Romiti: il mastino della FIAT
È notizia di queste ore la morte di Cesare Romiti, manager industriale di ferro, di fama nazionale.
Uomo di spicco della FIAT in cui è approdato nel 1974, per ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato nel 1976 e infine divenirne il Presidente (1996-1998), Ha attraversato la storia del capitalismo d’Italia, di cui è stato uno dei protagonisti più discussi.
E di cui è seguita una narrazione dalle pagine della stampa addomesticata, quella di figura benemerita della nazione, grande manager industriale, etc., etc.
Cercheremo in queste righe di ripercorrere la storia di un personaggio rappresentativo del capitalismo nazionale, e quindi nostro nemico di classe.
Prima di arrivare in FIAT, il nostro ha ricoperto incarichi di spicco in aziende italiane a partire dalla Bombrini Parodi Delfino, di cui è direttore finanziario, dopo esservi entrato nel 1947: nel 1968 diviene direttore generale in SNIA VISCOSA; nel 1970, dopo aver conosciuto Enrico Cuccia in Mediobanca, viene dapprima nominato Direttore Generale dell’IRI e successivamente Amministratore Delegato di Alitalia.
L’approdo in FIAT avviene in quelli che sono passati alla storia come gli “anni di piombo”, quelli in cui le Brigate Rosse hanno colpito ripetutamente l’azienda torinese (dicembre 1973 sequestro del capo del personale Ettore Amerio, maggio 1975 viene gambizzato medico della FIAT Mirafiori Luigi Solera, aprile 1978 viene gambizzato Sergio Palmieri caporeparto FIAT)[1].
Gli anni della FIAT sono quelli in cui viene operata la famosa divisione tra Azionisti e Management.
Ma sono anche gli anni dell’applicazione della scala mobile a tutti i settori produttivi del paese, compreso quello industriale, a seguito di un accordo tra Confindustria e sindacati confederali[2].
Nel 1980 si accentua la crisi dell’auto anche a causa del secondo shock petrolifero, a causa del quale assume proporzioni mondiali e coinvolge tanto i produttori americani quanto gli europei (con la sola eccezione della Volkswagen). Quanto alla FIAT, l’indebitamento (6.800 miliardi) raggiunge il fatturato e corrisponde a più del doppio del patrimonio netto. A questo punto Umberto Agnelli chiede al governo due cose: la svalutazione della lira e la libertà di licenziare. La prima richiesta non andrà a buon fine, per quanto riguarda la seconda la FIAT farà da sé[3].
L’Italia aveva già deciso, infatti, la sua adesione al Sistema Monetario Europeo: l’unica vera condizione per parteciparvi era che gli industriali riuscissero a sopperire alla mancante flessibilità della valuta (che in un contesto di mercato dà ossigeno alle economie industriali più in difficoltà dirigendo la domanda interna sui loro prodotti) con l’abbattimento dei salari e del potere dei lavoratori. La FIAT riuscì a fare la seconda cosa, e non si preoccupò più della prima – da qui la domanda su quanto il cedimento del fronte sindacale e del PCI siano alla radice della disastrosa esperienza del mercato unico europeo e dei suoi vincoli ammazza-popolo.
Nel 1980 Romiti diviene Amministratore Delegato unico di gruppo e annuncia un piano di licenziamento per 14.000 dipendenti.
Da una parte per rapportarsi adeguatamente alle imprese del settore estere emergenti e alle loro strutture produttive (in particolare modo le aziende giapponesi in cui erano già avanzati i processi di automazione).
Dall’altra si intendono eliminare all’origine i conflitti di classe, e in particolare le avanguardie di fabbrica, che pur essendo state attaccate negli anni trascorsi, erano rimaste le più combattive nel settore metalmeccanico, così come ammesso, in maniera abbastanza candida dallo stesso Romiti, in una intervista alla Stampa, nel 2010. La notizia dei licenziamenti provoca immediatamente una dura risposta dei lavoratori che bloccarono in pochi giorni tutti gli stabilimenti, decisi a non cedere di fronte all’attacco padronale[4].
