Italpizza: il volto dello stato e dei padroni nella lotta contro i lavoratori
Nell’ampio spettro delle crisi industriali che si sono susseguite dal 2008 ad oggi, le vicende di Italpizza assumono una connotazione del tutto particolare. Segnano in un qualche modo un solco, una frattura profonda fra due fasi contigue, ma che solo ora appaiono autenticamente distinguibili. Nella storia recente del distretto produttivo emiliano, c’è un prima e un dopo Italpizza, questo è palese: in effetti, le violenze perpetrate dalla polizia, l’atteggiamento repressivo e autoritario delle istituzioni, l’ipocrisia che la sinistra borghese ha dimostrato a riguardo, concorrono a fare di questa vertenza una specie di necrologio del modello emiliano.
Già, perché di quel compromesso fra capitalismo e istanze sociali che ha caratterizzato l’economia emiliana in tutta la seconda parte del Novecento, non resta nulla: quell’equilibrio compromissorio, dolorosamente guadagnato con il sangue dei martiri di Modena e di Reggio Emilia, è oggi definitivamente spezzato e i padroni, violenti e spregiudicati come gli agrari rappresentati in Novecento da Bertolucci, si spogliano di qualunque remora. A supportarli, la polizia, la Celere e la prefettura, cioè il braccio armato dello Stato borghese: in questa vicenda, “gli angeli in divisa” della vulgata salviniana si trasformano in feroci picchiatori, non tanto diversi da quelle camicie nere che negli anni Venti soffocavano le proteste mezzadrili e operaie nella pianura padana. Oggi, a supportarli, anche un possente armamentario legislativo, in cui i Decreti Sicurezza a firma Lega-Movimento Cinque Stelle fungono da perfetta legittimazione alle violenze delle forze dell’ordine.
Un quadro oscuro, di forte arretramento, in cui sembra che il nastro della storia si sia riavvolto a un secolo addietro, dimentico e incurante di cento anni di lotte operaie.
Il tutto si svolge però in un silenzio assordante, soprattutto da parte della politica locale, egemonizzata dal Partito Democratico: per tanti (sempre meno), ancora IL partito. Il PD regionale gioca a rappresentarsi come erede del PCI, soprattutto lungo la Via Emilia: i suoi esponenti amano pronunciarsi a favore dei lavoratori di Italpizza, salvo poi accettare le laute sponsorizzazioni dell’azienda per le (quasi deserte) Feste Democratiche. Il sindaco PD di Modena gioca sull’ambiguità, dichiarandosi “di fianco ai lavoratori, ma contro il S.I. Cobas” (strana posizione, in quanto i Cobas sono stati sicuramente la forza sindacale maggiormente rappresentativa nella vertenza). Le alte sfere del partito tacciono, ma strizzano l’occhio agli “operosi” padroni del settore agroalimentare emiliano.
È dunque evidente come Italpizza segni uno svelamento, demarcando l’avvento di una nuova stagione di lotte: crolla la maschera dello Stato borghese, i padroni mostrano i muscoli e il centrosinistra tace, ipocrita e connivente. […]
I Fatti
La vicenda Italpizza esplode nel novembre 2018, quando il sindacato S.I. Cobas proclama lo sciopero al fine di protestare contro la nuova politica contrattualistica della dirigenza. In effetti, i lavoratori dell’azienda, nonostante manipolino alimenti, vengono ingaggiati con un contratto pulizie e multiservizi, validato dai sindacati confederali e notevolmente più svantaggioso rispetto a quello degli alimentaristi. Alla questione contrattuale, si affianca quella dell’estrema flessibilità che vige in fabbrica: i turni vengono comunicati con un preavviso minimo, tanto che spesso gli operai si ritrovano in estenuanti cicli lavorativi di quindici o sedici ore consecutive. Per queste ragioni, un gruppo di nove donne e quattro uomini aderisce al S.I. Cobas: la reazione della dirigenza di Italpizza è immediata, e i tredici lavoratori vengono in parte licenziati e in parte trasferiti in altri stabilimenti produttivi. I Cobas optano dunque per lo sciopero, primo snodo conflittuale della lunghissima vertenza.
