l’unica strada per tutelare nell’immediato la vita e la salute dei lavoratori.
Le misure economiche di contenimento della crisi adottate finora dal governo Conte, attraverso una combinazione di sgravi a tutta forza alle aziende e cassa integrazione a cascata, sono state orientate unicamente alla tutela dei profitti abbattendosi pesantemente sui livelli salariali e di vita dei lavoratori dipendenti e dell’intero proletariato. Al danno di una Cig che porta a una riduzione dei salari anche del 50%, si aggiunge la beffa dei ritardi nelle erogazioni da parte dell’Inps: in un quadro in cui la maggior parte dei padroni si rifiuta di anticipare la misura del trattamento, decine di migliaia di operai e di lavoratori si ritrovano privi di qualsiasi copertura salariale. Lo stesso “divieto di licenziamento” varato dal governo Conte rappresenta una diga più simbolica che reale, se si pensa che in molti casi i padroni utilizzano il pretesto della “giusta causa” o del licenziamento disciplinare per giungere a una riduzione degli organici e colpire gli operai e i lavoratori combattivi. Una vera e propria manna dal cielo per i padroni, i quali spesso e volentieri utilizzano la CIG-Covid come strumento per massimizzare i profitti, socializzare le perdite e non di rado ricattare i lavoratori, lasciando a casa le avanguardie di lotta o le “voci scomode”. Tra i settori più colpiti dalla pandemia vi sono come sempre le donne, in particolar modo quelle lavoratrici-madri che in questi mesi sono state oberate da un ulteriore carico di lavoro domestico per far fronte alla chiusura delle scuole e degli asili-nido. Tutto lascia presagire che il peggio debba ancora arrivare.
A fronte di una caduta del PIL a due cifre, la strategia di Confindustria e dei padroni è chiara:
1) accaparrarsi una vagonata di sgravi e di agevolazioni governative, lasciando allo stato il compito di elargire (il più delle volte solo sulla carta) qualche briciola ai milioni di disoccupati e nuovi poveri esclusi dal ciclo produttivo, il tutto attraverso un ulteriore ingigantimento del debito pubblico che graverà sui salari e sulle vite dei proletari delle generazioni a venire;
2) abbattere ulteriormente i livelli salariali distruggendo ciò che resta dei CCNL di categoria;
3) abbattere ogni barriera residua all’utilizzo indiscriminato dei contratti precari e intermittenti e alle molteplici forme di sfruttamento con salari da fame. La finta sanatoria- Bellanova per i braccianti immigrati muove proprio in questa direzione: barattare il rinnovo del permesso di soggiorno con l’accettazione e la legittimazione del caporalato e dello sfruttamento nelle campagne;
4) Imporre una nuova stretta repressiva agli scioperi e all’agilità sindacale sui luoghi di lavoro. La militarizzazione a cui abbiamo assistito fuori ai cancelli della TNT-Fedex di Peschiera Borromeo, con l’utilizzo persino della security privata, e la condotta padronale tesa a disdettare unilateralmente gli accordi aziendali ed estromettere il sindacalismo combattivo dai tavoli di trattativa, sono chiari segnali in questa direzione.
Di fronte a questi segnali sempre più tangibili, il panorama del sindacalismo di classe e combattivo si presenta in notevole ritardo. La necessità di un vero rilancio dello scontro di classe passa attraverso lo sviluppo di un forte movimento dei lavoratori e degli sfruttati, capace di stare all’altezza della fase e degli attacchi del nemico di classe. In questi mesi nuove soggettività si sono poste sul terreno della lotta e del conflitto fuori dalle maglie del sindacalismo concertativo: lavoratori dello spettacolo, precari della sanità, delle scuole, delle oasi di sfruttamento delle cooperative e delle Onlus, del turismo, delle comunicazioni ecc.
