In quest’articolo analizzeremo il cosiddetto modello veneto della gestione dell’emergenza covid-19. Modello che, se è stato dipinto dai giornali come punto di riferimento nella gestione della prima ondata, sta facendo una strage nella seconda, portando il Veneto a superare la Lombardia nelle ultime settimane. Prima di addentrarci nell’analisi della strategia veneta, soffermiamoci sulla figura del governatore Luca Zaia. La sua carriera istituzionale inizia nel 1998, eletto a Presidente della provincia di Treviso tra le file della Lega. Sempre legato alla propria regione, dopo una breve parentesi (tra il 2008 e il 2010) come ministro delle Politiche Agricole, è eletto Presidente della regione Veneto per la prima volta nel 2010. Da ministro delle Politiche Agricole ha lavorato fin da subito per la classe padronale veneta, come dimostrano, ad esempio, i favori fatti ai produttori di prosecco. Nel 20091, infatti, un decreto del ministero dell’agricoltura tutelava l’uso del termine “Prosecco” legandolo ad alcune zone collinari venete e alle province friulane. Questo ha consentito ai produttori di prosecco di conquistare il mercato mondiale. L’affare milionario ha poi spinto le amministrazioni locali a permettere la conversione in terreni agricoli di appezzamenti troppo vicini alle case, con forti impatti sulla vita degli abitanti dato che l’uva viene trattata coi pesticidi. A peggiorare le cose l’UNESCO nel 2019 annovera le Colline del Prosecco tra i patrimoni dell’umanità, ed ecco che la Regione Veneto tira fuori dal cilindro la legge regionale numero 29 del 25 luglio2 che, all’articolo 13, dà la possibilità di riutilizzare “strutture in zona agricola per finalità di locazione turistica o per finalità di classificazione come dipendenza di albergo diffuso”. In pratica, per evitare di costruire nuove strutture turistiche, i proprietari ad esempio di fienili, pollai o stalle possono trasformare i propri immobili in strutture ricettive senza cambiarne la destinazione d’uso con tutti i vantaggi fiscali del caso. A questo punto il favore ai produttori di prosecco è a 360° se si pensa che grazie a quest’ultima ordinanza si dà la possibilità sia di produrre che fare turismo nelle stesse strutture. Riconfermato successivamente nel 2015 e nel 2020, quando è stato rieletto governatore con percentuali da plebiscito (76,79%). Le elezioni regionali del 2020 sono state molto particolari per via del clima in cui si sono svolte: la pausa estiva ha pesato moltissimo sull’orientamento del voto, tanto che sono stati riconfermati tutti quei governatori che durante la prima ondata presero delle posizioni forti e vicine al senso comune delle masse popolari spaventate, come De Luca in Campania e appunto il nostro Zaia. Chi ha saputo capitalizzare tutto questo consenso e lo ha fatto proprio, tanto da sottrarlo al suo stesso partito, è stato proprio Zaia, la cui lista personale alle regionali del 2020 ha raggiunto il 44,57% contro il misero 16,92% della Lega. A contribuire al raggiungimento di questi risultati è stato certamente l’uso molto ben studiato della comunicazione e della sua immagine pubblica. I continui passaggi televisivi locali coadiuvati dai banner a caratteri cubitali in alcuni network hanno dato ai cittadini veneti la percezione di essere in un territorio sicuro, governati da gente competente che pensa e si muove per il bene comune. Niente di più falso.
Prima della pandemia: due mandati all’insegna dei tagli alla sanità pubblica
In questi mesi di emergenza sanitaria abbiamo letto di forti carenze di posti letto negli ospedali italiani, assistendo ad un ritorno di fiamma per la sanità pubblica. Quanti negli anni passati hanno soffiato sul fuoco dei tagli alla sanità, nell’ultimo anno si sono riscoperti fautori della tutela della sanità pubblica. Eppure, guardando alla tendenza di progressivo smantellamento del servizio sanitario che ha investito il Veneto come tutto il paese, l’inadeguatezza alla gestione della crisi sanitaria appare, dati alla mano, per nulla sorprendente. Elaborando gli open data forniti dal Ministero della Salute3 e concentrandoci in particolare sulla questione dei posti letto disponibili, troviamo conferme e anche qualche sorpresa. Per praticità, riassumiamo i dati nelle tabelle di seguito.
