Prima di passare in rassegna le espressioni recenti di autoritarismo e le forme di repressione borghese, liberticida e anticomunista che si sono susseguite nel mondo capitalista negli ultimi tempi, cominciamo con dare una definizione seppur sommaria dell’anticomunismo stesso.
Con tale espressione si intende una linea politico-ideologica, più o meno organizzata (anche in forme paramilitari), inserita spesso negli apparati statali borghesi e volta a contrastare qualsiasi forma di organizzazione e lotta della classe operaia, per impedire che venga costruito un sistema socialista in cui la proprietà dei mezzi di produzione sia socializzata, il controllo della produzione e il potere sia in mano alla classe operaia, l’economia sia pianificata e centralizzata.
La persecuzione del movimento operaio e comunista è una costante fin dai suoi albori e ha caratterizzato il “secolo breve” e quello da poco iniziato, soprattutto a seguito della caduta dell’URSS. Ricordando alcune delle più emblematiche espressioni del secolo scorso possiamo citare le operazioni Gladio, Condor e Fénix, con le relative strutture facenti capo alla CIA, il Patto Anti-Comintern, i massacri anticomunisti in Indonesia, Thailandia, Corea, Cina, Guatemala, El Salvador, Colombia, Argentina, Cile, Spagna, Grecia, Germania ecc… Lo stesso Patto Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949, è stato costituito in funzione antisovietica (insieme ad altre iniziative come la Dottrina Truman e il Piano Marshall), precedendo la costituzione dell’alleanza militare dei paesi socialisti, con a capo l’URSS, il Patto di Varsavia, fondato il 14 maggio 1955. Nel tempo numerosissime sono le manifestazioni internazionali in chiave anticomunista, che hanno accompagnato anche lo scioglimento del Patto di Varsavia avvenuto il 1° luglio 1991, e che si è accostato al completamento del processo di dissoluzione dell’URSS.
Ciò non avviene solo con mezzi polizieschi, militari e paramilitari ma anche nelle forme generali di contrasto ideologico al comunismo che raggiungono idealmente il punto abissale con la vicenda più segnatamente europea, costituita dalla risoluzione del Parlamento europeo datata 19 settembre 2019, che, strumentalizzando il patto Molotov-Ribbentropp, pone sullo stesso piano, equiparandoli, comunismo e nazismo, sotto l’unica definizione di “totalitarismo”, negando così il fondamentale contributo apportato dall’URSS e dal movimento comunista alle lotte di liberazione dal dominio nazi-fascista e ignorando l’enorme differenza in termini di classe e il legame organico tra capitalismo monopolistico e nazifascismo. Inoltre, quest’ultima risoluzione arriva dopo un lungo processo, dal protocollo anticomunista del Consiglio d’Europa del 2005, la mozione del Parlamento europeo del 2009 sulla “Coscienza europea e il totalitarismo”, l’istituzione da parte dell’UE del 23 agosto come “giornata della memoria per le vittime del nazismo e dello stalinismo” e la trasformazione del 9 maggio da giorno della vittoria antifascista dei popoli a “giorno dell’Europa”. Milioni di euro del suo bilancio sono spesi per la creazione e implementazione di progetti (ad es. la Casa della Storia) che mirano a riscrivere e falsificare la storia (con particolare accento alla distorsione della genesi, natura ed esiti della Seconda guerra imperialista mondiale), a cancellare la memoria con la diffamazione della lotta e delle conquiste del movimento operaio e comunista, alla edulcorazione e riabilitazione del fascismo (fino all’esplicito sostegno di forze fasciste, come in Ucraina) e, in definitiva, impedire la messa in discussione del capitalismo.
In un periodo storico, dove si consuma una delle crisi più acute del sistema capitalistico, esacerbata dalla concomitanza della crisi pandemica, si determina lo sviluppo di una sempre più crescente recrudescenza della repressione anticomunista, che si manifesta sotto forme apparentemente diverse nei paesi capitalisti, ma che tende al medesimo obiettivo: contrastare il movimento operaio e la sua riorganizzazione.