La reazione delle forze dell’ordine è immediata e violenta: di fronte ai cancelli dello stabilimento si susseguono cariche, pestaggi e violenze di ogni sorta. I celerini non lesinano neppure sull’utilizzo dei gas, banditi dalla Convenzione di Parigi e considerati a tutti gli effetti armi chimiche. L’escalation di violenza è rapida e porta diverse anime della sinistra radicale modenese a solidarizzare con gli scioperanti: aderiscono alla protesta centri sociali, organizzazioni femministe e ambientaliste.
L’inasprimento della lotta sembra però pagare: l’11 dicembre 2018 si firma in prefettura un accordo che prevede il reintegro in azienda dei tredici lavoratori licenziati dopo l’adesione al S.I. Cobas.
I vertici di Italpizza calano tuttavia in fretta la maschera: le lavoratrici reintegrate sono presto allontanate dai propri compagni di lavoro ed inviate a spalare la neve sullo sdrucciolevole tetto dello stabilimento. Nessun dispositivo di sicurezza e una guardia a sorvegliare l’operato delle leonesse di Italpizza (così verranno rinominate le operaie punite con lo spazzamento della neve). L’accordo siglato in Prefettura è dunque già carta straccia e il S.I. Cobas riprende la protesta: nuovi scioperi e picchetti si avvicendano ai cancelli del sito produttivo di San Donnino. Scontata la risposta della polizia, che prosegue nella propria azione di repressione violenta.
La riacutizzazione dello scontro porta la CGIL modenese a interrogarsi sul da farsi: diverse personalità del sindacato premono affinché ci si unisca ai Cobas nella protesta. Si giunge così ad una mobilitazione degli iscritti CGIL, che si affiancano agli scioperanti di fronte ai cancelli di Italpizza. L’unità sindacale dura tre giorni, ma le pressioni della dirigenza nazionale inducono la CGIL locale ad abbandonare lo sciopero.
In men che non si dica, Italpizza, sindacati confederali, Confindustria e istituzioni locali imbastiscono un tavolo di trattativa che esclude il S.I. Cobas: vane le proteste del sindacato di base, che continua i propri picchetti di fronte all’azienda. Tempo poche settimane e l’accordo è siglato: una nota dei Cobas ne restituisce la natura.
“Il Sistema-Modena, quel sistema in cui politica, istituzioni, caporalato industriale e malavita si intrecciano fino a diventare indistinguibili, è stato piegato dalla forza e dalla determinazione della lotta. Senza scioperi, senza blocchi delle merci e senza la vasta campagna di solidarietà, Italpizza e Confindustria mai avrebbero concesso alcun diritto ai lavoratori. Ancora una volta viene dimostrato come “solo la lotta paga”. Si tratta invece di una vittoria sprecata dal punto di vista sostanziale: in pratica nel 2022 una parte dei lavoratori tornerà alle stesse condizioni contrattuali sottopagate del 2015 (il livello minimo Alimentare), prima dell’accordo truffa firmato sempre da Cgil-Cisl-Uil che aveva fatto passare tutti al contratto Pulizie/Multiservizi. La restante parte dei lavoratori manterrà il contratto di Pulizie o avrà il livello minimo della Logistica. In termini retributivi significa che invece dei 450 euro lordi mensili che dovevano essere riconosciuti subito, si arriverà in 3 anni ad averne appena 100, e solo per una parte degli addetti. Il nostro sindacato rigetta infine ogni accordo nel quale vengano divisi i lavoratori, come in questo caso: chi lavora nell’industria alimentare deve avere il contratto dell’industria alimentare, senza ulteriori distinzioni.”
L’intento della dirigenza di Italpizza è palese: l’accordo, siglato con l’assenso dei sindacati confederali, prevede la creazione di due categorie distinte di lavoratori. Da un lato, gli operai di serie A con il contratto da alimentaristi, dall’altro quelli di serie B, vincolati alla retribuzione del “multiservizi”. Ad oggi, la vertenza continua ed ha assunto risvolti penali notevoli: presto si disputerà il maxi-processo Italpizza, mentre l’emergenza Covid ha complicato ulteriormente la situazione.
Per capirne di più, abbiamo intervistato Marcello, delegato S.I. Cobas per l’ambito territoriale di Modena.
Che tipo di azienda era Italpizza? Quanti lavoratori sono stati coinvolti nella vertenza? Quale atteggiamento hanno mantenuto i lavoratori?