Nei prossimi mesi i colpi della crisi tenderanno a sprigionare forze e soggettività che sinora sono state dormienti. Per far fronte a queste dinamiche è necessario un cambio di passo radicale nel sindacalismo di classe.
L’esigenza immediata di milioni di proletari non è la nascita “per decreto” di nuove sigle sindacali, ne tantomeno una mera sommatoria di intergruppi. Dall’assemblea emerge al contrario la volontà di un percorso di lotta comune funzionale alla messa in moto di un processo nuovo, realmente includente rispetto alla pluralità e alla molteplicità delle forme dello scontro attuale, dentro e fuori i luoghi di lavoro, che sia capace di legare la lotta sindacale tradizionale ai movimenti dei disoccupati, degli occupanti casa, di quegli immigrati che oggi rappresentano al tempo stesso la principale fonte di estrazione del profitto nelle fabbriche, nei magazzini e nelle campagne, e (non a caso) il principale bersaglio dell’offensiva reazionaria e razzista. La crisi determinera’ chiusure e ristrutturazioni che nell’intero mondo del lavoro e soprattutto al Sud andranno a moltiplicare l’esercito dei disoccupati e degli sfruttati senza alcuna tutela: un tale scenario pone sempre più all’ordine del giorno la necessità di organizzare e dar voce a questi settori. L’unità di cui abbiamo bisogno necessita di una base programmatica e di parole d’ordine chiare e riconoscibili dalla massa dei lavoratori e degli sfruttati. Il processo messo in piedi con la riunione di oggi intende lanciare un percorso largo, partecipato e chiaro nei suoi obbiettivi e sulla sua prospettiva. I molteplici effetti della Crisi-Covid sono per noi riconducibili e sintetizzabili in due macroquestioni, tra esse intimamente legate: da un lato la difesa e il rilancio del salario e indiretto, dall’altro la difesa della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Oggi più che mai occorre riprendere e rilanciare le parole d’ordine storiche del movimento operaio: riduzione drastica dell’orario di lavoro a parità di salario, difesa e miglioramento dei livelli salariali, salario garantito a disoccupati e stabilizzazione dei precari, tutela piena della salute e della sicurezza a partire dalla pretesa della chiusura di tutte le aziende in cui si verificano focolai di contagio, stop alla miriade di contratti precari e da fame, difesa, rilancio e applicazione effettiva dei CCNL, piena agibilità sindacale sui luoghi di lavoro, no alla repressione degli scioperi e delle lotte, abolizione immediata di ogni forma di discriminazione dei proletari immigrati. Queste rivendicazioni saranno realmente praticabili solo se il movimento di classe saprà sottrarsi al veleno del sovranismo e alle chimere della spesa in deficit. Proletari e capitalisti non sono e non saranno mai sulla stessa barca: o i proletari saranno capaci con la lotta di far pagare la crisi ai padroni, colpendo i profitti e le rendite, oppure i padroni ci faranno pagare con gli interessi i costi della loro crisi. Le dimensioni dell’attacco in corso rendono sempre più evidente che la difesa delle condizioni immediate di vita e di lavoro non passa solo per la singola vertenza, settore o categoria, ma è parte di una battaglia più generale (e quindi politica) contro il complesso della classe dominante e delle sue leggi predatorie, razziste e repressive. A partire da queste basi e da queste proposte intendiamo lanciare un percorso di confronto con tutte le realtà di lotta, sindacali e non, al fine di giungere a una vera assemblea nazionale dei lavoratori combattivi nella giornata di sabato 26 settembre, con l’obiettivo di aprire una vera agenda di lotta per il prossimo autunno, capace di coniugare il collegamento e il rafforzamento delle lotte attualmente in corso con la prospettiva di un movimento generale contro le politiche di sfruttamento, licenziamenti e macelleria sociale, e di portare in tempi brevi a un vero sciopero generale e a una grande manifestazione nazionale che porti la voce e la rabbia di migliaia di sfruttati sotto i palazzi del governo.