Il 12 dicembre 1969, alle 16.37, un ordigno contenente sette chili di tritolo esplode nel salone della Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano. Tredici persone rimangono uccise sul colpo, altre cinque moriranno in seguito, ottantotto i feriti. Dalla fine della Seconda guerra mondiale si tratta del più grave atto di violenza contro i civili che il Paese avesse fino ad allora conosciuto.
Non si tratta di un atto isolato: mentre polizia e ambulanze si affannano per gestire i soccorsi, a Roma, nel corso dell’ora successiva, detonano altre tre bombe, causando sedici feriti nella capitale. Una valigetta, contenente esplosivo, viene rinvenuta infine in Piazza della Scala e fatta brillare dagli artificieri.
La Strage di piazza Fontana rappresenta una cesura nella storia dell’Italia repubblicana ed ha contribuito a modellare l’evoluzione politica, mediatica e sociale del Paese nel corso dei decenni successivi. Le indagini, pur con ritardi, rallentamenti e omissioni, hanno appurato responsabilità che corrono su una traccia che va a intersecare gruppi eversivi neofascisti, apparati governativi e reti transnazionali, ma il nulla ha seguito queste rivelazioni. A distanza di oltre cinquant’anni, i fatti di Milano hanno ancora una valenza pubblica cruciale e devono essere approfonditi in quanto elemento essenziale per comprendere quanto è venuto in seguito.
È importante anche e innanzitutto integrarli nel contesto storico che gli appartiene. Il 1968 aveva visto l’espandersi dei gruppi organizzati della sinistra extra-parlamentari e dei movimenti sindacali. A maggio vi furono le occupazioni di massa delle università mentre su tutto il territorio nazionale si moltiplicavano manifestazioni, scioperi e scontri con le forze dell’ordine. L’ordine democratico soffriva di una crisi di legittimità e credibilità profonda, nonostante l’esperimento del “centro-sinistra”, varato dal terzo governo Moro nel 1966, avesse aperto ai socialisti. Il “miracolo economico” non aveva consistito nel tanto propagandato miglioramento di vita del proletariato italiano che ora, sull’onda anche delle mobilitazioni a livello internazionale, richiedeva non una società “migliore” ma una “radicalmente diversa”. Nell’autunno del ’69 le agitazioni operaie, mosse dal rinnovo dei contratti collettivi, spinsero ad un punto mai visto prima le rivendicazioni dei lavoratori, sostenendole con una pratica di lotta diffusa, unita a quella studentesca, e decisamente conflittuale.
In questo contesto l’ordigno di Milano miete le sue vittime. La cronaca dei fatti che seguono all’esplosione è fatta di ritmi frenetici e lunghissime pause. In un primo momento, subito dopo l’attentato, le attenzioni degli inquirenti si concentrano sui gruppi anarchici attivi nel capoluogo lombardo e nella capitale, seguendo una pista sostenuta da Roma dall’Ufficio Affari Riservati. A coordinare gli sforzi è il questore Marcello Guida, già direttore delle colonie di confino politico e commissario di polizia sotto il fascismo. La sera di quello stesso 12 dicembre ottantaquattro persone vengono fermate e portare in questura per accertamenti, tra questi c’è Giuseppe Pinelli, già indagato per alcuni attentati nella primavera precedente. Il quindici dicembre, a fermo ormai scaduto e dunque illegale, Pinelli muore precipitando da una finestra della questura di Milano mentre veniva interrogato dal commissario Luigi Calabresi alla presenza di quattro agenti della polizia e di un tenente dei carabinieri. L’indomani viene arrestato Pietro Valfreda, anche lui legato ai circoli libertari, indicato da un taxista come l’uomo che si era fatto lasciare vicino alla banca con una grossa valigia per poi chiedergli di aspettarlo. Nonostante alcuni dettagli rispetto alle tempistiche non tornino, la stampa e le istituzioni hanno necessità di dare una risposta chiara all’opinione pubblica. Mario Merlino, militante anarchico, confermerà le accuse. Saragat, presidente della Repubblica in carica dal 1964, si congratulerà pubblicamente con Guida per il brillante lavoro svolto, mentre le prime pagine di tutti i giornali sono dedicate allo smascheramento del “mostro disumano”, “belva umana”, “belva oscena”. Tutti i protagonisti dell’agone democratico si schierano compatti contro Valfreda, che viene individuato da L’Avanti come esponente di un gruppo anarco-fascista.