POSTI LETTO IN STRUTTURE PUBBLICHE – VENETO |
|||||||||
Anno |
PROVINCIA |
Totale |
|||||||
Belluno | Padova | Rovigo | Treviso | Venezia | Vicenza | Verona | |||
2010 |
968 | 3.607 | 860 | 2.581 | 2.500 | 2.502 | 3.030 | 16.048 | |
2011 |
960 | 3.595 | 860 | 2.563 | 2.425 | 2.444 | 3.000 | 15.847 | |
2012 |
862 | 3.540 | 860 | 2.546 | 2.355 | 2.440 | 2.895 | 15.498 | |
2013 |
889 | 3.498 | 847 | 2.509 | 2.321 | 2.373 | 2.766 | 15.203 | |
2014 |
882 | 3.482 | 847 | 2.501 | 2.306 | 2.296 | 2.738 | 15.052 | |
2015 |
823 | 3.351 | 814 | 2.314 | 2.275 | 2.283 | 2.666 | 14.526 | |
2016 |
808 | 3.207 | 735 | 2.321 | 2.239 | 2.233 | 2.629 | 14.172 | |
2017 |
786 | 3.196 | 697 | 2.284 | 2.219 | 2.208 | 2.576 | 13.966 | |
2018 |
787 | 3.186 | 686 | 2.317 | 2.223 | 2.212 | 2.546 | 13.957 | |
Perdite dal 2010 | n° |
-181 |
-421 |
-174 |
-264 |
-277 |
-290 |
-484 |
-2091 |
% |
-19% |
-12% |
-20% |
-10% |
-11% |
-12% |
-16% |
-13% |
Nella tabella numero uno analizziamo la perdita di posti letto nelle strutture pubbliche dal 2010 al 2018, divisi per provincie e totale. La tendenza complessiva di diminuzione dei posti letto fotografata dalla tabella è solo uno degli effetti dei tagli agli investimenti pubblici in sanità susseguitisi negli anni a livello nazionale. La provincia dove si registra la maggior perdita è Rovigo con un -20% rispetto al 2010, per un totale di 174 posti letto persi. Ad una prima occhiata, i numeri potrebbero sembrare esigui ma, andando a verificare più attentamente, notiamo ad esempio che tra il 2015 e il 2016 si sono persi 79 posti letto, 37 dei quali dall’ospedale di Trecenta. Volendo scendere ancora nel dettaglio, si osserva che i posti letto persi sono nei reparti di chirurgia (68%) e ortopedia (soppressione del reparto). La provincia di Rovigo conta circa 240.000 abitanti e può far affidamento solo su tre ospedali, rilevare questo può aiutare a comprendere quanto l’indirizzo di chiusura dei presidi più piccoli per prediligere grandi aziende ospedaliere, derivante da una logica aziendalista di gestione dei presidi sanitari pubblici, sia d’impatto sulla vita di quanti vivono in provincia.
