Braccianti in piazza a Latina: una prima risposta dopo l’ennesima morte sul lavoro
L’ingiustizia e la precarietà generate dalla ricerca del profitto, su cui si basa la nostra società, assumono sostanza in ciò che vivono tanti lavoratori del settore agricolo: minacce, soprusi, condizioni quasi schiavili e vita troppo spesso appesa a un filo. Per questo era importante essere presenti lunedì 28 settembre in piazza della Libertà a Latina per lo sciopero dei braccianti agricoli. Al presidio hanno partecipato centinaia di lavoratori impiegati nelle campagne della zona pontina, puntuali all’appello nonostante la pioggia battente; insieme a loro c’erano i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, associazioni del territorio, il coordinamento dei braccianti Sikh in lotta, il Fronte della Gioventù Comunista e rappresentanti dell’Assemblea dei Lavoratori Combattivi del Lazio, Amnesty International, Libera e molte altre realtà. Era importante essere in piazza per i motivi che fra poco diremo oltre che per quelli più ovvi: reagire con forza e con una presenza fisica reale al trattamento indegno, lacerante e inaccettabile che ogni giorno subisce chi lavora nei campi, in queste zone più che altrove.
Sono ormai notizia costante nelle cronache locali e nazionali le minacce, i soprusi, le morti dei lavoratori che permettono alla gente quieta delle nostre città di avere sulla propria tavola verdura e frutta fresca.
Vite sottovalutate, ferite, lasciate scorrere nel mezzo di un’esistenza complessa per tutti i cittadini italiani immersi, come siamo, in anni senza solidarietà di una fase arretrata su cui è poi collassata, inoltre, l’epidemia da Coronavirus.
L’ultima morte, raccontano a L’Ordine Nuovo i delegati sindacali in piazza, solo pochi giorni fa, quando un lavoratore Sikh che stava lavorando su di un telone è deceduto travolto da una ruspa; l’ultima minaccia, l’ultima violenza raccontata da un video apparso anche sui principali media giornalistici. Oggi l’azienda di questo stimabile rappresentante del padronato è stata chiusa e il titolare è incriminato per sfruttamento del lavoro.
“La condizione dei braccianti nel pontino è, come si sa, molto critica e difficile”, spiega Giuseppe Cappucci, delegato sindacale CGIL: “La presenza del caporalato è molto forte, la condizione è particolarmente dura e si associa allo sfruttamento, alle difficili condizioni abitative, ai problemi relativi alle condizioni di lavoro, alla sicurezza sui campi, ai danni che, va sottolineato, possono fare i fitofarmaci a cui queste persone sono tutti i giorni esposte, senza maschere né protezione”. Gli interventi dal palco sono tradotti dall’italiano al punjabi (lingua parlata dai Sikh): ed è davvero una piazza diversa, inedita e laboratoriale quella che si coglie guardandosi intorno, dove i bianchi sono giornalisti, dirigenti sindacali, forze dell’ordine e i partecipanti, nella maggioranza schiacciante, sono indiani, molti di essi con turbanti e vestiti colorati. Tra un oratore e il successivo vengono scanditi dei canti rituali: “Sono gridi di battaglia”, spiegano i sindacalisti, “e rivendicazioni per i propri diritti”.
Si tratta di vicende note. La quasi totalità della manodopera bracciantile che alimenta il mercato di Fondi, gigantesca piazza agricola che alimenta larghe parti del paese, proviene dalla penisola indiana; nelle campagne del pontino vive in particolare una imponente comunità Sikh, organizzata in circoli religiosi retti da un presidente che si fa poi portavoce delle istanze dei propri membri: alcuni dei presenti portano manifesti con il volto di uno di questi esponenti, anche lui morto sul lavoro.
I ragazzi del FGC insieme ai lavoratori combattivi distribuiscono un volantino in doppia lingua, italiano e punjabi: “Oggi siamo stati in piazza perché i lavoratori dei campi sono tra le categorie che subiscono forme di sfruttamento tra le più intense a tutto vantaggio della grande distribuzione organizzata e dei padroni del settore agroalimentare”, spiega Alessio Angelucci, del FGC di Roma: “Daremo il nostro supporto per rafforzare le mobilitazioni dei braccianti e renderli protagonisti della stagione di lotte che ci aspetta”. Ancora dal palco: “Sappiamo che alcuni caporali, sapendo che sareste stati qui questa mattina, vi hanno minacciato. Vi ringraziamo per la vostra presenza in piazza”.
Ad andare in scena è così il rapporto dialettico, che è giusto indagare e su cui è giusto soffermarsi, fra movimento dei lavoratori e forza sindacale: lo evidenzia il rappresentante della comunità indiana quando dice, in italiano, che “saremo sempre insieme ai sindacati che dimostrano di voler raccogliere le nostre istanze e di prendersi cura dei nostri interessi”.
Il protagonismo dei lavoratori, la loro autonomia, è evidente nella forma della piazza: il ruolo delle forze politiche e sindacali diventa allora quello di uno dei perni di un’alleanza da costruire, come si sta provando a fare con il percorso del Fronte Unico di Classe e l’Assemblea dei Lavoratori Combattivi del Lazio che è stata convocata a Roma per l’11 ottobre.
Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore dell’Eurispes, pronuncia uno dei discorsi più attesi: “Siamo qui per i lavoratori che negli ultimi mesi sono morti, magari perché buttati nei canali, magari perché hanno tentato il suicidio. Noi siamo qui anche per loro e siamo accanto ai tanti lavoratori che chiedono giustizia, denunciano e si costituiscono parte civile nei processi a carico dei caporali”. Un passaggio cruciale questo, che evidenzia quale possa e debba essere il compito di chi vuole accompagnare e dare strumenti efficaci alla lotta bracciantile: “Su trentamila membri della comunità Sikh”, ci conferma un lavoratore che chiede di rimanere anonimo, “credo che saranno in mille quelli che parlano e capiscono l’italiano”.
“Alla rivendicazione dobbiamo dunque associare la formazione”, spiega Marco Omizzolo a L’Ordine Nuovo: “Insegnare a queste persone l’italiano è fondamentale perché loro possano denunciare, possano leggere e capire i propri contratti di lavoro, comprendere le buste paga. Solo chi conosce l’italiano denuncia, racconta quel che gli succede alle forze dell’ordine: ecco che allora servono corsi di lingua, elementi di base sul diritto del lavoro che siano comprensibili a questi braccianti, serve calarsi nella loro realtà e interpretarla”. A questo proposito, ineludibile è anche il dato della commistione profonda fra vita civile e vita religiosa che è parte integrante dello stile di queste comunità: “L’accoglienza e l’uguaglianza sono al centro dello stile spirituale Sikh”, continua Omizzolo, “e sono principi continuamente violati dentro le aziende nelle quali lavorano, sono trattamenti che vengono sentiti come contrari alla loro identità. Anche questa può essere una leva importante su cui questi lavoratori possono essere intercettati e organizzati”.
Tommaso Caldarelli