Più sinteticamente, a livello internazionale: se la NATO nel 2° dopoguerra ha costituito lo strumento politico-militare di contrasto ai paesi socialisti e al portato ideologico e politico che questi paesi hanno voluto rappresentare, più recentemente il Parlamento europeo, con la risoluzione citata in precedenza, ha legittimato la contrapposizione ideologica al comunismo, dando un colpo di spugna alla storia, cancellando la memoria dei movimenti di liberazione e delle lotte partigiane e le conquiste del movimento operaio. Il fine è quello di consegnare ai posteri una falsa narrazione degli avvenimenti della storia, oscurando una memoria che non va perduta.
E nel solco di questa narrazione si inseriscono i recenti fatti.
Con l’acuirsi della crisi del capitalismo e della competizione interimperialista, processi amplificati dalla pandemia, assistiamo ad una complessiva recrudescenza dell’autoritarismo borghese sostenuto da politiche e leggi liberticide e repressive che i governi capitalisti stanno adottando in diversi paesi con il mirino puntato sul movimento operaio e comunista.
Passiamo in rassegna alcuni recenti esempi caratteristici nel 2020.
Slovacchia
Lo scorso 1° dicembre 2020 è entrata in vigore in Slovacchia la nuova legislazione anticomunista introdotta dall’attuale governo di centrodestra guidato da Igor Matovič. Il 25 novembre scorso, infatti, il presidente della Repubblica slovacca, Zuzana Čaputová, ha firmato un emendamento che amplia la legge n. 125/1996 sulla “immoralità e illegalità del sistema comunista”. Da questo momento sono vietate la costruzione di monumenti, targhe, testi, immagini, memoriali e simboli che “celebrano, promuovono o difendono un regime basato sull’ideologia comunista o sui suoi rappresentanti”. La legge vieta di intitolare strade e spazi pubblici a rappresentanti del socialismo e definisce il Partito Comunista Cecoslovacco e il Partito Comunista Slovacco (1948-1989) come “organizzazioni criminali”. Insediatosi dopo le elezioni del 29 febbraio 2020, Matovič governa con una maggioranza formata da conservatori, nazionalisti e liberali che il 4 novembre scorso hanno approvato nel Consiglio nazionale (il parlamento) un disegno di legge che criminalizza l’intero periodo della costruzione del socialismo in Cecoslovacchia dal 1948 al 1989, istituendo l’anticomunismo come ideologia di Stato ed equiparando il comunismo al fascismo, appoggiandosi sulla risoluzione del parlamento europeo del settembre 2019.
Dal 1992, nel paese opera il Partito Comunista della Slovacchia (KSS) che ha ripreso l’attività comunista dopo la controrivoluzione e la definitiva restaurazione del capitalismo, attraverso la cosiddetta “Rivoluzione di Velluto” che portò alla dissoluzione della Repubblica Socialista Cecoslovacca (ČSSR) tra il 1989 e il 1990, da cui si costituì la Repubblica Slovacca che oggi è paese membro dell’Unione Europea e della NATO. Membro della Iniziativa Comunista Europea (ICE), il KSS, seppur non sia il successore legale del partito esistente fino al 1989, fa riferimento allo storico Partito Comunista della Slovacchia attivo in Slovacchia dal 1938 al 1992 come parte dello storico Partito Comunista della Cecoslovacchia, istituito nel 1921. Il KSS ha condannato la legislazione anticomunista affermando che si batterà per impedire che la storia venga distorta e continuerà a denunciare i crimini del sistema capitalista, la propria battaglia per il socialismo e la verità storica. Ricordando i benefici della costruzione socialista nel dopoguerra e che circa il 40% degli slovacchi ne ha tutt’ora un’opinione positiva, il KSS afferma che il motivo della criminalizzazione del socialismo è la paura dei suoi valori come alternativa all’odierno fallimento del progetto capitalista.