Valpreda rimarrà in carcere per tre anni, fino allo scadere del limite massimo delle misure cautelari. In questo periodo le indagini proseguono aprendo una serie di scatole cinesi e, nonostante insabbiamenti, intromissioni e blocchi, scopriranno lati accuratamente nascosti dell’ordine repubblicano. Gli attacchi terroristici, difatti, sono il terminale di una trama particolare che sembra coinvolgere personaggi ed organizzazioni diverse, svelando una trama che collega esponenti della destra, neofascisti e servizi segreti. La storia non è così semplice da permettere di individuare un mostro, chiuderlo a chiave e poi dimenticarsene.
Giovanni Ambrosini, avvocato, Ardito del Popolo, ex dirigente del PcdI poi passato al PNF, subito dopo la strage aveva suggerito una responsabilità dei fascisti di Ordine Nuovo. È il primo segnale di una pista nera dietro le azioni terroristiche. Un indirizzo che viene riconfermato da quanto emerge dalle borse che contenevano l’esplosivo, ricollegate dagli inquirenti a Franco Freda e Giovanni Ventura, esponenti di spicco del neofascismo evoliano ed eversivo. Da queste nuove indagini si dipana un filo nuovo: l’azione, dietro le quinte, del SID, i servizi segreti, all’interno dei movimenti anarchici e comunisti. Manovre volte a controllarne l’attività ma anche al cercare di spostarne l’azione su prospettive di scontro, per isolarli politicamente e giustificare l’azione repressiva. Questo si ricollega ai loro contatti con diverse personalità della destra eversiva che intendono sfruttare la situazione in un’ottica di destabilizzazione. Merlino, nominalmente anarchico e accusatore di Valfreda, si rivela essere un uomo di Avanguardia Nazionale. Si vedono poi comparire anche nomi d’eccellenza quali quello di Stefano Delle Chiaie, tra i fondatori proprio di A.N., legato al principe Borghese e uomo di fiducia della CIA in Italia per quanto riguarda le operazioni di indirizzo anticomunista. Viene messa sotto osservazione la figura di Antonio Sottosanti, ex Legione Straniera, figura ambigua vicina agli ambienti insurrezionalisti, che avrebbe potuto essere stato utilizzato come sosia di Valpreda, in modo da indirizzare le indagini proprio sull’anarchico romano. È un teatro tragico, dove figure compaiono per un momento prima di tornare dietro le quinte, con fughe all’estero di esponenti dell’ampia e frammentata galassia dei gruppi neofascisti, spesso e volentieri finanziate proprio dal SID. Nel 1971 emigra in Spagna, cambiando nome, Marco Pozzan, amico di Freda e testimone delle riunioni organizzative per preparare la strage. Due anni dopo scappa a Parigi Guido Giannellini, giornalista, sul libro paga del SID e collaboratore di Pino Rauti e Delle Chiaie.
Anni di teorie, prove e linee d’accusa che si intersecano mentre il Paese è in un periodo di tensione e l’attività di gruppi neofascisti attraversa l’Italia: il golpe Borghese, lo stupro di Franca Rame ad opera di un gruppo di neofascisti con la complicità di alcuni carabinieri, Nico Azzi, militante di Ordine Nero, rimane ferito dalla bomba che porta addosso prima di poterla piazzare sul treno Torino-Roma, la stessa organizzazione compie stragi come quella di Piazza della Loggia e dell’Italicus.
I tribunali spostano il processo da un capo all’altro dell’Italia, i rinvii a giudizio si accumulano. La difficoltà per i giudici e gli inquirenti non è solo quella di dipanare un filo conduttore attraverso molteplici gruppi, individui e responsabili. La traccia, in effetti, è quella che porta a una connivenza pericolosa e gravida di conseguenze tra l’eversione nera e i servizi segreti, fatto che, se acclarato e reso pubblico, travolgerebbe le istituzioni.