POSTI LETTO IN STRUTTURE PRIVATE* – VENETO |
||||||||||
Anno |
PROVINCIA |
Totale |
||||||||
Belluno | Padova | Rovigo | Treviso | Venezia | Vicenza | Verona | ||||
2010 |
78 | 482 | 286 | 545 | 695 | 240 | 1.053 | 3.379 | ||
2011 |
78 | 482 | 286 | 545 | 657 | 240 | 1.058 | 3.346 | ||
2012 |
78 | 480 | 286 | 545 | 566 | 240 | 1.052 | 3.247 | ||
2013 |
78 | 480 | 286 | 545 | 566 | 242 | 1.076 | 3.273 | ||
2014 |
78 | 480 | 291 | 530 | 548 | 250 | 1.071 | 3.248 | ||
2015 |
78 | 476 | 305 | 538 | 556 | 253 | 1.008 | 3.214 | ||
2016 |
78 | 475 | 266 | 568 | 598 | 257 | 1.136 | 3.378 | ||
2017 |
78 | 475 | 272 | 572 | 598 | 270 | 1.108 | 3.373 | ||
2018 |
60 | 475 | 297 | 571 | 598 | 292 | 1.148 | 3.441 | ||
Perdite dal 2010 | n° |
-18 |
-7 |
11 |
26 |
-97 |
52 |
95 |
-62 |
|
% |
-23% |
-1% |
4% |
5% |
-14% |
22% |
9% |
-2% |
Tabella n. 2, Strutture convenzionate col SSN
Nella tabella numero due, vediamo come negli anni anche le strutture private abbiano complessivamente perso posti letto, seppur con qualche eccezione e, in percentuale, con un ridimensionamento ben minore rispetto al pubblico. Lasciamo da parte il dato della provincia di Vicenza (+22% in una struttura ad Arcugnano che si occupa di riabilitazione) e concentriamoci ancora sulla provincia di Rovigo. Tra il 2017 e il 2018 sono stati aggiunti 25 posti letto in una struttura privata a Occhiobello, 19 dei quali in chirurgia generale. Incrociando questo dato col precedente sull’ospedale di Trecenta, si nota che questi posti letto di chirurgia si sono spostati dalla periferica campagna polesana verso l’asse di collegamento Padova-Bologna a riprova della tendenza per cui la discrezionalità del settore privato, che segue la redditività degli investimenti, determina una maggiore velocità nello smantellamento dei presidi sanitari in luoghi di provincia meno redditizi.
Riformulo: Al parziale spostamento di posti letto dal pubblico al privato, corrisponde uno spostamento di risorse economiche dal momento che tutte le strutture prese in esame precedentemente sono accreditate presso la Regione: l’accreditamento è importante perché permette di erogare le prestazioni del Sistema Sanitario Nazionale come, ad esempio, le attività ambulatoriali o i ricoveri. Ogni anno infatti, la Regione mette a budget un tetto massimo di spesa per acquistare servizi sanitari dalle strutture private, in riferimento a tabelle nazionali. Questi fondi vengono destinati alle strutture accreditate con una Deliberazione della Giunta Regionale4 (vedasi deliberazioni budget 2015-2016 e 2017-2019). Spetta poi alle ASL di competenza stipulare i contratti con le singole strutture per regolare l’acquisto dei servizi. L’entità dei fondi in esame può sembrare impressionante ma è bene precisare che non è detto che quei fondi siano effettivamente andati ai privati in quanto si tratta di previsioni di spesa che la Regione stabilisce. Elaborando i dati scaricati dal sito della Regione Veneto notiamo, in tabella 3, che i budget di spesa sono aumentati rispettivamente di 0,55% per le degenze e di 0,47% per le prestazioni ambulatoriali. In realtà si tratta di una razionalizzazione di spesa perché i due budget coprono intervalli di tempo diversi.
BUDGET 2015 – 2016 |
||||
Degenze |
Laboratorio |
FKT |
Radiologia |
Altro |
348.180.500 | 10.376.000 | 5.637.020 | 50.825.586 | 50.928.449 |
BUDGET 2017 – 2019 |
||||
Degenze |
Laboratorio |
FKT |
Radiologia |
Altro |
350.086.000 | 10.099.500 | 5.567.910 | 51.077.764 | 51.575.336 |
Tabella n. 3, Totali Budget di spesa per le strutture accreditate4
A questo punto possiamo dedurre che, dato il calo di posti letto, alle strutture private conviene erogare alcuni servizi a discapito di altri. Nello specifico, conviene erogare prestazioni ambulatoriali anziché le degenze. A riprova, si vedano le tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera per le strutture pubbliche e private, deliberate dalla giunta regionale del Veneto nel 20115. Ad esempio un ricovero per un infarto senza complicazioni costa alla regione 4286,28 euro a cui si aggiungono 138,15 euro per ogni giorno di degenza. Sia le strutture private che le Aziende Sanitarie Locali sono mosse da politiche gestionali di tipo aziendale, pertanto per soddisfare equilibri di bilancio effettuano tagli penalizzando l’erogazione di servizi essenziali come le degenze. È un “rischio d’impresa” che non sono propense a correre. Ed è qui che si dimostra l’infondatezza della tesi che vede nella gestione delle strutture sanitarie con logiche aziendali, alla ricerca del profitto, come un metodo illuminato, il migliore possibile.