Italpizza è un’azienda considerata un modello, un’eccellenza vezzeggiata dalla politica emiliana. I lavoratori coinvolti nella vicenda erano, a seconda dei periodi, centoventi – centotrenta, fino a un minimo di settanta. Questi settanta sono sempre stati il nucleo duro della lotta e non si sono mai tirati indietro. Non hanno mai avuto paura della repressione, hanno sempre dimostrato totale solidarietà: ovviamente, oltre a questi, c’erano tutti i lavoratori solidali dalle altre aziende, dato che S.I. Cobas è un sindacato che si basa sulla solidarietà, quindi chi sta meglio e ha già ottenuto diritti va ad aiutare chi sta lottando, sia da Modena, che ha dato una grande risposta di solidarietà, che da altre città, come Bologna. I lavoratori della CGIL erano tre, quelli iscritti alla FLAI, sindacato degli alimentaristi, con lo sciopero avevano raggiunto il centinaio, ma sono dati molto incerti.
Come si è conclusa la vicenda?
La vertenza si è conclusa con l’accordo firmato da CGIL-CISL-UIL con Confindustria, Lega Coop, Confcooperative e Italpizza (tutto lo schieramento padronale) e l’esclusione del SI Cobas. L’accordo prevede l’assunzione diretta nel 2022, la retribuzione con salario di alimentaristi (quello minimo), così come quello della logistica, per chi faceva logistica, barattandolo con una serie di flessibilità, che in realtà hanno mantenuto immutata la situazione. Per un anno almeno, i nostri lavoratori sono stati “superiori” agli altri, cioè la dirigenza non si azzardava ad applicare loro le flessibilità e le modalità che applicavano agli altri. Adesso però, la situazione non è più tale, ed è per questo che la vertenza non si può dire conclusa. Se ne è conclusa una fase, se ne apriranno altre, anche con la robotizzazione che sta facendo capolino, quindi i lavoratori verranno sostituiti. Stanno già iniziando a sostituirli con dei robot.
In quei giorni di protesta, quale atteggiamento hanno mantenuto le forze dell’ordine e le istituzioni?
L’atteggiamento delle istituzioni locali è stata la totale assenza. Il sindaco Pd Muzzarelli ha detto, in apertura di campagna elettorale: “noi stiamo con i lavoratori, ma contro i Cobas”. C’è stato un Consiglio Comunale in cui non si è riusciti a prendere posizione, nessuno ha cercato di spostarsi da una parte all’altra della barricata, quindi cercare una mediazione non era possibile. Si sono svolti tre incontri in prefettura, con un atteggiamento da parte del prefetto di totale chiusura e filo-padronale: la prima volta, si rifiutava di parlare con i lavoratori, addirittura di farli sedere al tavolo. Un’altra volta, la riunione si è conclusa con l’espulsione dal tavolo di uno dei nostri rappresentanti. Le istituzioni che ci hanno dato ascolto e appoggiato sono state quelle nazionali: c’è stata attenzione da parte dell’Onorevole Stefania Ascari, del Movimento Cinque Stelle, che grazie alla sua mediazione e, alla pressione fatta tramite altri canali, ha portato ad alcuni incontri con il viceministro del lavoro, sottosegretario Cominardi. Gli incontri non hanno però portato a niente di fatto. Siamo stati ospiti del Parlamento, sono state fatte delle interrogazioni e quello che è stato fatto dal governo è stato comunque inviare degli ispettori nazionali del lavoro, a fronte della competenza degli ispettori locali (questo anche su sollecitazione della CGIL, va detto).
Da parte delle forze dell’ordine, è stata una continua aggressione, dal secondo giorno di sciopero, fino all’ultimo, in un crescendo di violenze. Ci sono state serie lunghissime di violenze poliziesche, di feriti, di arresti, di fermi, con false accuse. Il coordinatore S.I. Cobas di Bologna, Simone Carpeggiani, è stato fermato da sei carabinieri e gli hanno rotto a ginocchiate quattro costole. Ci sono stati diversi episodi di violenza, diverse persone hanno riportato fratture, oppure hanno avuto malori a causa dei gas. Diciamo che in nove mesi di lotta ai cancelli, si alternavano battaglioni del Settimo Mobile, il battaglione Celere di Padova, i carabinieri dei reparti speciali della Toscana, i celerini venivano da Milano. È stato un continuo scontro, che porta adesso a tutti i procedimenti penali che sono la seconda fase repressiva.