La risolutezza dei lavoratori porta la FIAT, il 5 settembre 1980, ad annunciare un progetto di cassaintegrazione a zero ore per 23.000 operai. Ma i lavoratori non cedono, nonostante le pressioni della dirigenza nazionale di CGIL, CISL e UIL: la proposta della cassaintegrazione è troppo poco.
Le trattative proseguono, fino alla proclamazione dello sciopero generale del 10 ottobre e la successiva cosiddetta “marcia dei 40.000”, composta da dirigenti, impiegati e operai crumiri, della cui reale entità non si hanno certezze se non nelle dichiarazioni della FIAT stessa. La marcia dei colletti bianchi contro gli operai porta le dirigenze sindacali nazionali a prendere in mano direttamente la trattativa. Si arriva alla firma dell’accordo del 15 ottobre in cui il sindacato, complice di Confindustria, di cui accetta il “nuovo modello di sviluppo”, accoglie l’accordo famigerato in cui si accettano cassa integrazione a zero ore, cassa a rotazione per gli operai sulle linee di produzione dei modelli 131 e 132, avviamento mobilità extra-aziendali. Mentre l’assemblea dei delegati di Torino rifiuta l’accordo. Al loro rientro, nel 1987, questi operai saranno collocati in “reparti confino”. È una sconfitta per i lavoratori della FIAT ma è un segnale negativo per la lotta operaia in tutto il paese che farà da apripista ad un progressivo deterioramento delle condizioni lavorative e delle conquiste operaie degli anni precedenti[5].
Questo evento è emblematico della perdita definitiva dei sogni e degli ideali incominciati a fine anni ’60, tra cui l’idea di “lavorare meno, lavorare tutti”. Infatti, i progressi tecnologici che consentirono alla Fiat di attuare i licenziamenti punitivi e politici («Noi avevamo chiaramente in mente quali erano gli operai che dovevano essere allontanati dalla fabbrica», disse Romiti) avrebbero potuto essere usati, da un controllo operaio dell’industria, per alleggerire i carichi di lavoro individuali a parità di salario. La possibilità di scaricare immediatamente eventuali difficoltà su licenziamenti e sussidi pubblici portò, invece, oltre che ad una maggiore ricattabilità dei lavoratori, alla concezione di un’industria che punta ai risparmi e ai guadagni a breve termine, senza progetti ambiziosi nell’innovazione, sempre più finanziarizzata.
La FIAT riprende a fare utili, mentre si avvia la riduzione del personale, un’emorragia continua, che in pochi anni porteranno il gruppo FIAT ad avere 350.000 dipendenti nel 1980 per arrivare a 225.000 dipendenti nel 1986.
Fino alla lenta decadenza del gruppo a partire dalla Guerra del Golfo del 1989.
Oltre alla distruzione delle legittime rivendicazioni operaie come modo per restare competitivi è importante anche sottolineare la deleteria politica degli investimenti che caratterizzò il modello-Romiti, il quale viene oggi incensato come una sorta di genio dell’industria italiana. Nel 1988 si accese infatti uno scontro ai vertici della FIAT stessa, tra l’ing. Ghidella – a capo della FIAT Auto – e Cesare Romiti. Mentre Ghidella puntava ad una estensione degli investimenti nell’auto, Romiti scorgeva nel breve-terminismo della rendita finanziaria e delle partecipazioni in diversi gruppi quali banche, assicurazioni e compagnie minori la soluzione al calo della redditività industriale. Vinse Romiti, e gli effetti di questa scelta non avrebbero tardato a manifestarsi.
Lungo gli anni ‘90 FIAT perde infatti posizioni sia sul mercato domestico che su quello europeo, mentre concorrenti come Ford, Renault, Peugeot e Volkswagen migliorano le loro. Non è sorprendente una volta che si considera che dal 1988 al 1993 la FIAT non aveva prodotto alcun nuovo modello. A peggiorare la situazione, «si aggiunse nel 1993 lo smantellamento delle ultime barriere alla circolazione di merci nella Comunità Europea. Era giunto il momento che Valletta aveva tanto temuto: quello di doversi confrontare con la concorrenza senza più scudi protezionistici, di natura tariffaria o di altro genere. I risultati non si fecero attendere: quota sul mercato europeo ridotta al 12%, e perdite per oltre 1.800 miliardi»[6].
