Il no al ricatto salute-diritti è il filo rosso che unisce le lotte
Sono circa le 15 quando la piazza davanti il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (Mibact) si riempie in supporto ai lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, tra i più colpiti durante questa pandemia e chiusi dal governo per evitare di toccare gli interessi di Confindustria nonostante dai dati sul contagio sia evidente la residualità dei contagiati nei teatri e nei cinema. In prima fila uno striscione con un messaggio molto chiaro: “Casa, lavoro, salute: facciamo pagare la crisi ai padroni” tenuto dai lavoratori dell’assemblea dei lavoratori combattivi, dagli studenti del FGC e dai compagni del Collettivo Militant. È proprio il rifiuto del ricatto che contrappone la salute e i diritti sociali il filo rosso che lega la manifestazione di sabato 31 ottobre con il pomeriggio romano di lotta del 7 novembre, che ha avuto il suo inizio proprio in sostegno alla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo che in questi mesi si stanno rivelando tra i più combattivi e disposti alla giusta lotta per ottenere quello che gli spetta.
Il presidio sotto al Mibact chiede a gran voce le dimissioni di Franceschini e si scaglia contro il governo. Tra gli interventi più significativi quello di Bereket, delegato sicobas tra i facchini SDA, venuto a portare la solidarietà dei lavoratori della logistica in lotta e quello di Lorenzo, musicista e militante del FGC, che porta la solidarietà dei tanti giovani comunisti venuti a sostenere la protesta.
Dopo alcuni interventi di studenti e lavoratori del settore la piazza intorno si trasforma in corteo per unirsi alla seconda piazza, chiamata per le 17:30 davanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in sostegno ai movimenti di lotta per la casa, contro qualsiasi sfratto e sgombero abitativo oltre che per un necessario piano nazionale per i trasporti. Il corteo attraversa le vie principali del centro, da via del Tritone a via Barberini intonando cori contro la crisi e Confindustria: “Precarierà, miseria e lutto: pagherete caro, pagherete tutto”, “Confindustria assassini”, “Noi la crisi non la paghiamo” sono solo alcuni degli slogan intonati alternati ad altri in memoria della Rivoluzione d’ottobre di cui il 7 novembre, correva il 103esimo anniversario. All’altezza di Porta Pia i manifestanti si uniscono con l’altra piazza che si indirizza verso il ministero dei trasporti dove si susseguono interventi di militanti dei movimenti per il diritto all’abitare, lavoratori e studenti.
Parla Flavia, militante del FGC e presidentessa della commissione diritto allo studio della Consulta Provinciale degli studenti di Roma, denunciando la disastrosa condizione del trasporto pubblico e portando in piazza la voce di tutti quegli studenti che non ci stanno a vedere il proprio diritto allo studio sacrificato da una gestione della crisi da parte del governo orientata esclusivamente alla tutela dei profitti dei padroni.
Dopo qualche tentativo della polizia di chiudere le strade si riesce nuovamente a partire in corteo verso il policlinico Umberto I dove la manifestazione si scioglierà omaggiando medici e infermieri con un applauso. Alla testa uno striscione con scritto “no al ricatto tra salute e diritti”.
Una piazza importante partecipata da migliaia di persone, il secondo sabato consecutivo di mobilitazione al grido di “facciamo pagare la crisi ai padroni”, una piazza che non nega la gravità della situazione sanitaria odierna ed è pronta ad accettare la necessità di misure contenitive, ma che afferma chiaramente che in nessun modo il costo di queste misure deve essere scaricato sui lavoratori e sulle fasce popolari. Sono molto chiari ai presenti alla mobilitazione i responsabili di questa situazione, prima fra tutti Confindustria che da marzo ha fatto di tutto per ritardare le chiusure, ha tenuto aperti settori non essenziali e ha spinto per la totale riapertura mettendo in grave pericolo la salute dei lavoratori, poi a crisi iniziata ha proceduto a minacciare milioni di licenziamenti e attaccare i contratti nazionali rivendicando salari più bassi e maggiore precarietà, dopo l’estate ha invece deliberatamente continuato a produrre anche nelle aziende-focolaio impedendo la possibilità di qualsiasi intervento di contenimento. La seconda ondata è cominciata infatti a inizio settembre nelle fabbriche e nei magazzini dove si registravano tassi di contagio ben più alti della media nazionale in quel momento. Il governo decise di non fare nulla, di non chiudere quei focolai e di non imporre il rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ed è proprio il governo Conte un altro importante corresponsabile, più di qualsiasi altra cosa sembra aver avuto infatti a cuore i profitti di monopoli e grandi imprese stanziando miliardi in debito per garantire le loro entrate e per proseguire nelle spese militari, misure che ricadranno proprio sulle tasche dei lavoratori a cui i padroni vogliono far pagare la crisi, mentre nessuna misura strutturale è stata presa in supporto alla sanità, né per la scuola o i trasporti.
Alla luce di ciò la piazza aveva delle richieste ben chiare contenute nei passaggi più significativi del comunicato di lancio diffuso dagli organizzatori: “Dobbiamo combattere il virus, ma tutto potrà andare bene solo se saranno garantiti a tutti il diritto ad una casa, a un reddito e a un lavoro adeguati, a un’istruzione che non lasci indietro nessuno, ad un sistema sanitario e a dei trasporti di qualità, gratuiti e accessibili a tutti. Garantire anche salari e reddito in vista di nuovi lockdown e restrizioni, così da rompere il ricatto tra la salute e il nostro diritto ad avere una vita dignitosa nel quale i vari dpcm ci stanno costringendo. (…) Non vogliamo essere noi a subire i costi di una crisi che sta evidenziando tutte le mancanze strutturali del sistema in cui viviamo. A pagare devono essere i principali responsabili del disastro. Quelli che pur di continuare a produrre e ad arricchirsi mettono a rischio le nostre vite, quelli che per aumentare i propri profitti sfruttano e non rispettano le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, quelli che dall’inizio della pandemia hanno visto aumentare i propri conti in banca sulla miseria collettiva. Parliamo dei padroni di Amazon, Google, di FCA, della Confindustria, delle industrie delle armi che non si sono mai fermate e di tutte quelle imprese nazionali e multinazionali i cui patrimoni accumulati sullo sfruttamento collettivo basterebbero da soli a risolvere i nostri problemi.”
Quello iniziato è un percorso di lotta molto importante che ha unito organizzazioni politiche comuniste, realtà sociali, organizzazioni sindacali come Sicobas, Cobas e USB, settori combattivi di lavoratori, studenti e movimenti di lotta come i coordinamenti per il diritto all’abitare, e sembra non fermarsi. Sono già in cantiere per i prossimi giorni nuove assemblee e mobilitazioni.