Quindi la teoria che vede il privato come la soluzione alle inefficienze del pubblico viene confutata dal fatto che ad una diminuzione di posti letto del pubblico non corrisponde un eguale crescita nel privato. Quanto affermato finora restituisce la dinamica per la quale si è prodotta nel corso del tempo una progressiva riduzione dei posti letto in Veneto, cosa che si è rivelata esiziale nel momento emergenziale della crisi sanitaria.
Ma il sacco della sanità pubblica si basa su diversi fattori, vediamone un altro.
Il 16 settembre 2019 il direttore generale dell’Usl 2, Francesco Benazzi, annunciava candidamente che grazie alla Regione Veneto si è data la possibilità al Giovanni XXIII di Monastier di aprire un pronto soccorso6 per alleggerire il pronto soccorso di Treviso: il Giovanni XXIII è una casa di cura privata accreditata. Come spiegavano il direttore Benazzi e lo stesso Zaia successivamente, dal pronto soccorso di Treviso vi sarebbero arrivati i codici verdi e bianchi. Per completezza riportiamo che il pronto soccorso di Monastier non è ancora aperto, ma il solo mettere in moto la macchina burocratica regionale per concepire una cosa del genere è indicativo del fatto che si preferisce investire indirettamente nella sanità privata piuttosto che potenziare le strutture pubbliche già esistenti. La cosa sconcertante è che si cerca sempre di indorare la pillola con i soliti argomenti che fanno presa sulla pancia delle masse popolari come l’inefficienza del pubblico o le assunzioni assicurate dal privato: sappiamo bene poi che le assunzioni millantate sono precarie o flessibili, per usare un termine gradito ai padroni. Inoltre, dare la possibilità ad una struttura che opera nella sanità di erogare questo o quel servizio che non tenga conto delle reali esigenze della popolazione ma piuttosto di esigenze aziendali come profitto o efficienza.
Il modello Veneto esiste? La gestione della prima ondata e la tragedia della seconda ondata
Dopo anni caratterizzati da un generale definanziamento della sanità pubblica regionale, si è così arrivati all’inizio del 2020 e allo scoppio dell’emergenza sanitaria per Covid-19. Come è stato possibile che il Veneto, pur avendo partecipato alla tendenza generale di tagli alla sanità pubblica, sia stato meno colpito dalla prima ondata pandemica rispetto ad altre regioni? Per comprendere cosa è avvenuto a partire da febbraio, bisogna concentrarsi sul ruolo centrale del professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova, e il suo incontro-scontro col governatore veneto.