Polonia
Nel paese confinante, la Polonia, l’isteria anticomunista è ben consolidata nella persistente “caccia alle streghe” contro i comunisti che da decenni caratterizza le autorità borghesi polacche in un pericoloso crinale antidemocratico e reazionario, con la compiacenza e l’incoraggiamento dell’UE. Sono note infatti le persecuzioni, restrizioni e i procedimenti penali che da anni sono condotti contro il Partito Comunista di Polonia (KPP), il suo quotidiano “Bzrask” e i loro membri “per promozione di regimi totalitari”. Inoltre, tra le altre cose, ricordiamo l’interruzione di conferenze scientifiche su Karl Marx organizzate dalle università, l’uso di istituzioni pubbliche come l’Istituto di Memoria Nazionale (IPN) per la diffusione di propaganda anticomunista e l’istituzione di un pericoloso quadro legale per la persecuzione comunista che include la “legge sulla decomunistizzazione” del 2017 e la modifica del codice penale per imporre fino a 3 anni di carcere ai comunisti per la loro attività politica.
Il 6 dicembre scorso, a tutto questo, la Procura generale e il Ministero della giustizia hanno presentato alla Corte costituzionale una mozione per ottenere definitivamente l’obiettivo di dichiarare illegali le attività del KPP, fondato 18 anni fa e anch’esso membro della Iniziativa Comunista Europea, con l’accusa di “incitare nel suo statuto alla rivoluzione” e di far “riferimento a un regime totalitario”.
Protagonista di questo nuovo episodio è Zbigniew Ziobro, ministro della giustizia polacco che nella mozione presentata sottolinea che i membri del KPP “invocano apertamente la rivoluzione ispirata alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia” e aggiunge che tra gli obiettivi del Partito c’è quello di “realizzare in maniera forzata nazionalizzazione e collettivizzazione”. Col partito di estrema destra, ultraconservatore e nazionalista “Legge e giustizia” Ziobro è un rappresentante politico dell’ala più reazionaria della borghesia polacca. Tra le altre cose, è tra coloro che conducono la battaglia contro la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, dichiarando l’inizio del ritiro della Polonia dall’accordo. Una delle altre misure che Ziobro propone è quella di introdurre una legge che punirà ogni riferimento al ruolo della Polonia nell’Olocausto che ha come obiettivo quello di proteggere e riabilitare i collaborazionisti nazisti polacchi che, tra le altre cose, combatterono contro l’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale.
Di pari passo con tutte queste iniziative delle autorità contro il KPP, le libertà democratiche e civili (per approfondire leggi qui), crescono i gruppi fascisti coltivati dal sistema borghese che sotto il mantello del “nazionalismo polacco” promuove politiche reazionarie e antipopolari. La prevalenza della controrivoluzione e definitiva restaurazione capitalista alla fine degli anni ’80 è stata accompagnata da una intensa e persistente propaganda nazionalista antisovietica promossa sia dai governi che dalla Chiesa cattolica come dall’UE.
Altri esempi di anticomunismo
In un precedente articolo abbiamo già parlato di un altro atto anticomunista avvenuto lo scorso 7 novembre, in occasione del 103° anniversario della Rivoluzione Socialista d’Ottobre, nella cittadina russa di Tyumen, con la repressione nei confronti del Partito Comunista Operaio Russo-PCUS e gli arresti di suoi quadri. Andando a ritroso di qualche mese ricordiamo l’impedimento al Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) – anch’esso membro della ICE – di partecipare alle elezioni in Serbia, l’attacco anticomunista di una setta di fondamentalisti islamici legata al governo di Erdogan contro militanti del Partito Comunista di Turchia (TKP) e una sua sede in un sobborgo di Istanbul, la messa al bando in Russia dell’organizzazione comunista del Rot Front (legata al PCOR-PCUS), gli attacchi, la repressione e la censura mediatica subita dal Partito Comunista del Venezuela (PCV) da parte delle autorità statali e il governo nella recente campagna elettorale, senza naturalmente dimenticare le persecuzioni e divieti che subiscono i comunisti ucraini e dei paesi baltici a cui viene sistematicamente ostacolata e impedita l’attività politica legale e l’uso dei simboli comunisti.