Quella che era stata presentata inizialmente come la conseguenza della follia omicida di un maniaco, coadiuvato da pochi altri, comprova invece l’esistenza di un’intelligenza organizzativa che infiltra e costituisce i livelli più alti del governo e dello Stato, con legami che si spingono fino ad organizzazioni come la NATO e l’OAS. Reti nascoste come quella di Gladio, costituite con l’esplicito scopo di frenare l’avanzata delle sinistre ad ogni costo, e in cui erano coinvolti uomini del calibro di Cossiga, Moro, Taviani.
Nel 1975 si tenta, con l’avvio del terzo processo, di salvare il salvabile. Si danno per buone la responsabilità degli anarchici e dei fascisti grazie al tramite di Merlino, figura il cui ruolo non verrà mai completamente acclarato. L’anno successivo vengono inquisiti i primi esponenti di alto profilo del SID, ormai troppo esposti: Maletti e Labruna, per aver cercato di far evadere Ventura e aver favorito Pozzan e Giannettini. Aldo Moro, durante la prigionia nel 1978, confesserà ai membri delle Brigate Rosse la corresponsabilità di Democrazia Cristiana e organi dello Stato nella preparazione ed esecuzione dell’attentato. Nel 1979 si chiude finalmente il processo. Freda e Ventura hanno lasciato il Paese e, insieme a Giannettini, vengono individuati come gli organizzatori della strage. Valpreda e Merlino sono condannati per associazione a delinquere e ai vari membri del SID implicati vengono comminate pene da uno a quattro anni.
La storia, che sembra aver trovato una sua conclusione, è ancora lontana dalla fine. Le condanne verranno annullate e poi riconfermate, mentre nel corso di tutto il decennio successivo altri processi vedranno la luce, con imputati e capi d’accusa mutevoli. Ancora una volta nomi e volti continuano a girare senza mai trovare una precisa collocazione. Negli anni lo sguardo degli inquirenti però sembra concentrarsi su una direzione più precisa: Stefano Delle Chiaie che comparirà più volte in tribunale finirà per essere assolto. Delfo Zorzi, esponente di spicco di ON, già implicato in processi per strage, da anni in Giappone, viene inserito nella lista dei sospettati. Nel 1992 viene arrestato Carlo Digilio, da anni latitante, militante di Ordine Nuovo e NAR, implicato in diverse stragi, che confermerà i legami tra la CIA e le organizzazioni neofasciste del Veneto attive nelle azioni terroristiche. Ancora nomi e persone, tutte però collegate nella ramificata organizzazione che collega strutture all’apparenza antitetiche.
A tutto questo viene messo un punto fermo nel 2005. Il tribunale confermerà le sentenze precedenti, che si possono riassumere in un “nulla di fatto”: poche condanne lievi per reati collegati al fatto ma al centro di tutto vi è l’assenza del responsabile materiale della strage e la mancata identificazione dei mandanti.
La strana rete di intrecci che sembra aver mosso il tutto e che era certamente ancora attiva nel corso degli anni ’70 e dei primi anni ’80 rimane nascosta, nonostante la Cassazione ne certifichi l’esistenza. L’unica certezza è che i parenti delle vittime verranno condannati al pagamento delle spese processuali.
Nicolò Rettagliata
Approfondimenti:
A. Barbieri e M. Fini, Valpreda. Processo al processo, Feltrinelli, Milano 1972.
D. Biachessi, Ombre nere. Il terrorismo di destra da Piazza Fontana alla bomba al “Manifesto”, Mursia, Milano 2002.
G. Cipriani, Lo Stato invisibile, Sperling & Kupfer, Milano 2004
A. Moro, Il memoriale di Aldo Moro (1978). Ediz. Critica, De Luca Editori d’Arte, Roma 2019
M. Franzinelli, La sottile linea nera, Rizzoli, Roma 2008.
N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer, Milano 2009.
Sitografia
Tutte le sentenze (http://www.fontitaliarepubblicana.it/DocTrace/#home?q=%20projectid:11&page=1&per_page=10)