Nonostante questo, va sempre ricordato che questa violenza, che avrebbe dovuto stimolare la paura dei lavoratori, ha in realtà prodotto solidarietà, sicché quando la CGIL è scesa in sciopero, anche i suoi lavoratori si sono messi, nonostante gli ordini contrari dei dirigenti, a partecipare ai blocchi, affrontando le cariche della polizia, insieme ai colleghi e ai solidali. Quindi, la repressione, spesso e volentieri, porta ad un aumento della lotta e ad un ampliamento del fronte della solidarietà.
In quale tipo di sanzione sono incappati i lavoratori in sciopero? Quali accuse sono state a loro rivolte?
Attualmente, come cifra parziale dei procedimenti giudiziari a Modena, già iniziati contro lavoratori, sindacalisti e solidali, dal 2017 a oggi, siamo a 458 procedimenti, di cui al momento 120 afferiscono al maxi-processo Italpizza, altri 110 al processo Alcar Uno, i restanti a tutta un’altra serie di vertenze. Le accuse sono quelle di violenza privata, cioè il picchetto, quindi il blocco delle merci, che in realtà è un’attività di non violenza, perché di scontri noi non ne abbiamo mai fatti, altrimenti le cose sarebbero andate in maniera diversa. Altre accuse sono quelle di manifestazione non autorizzata, cioè lo sciopero, lesioni, resistenza, oltraggio e alcune accuse accessorie. Abbiamo tredici fogli di via, diversi avvisi orali che preludono alla sorveglianza speciale.
Tutto il repertorio del Codice fascista Rocco viene impiegato dalle classi dirigenti per contrastare le lotte operaie. Vediamo quello che sta succedendo in Val Susa: è chiaro che siamo all’interno di un regime, autoritario e borghese, che vuole schiacciare con la repressione e col carcere tutte le lotte politiche e sociali, che più danno fastidio nel Paese.
In effetti, i decreti sicurezza dell’ex ministro dell’Interno Salvini sono stati utilizzati per la lotta di Italpizza: abbiamo alcune denunce. Sono stati utilizzati parzialmente, vedremo cosa ne penseranno i giudici, che potrebbero applicarli in aggiunta alle accuse formulate dalla polizia. Non sono servite di certo a spaventarci e a fermare le lotte. Noi, il giorno in cui il decreto sicurezza è diventato esecutivo, eravamo davanti Italpizza e stavamo bloccando i cancelli, sfilando per la strada e resistendo alle cariche.
Di fronte a un attacco così forte, non ritieni che sia ancora più centrale l’importanza di processi che possano unire le lotte e i lavoratori?
Ritengo che sia importante animare questi processi. Infatti il Si Cobas, assieme ad altre forze sindacali e non solo, è impegnato nella costruzione del Fronte Unico di Classe, che è la risposta migliore che si può dare al momento attuale: è evidente che il fronte padronale è unito, è solido, per quanto il capitalismo sia per sua natura una guerra di tutti contro tutti, ma nella lotta di classe i padroni e il regime borghese sono assolutamente uniti, lo hanno dimostrato proprio con gli accordi per spegnere la vertenza Italpizza.
La lotta alla repressione, la solidarietà ai lavoratori contro la repressione, già dalla manifestazione del 3 ottobre, deve andare in questa direzione: pur mantenendo ciascuno le proprie caratteristiche, le proprie analisi, la propria individualità, è chiaro che va trovata una formula per rispondere agli attacchi padronali e contrattaccare, vista la debolezza di questo sistema. Il regime risponde alle rivendicazioni della classe proletaria con una repressione sempre più feroce e i tagli al welfare. Ben venga il Fronte Unico di Classe, e che si possa sviluppare, rafforzandosi e diventando sempre più forte. Rinnovo l’invito a partecipare alla manifestazione del 3 ottobre a Modena, che probabilmente andrà incontro a un divieto. Vedremo cosa succederà, ma bisogna cominciare, a partire da quella scadenza, a dare prova di unità nella lotta.
Intervista a cura di Marcello Benassi