In Spagna, il Partito Popolare (PP) ha presentato un progetto di legge al Senato – dove ha la maggioranza – per la messa al bando dei simboli comunisti in applicazione della risoluzione del parlamento europeo del 2019. In Brasile, il figlio del presidente Bolsonaro ha promosso una campagna anticomunista per bandire le organizzazioni comuniste del paese sul modello europeo, mentre in Francia il gruppo nazionalista-monarchico Azione Francese conduce una campagna volta a richiedere al ministro dell’Interno Darmanin la dissoluzione del PCF – la cui sede è stata attaccata – e minacce di morte sono state rivolte contro militanti della combattiva federazione di Lione del MJCF.
Repressione antioperaia e antipopolare
Rimanendo in Francia, emblematica del processo di recrudescenza autoritaria è la liberticida legge sulla “sicurezza globale” e la costante repressione delle manifestazioni di protesta, con l’uso della pandemia da parte del governo Macron per amplificare la politica antipopolare. Con la legge “sicurezza globale” si cerca di dare carta bianca alla violenza poliziesca, garantendo alla polizia l’impunità e vietando di filmare e trasmettere immagini che ritraggono poliziotti in azione, come le violenze perpetrate dalla polizia durante le manifestazioni (per approfondire qui), mentre un’altra legge criminalizza l’occupazione degli anfiteatri universitari, tradizionale pratica di lotta del movimento studentesco francese. Nell’ultimo periodo si assiste ad una escalation di repressione, maltrattamenti e gravi ferimenti di manifestanti progressisti, lavoratori in lotta, sindacalisti, gilet gialli e anche lavoratori migranti e stranieri privi di documenti, nonché studenti delle scuole superiori e universitari.
In Grecia, ricordiamo la violenta aggressione poliziesca alla manifestazione del 17 novembre e gli arresti di centinaia di militati e quadri del KKE, della KNE e del PAME e le proposte di legge per limitare ulteriormente il diritto di sciopero e manifestazione (leggi qui e qui); in Turchia, l’eclatante episodio dell’arresto di un centinaio di sindacalisti tra cui il vice-presidente della FSM (leggi qui) che si inserisce in un complessivo quadro repressivo contro il movimento operaio, tra cui la sistematica violazione del diritto di sciopero (dal 2003 sono stati vietati 17 scioperi); in India, le forti proteste popolari, gli scioperi di massa dei lavoratori e le marce contadine contro le politiche antipopolari del governo vengono ripetutamente attaccate dalla polizia con diverse decine di arresti di leader sindacali, numerosi feriti e almeno 35 morti; in Belgio 17 sindacalisti – tra cui il presidente del sindacato FGTB – sono stati condannati a un mese di prigione con la condizionale per blocco stradale nell’ambito di uno sciopero nazionale (leggi qui); in Pakistan è in corso un’ondata repressiva contro attivisti sociali e per i diritti umani, tra cui l’arresto del parlamentare marxista Ali Wazir (leggi qui). E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, ad esempio in Sud America, dalla Colombia al Paraguay, dal Cile al Guatemala, ecc.
Agli atti repressivi, ai divieti di manifestazione, alla criminalizzazione delle lotte, agli arresti di sindacalisti e alle nuove norme che limitano le libertà democratiche, politiche e sindacali che si susseguono in vari paesi, si somma la crescente isteria anticomunista. Le autorità borghesi preparano così il terreno per neutralizzare le forze di classe di fronte all’ondata di licenziamenti, di attacco al salario, di peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Tutto questo va di pari di passo con le politiche antipopolari e antioperaie dei governi borghesi, sia all’interno dell’UE che fuori, per salvaguardare i profitti e gli interessi dei capitalisti a discapito della vita, della salute e dei diritti della classe lavoratrice su cui si vuole scaricare ancora una volta il peso della crisi del capitalismo, sfruttando anche la situazione di pandemia, per regolare definitivamente i conti e assestare dei duri colpi al movimento operaio e comunista e soffocare sul nascere ogni tentativo di ripresa. Una relazione non casuale, che necessita di una maggiore consapevolezza sui compiti dei comunisti, sulla questione della risposta necessaria da parte dei lavoratori e in quale forma, di un salto di qualità e rafforzamento dell’internazionalismo proletario.
Daniela Giannini