L’azienda leader del settore auto italiano da ormai 90 anni, favorita nel suo sviluppo da decenni di commesse di guerra anche nella guerra fredda, per molti anni al vertice delle vendite in Europa, crollava di fronte alla concorrenza dei competitor esteri. Alla base di questo, tra le altre cose, la negligenza di Romiti e colleghi nelle politiche industriali di innovazione: la FIAT nel decennio compreso tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta ha destinato agli investimenti in ricerca 4 miliardi di dollari. Nello stesso periodo la Volkswagen (che all’epoca aveva le stesse dimensioni di FIAT) ne ha spesi 20, BMW (all’epoca più piccola di FIAT) ha speso 8 miliardi. Insomma, anche da un punto di vista squisitamente capitalista si può asserire che Romiti abbia brillato solamente negli attacchi contro i lavoratori.
Romiti guiderà la FIAT fino al 1998, al compimento di 75 anni, ricevendo una buonuscita di 105 miliardi delle vecchie lire[7].
Cesare Romiti è stato infine protagonista della vicenda giudiziaria che in epoca di Tangentopoli lo ha visto essere accusato di falso in bilancio, e condannato definitivamente nel 2000 dalla V^ Sezione penale della Cassazione di Roma a un anno di reclusione (pena ridotta di 20 giorni) e sei milioni di multa, per false comunicazioni sociali, in relazione ai bilanci del gruppo FIAT tra il 1984 e il 1992. Nel 2003 la condanna verrà cancellata dalla Corte di Appello di Torino per depenalizzazione dei reati. 150 operai della FIAT di Arese si erano costituiti parte civile, in quanto i fondi occultati non sarebbero stati calcolati nello stipendio alla voce delle performances di gruppo[8].
Non ci accodiamo alla schiera di coloro che piangono la dipartita di un loro caro. Per noi Romiti rimane solamente un rappresentante del più cinico e parassitario capitalismo, che negli anni ha solo saputo sfruttare la classe lavoratrice, prima spremendo gli operai e poi gettandoli via, come si fa con i limoni.
Romiti ha avuto il “merito”, dal punto di vista padronale, di trasformare una situazione che in Italia poteva diventare esplosiva per le difficoltà seguite alla crisi petrolifera in una controtendenza che risolse la crisi con la riduzione di ogni pretesa “dal basso” e l’inizio di una stagione di arretramenti per la classe operaia.
Domenico Cortese e Daniela Giannini
Note
[1] http://win.storiain.net/arret/num134/artic2.asp
https://www.ugomariatassinari.it/medico-della-fiat/
https://www.ugomariatassinari.it/sergio-palmieri/
[2] https://statusquaestionis.uniroma1.it/index.php/monetaecredito/article/viewFile/12662/12457
http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/32/zn58_06_05d.html
[3] Si veda V. Giacché, Ascesa e caduta della FIAT
[4] https://www.lastampa.it/economia/2020/08/18/news/romiti-30-anni-dopo-la-marcia-dei-quarantamila-salvammo-i-sindacati-dalle-br-1.39204488
https://www.ildubbio.news/2020/08/18/addio-cesare-romiti-una-vita-per-la-fiat/L
[5] https://web.archive.org/web/20151216143214/http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=%2Farchivio%2Funi_1980_09%2F19800906_0001.pdf&query=
[6] V. Giacché, Cent’anni di improntitudine. Ascesa e caduta della FIAT
[7]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/10/12/dipendenti-quasi-dimezzati-dalla-crisi-degli-anni.html#:~:text=Lavoratori%20presenti%20alla%20Fiat%20Auto,in%20cassa%20integrazione%20da%20dicembre.
[8]https://www.repubblica.it/online/cronaca/romiti/romiti/romiti.html#:~:text=la%20Repubblica%2Fcronaca%3A%20Bilanci%20Fiat%2C%20Romiti%20condannato%20a%20un%20anno&text=ROMA%20%2D%20Condanna%20per%20Cesare%20Romiti.&text=In%20quest’ultimo%20anno%2C%20in,quale%20Romiti%20%C3%A8%20stato%20condannato.