Il 22 febbraio si diagnostica all’ospedale di Schiavonia una morte da polmonite interstiziale di un cittadino di Vo’ e, grazie a un tampone, si scopre che la polmonite era causata dal Covid. Il ministero chiede che il piccolo paese, situato sui Colli Euganei, diventi zona rossa. A questo punto, viene inoltre deciso di chiudere l’ospedale di Schiavonia e fare il tampone ai presenti, onde capire chi potesse esser stato infetto. Non solo, su proposta di Zaia – come riconosce Crisanti stesso – viene fatto il tampone a tutti i cittadini di Vo’. Un’azione che sembrerebbe saggia, se non che Zaia stesso finisce per contraddirsi da solo e mostrare una mancata coerenza del suo operato. Come afferma Crisanti in un’intervista:
«Quattro giorni dopo [il caso di Vo’, ndr] c’è il focolaio a Limena e non viene fatto assolutamente nulla. L’ospedale di Treviso si infetta con decine e decine di casi ogni giorno, l’ospedale di Treviso non viene chiuso, non viene testato nessuno. C’è un focolaio grandissimo a Venezia e il Carnevale continua fino alla vigilia del Martedì Grasso. È chiaro che [il tamponamento a Vo’, ndr] è una decisione improntata esclusivamente dal panico, senza nessuna visione globale su come dovrebbe essere utilizzata. I risultati del tamponamento di Vo’ erano sotto gli occhi di tutti il 27 febbraio e c’era una cosa che spiccava su tutti: che c’era il 3% delle persone infette. […] Sicuramente il governatore Zaia ha ordinato il tamponamento a Vo’, ma non ha preso nessuna decisione coerente successivamente e non ha utilizzato i dati di quel tamponamento. La storia è cambiata quando noi gli abbiamo telefonato il 28 spiegandogli che involontariamente aveva creato una situazione epidemiologica unica, che consentiva una volta per tutte di capire la dinamica dell’infezione e abbiamo chiesto che venisse fatto un secondo tamponamento.»7
Di fronte a una mancanza di coerenza regionale nell’azione sanitaria, Crisanti – data la sua esperienza nel campo delle malattie infettive e il suo ruolo nell’Università di Padova – ha spinto affinché non si perdesse l’occasione per studiare il caso di Vo’, più unico che raro: l’isolamento del paese ha infatti permesso, tramite successivi tamponamenti su tutta la popolazione, di seguire il procedere della diffusione del contagio. Grazie a questo studio – il cui valore è stato riconosciuto anche dalla nota rivista scientifica Nature8 –, si è potuto scoprire l’alta percentuale di asintomatici, la cui carica virale è simile a quella dei sintomatici. Sulla base di queste scoperte, Crisanti e il Professor Stefano Merigliano hanno proposto alla regione Veneto un piano di contenimento della pandemia in Veneto, basato su un potenziamento della sanità che permettesse un maggior numero di tamponi per ricercare i positivi, il tracciamento di tutti i contatti che avevano avuto contatto coi positivi, nonché azioni di screening generale sulle fasce di popolazione più a rischio (forze di polizia, medici, infermieri, ecc.) e comunità vulnerabili (case di riposo) e il rafforzamento della “potenza di fuoco” ospedaliera per il trattamento dei malati. Piano recepito dalla regione con la delibera regionale 344 del 17 marzo, grazie alla quale i primi mesi della pandemia, coincidenti col primo lockdown, hanno visto nel Veneto il tentativo di allinearsi a un’azione di prevenzione e trattamento studiata da chi conosceva scientificamente ciò verso cui si stava andando. Non che ciò abbia permesso al Veneto di evitare l’ondata pandemica, ma ha dato la possibilità di affrontarla in una situazione meno grave che in altre regioni, nonostante i tagli alla sanità degli ultimi anni: nel picco di metà aprile, su circa 5 milioni di abitanti, i contagiati erano 10.789, 1402 i ricoverati in posti letto normali e 219 i pazienti presenti in terapia intensiva, mentre si erano raggiunti 940 morti in totale: per comprendere la differenza, regioni del nord poco meno popolose del Veneto, come il Piemonte e l’Emilia Romagna, doppiavano abbondantemente la regione a trazione leghista sul numero di morti (Piemonte 2015; Emilia 2788) e di ricoverati con sintomi (Piemonte 3338; Emilia 3388), oltre a superare il Veneto di parecchio pure sulle terapie intensive (Piemonte 366; Emilia 325).
Il problema di questo “modello Veneto” è che, se seguito, richiede che la sanità pubblica sia potenziata, almeno relativamente all’emergenza covid-19 e quanto a ciò è connesso (tamponi, trattamento pazienti, ecc.). Invece di proseguire in estate con una direzione lungimirante, il governo Zaia ha deciso invece man mano di allontanarsi dalle posizioni del virologo Crisanti. In primis, affermando nelle conferenze stampa la paternità di Zaia e del suo entourage del piano di tamponamento e tracciamento Veneto, in totale contraddizione con la realtà dei fatti9; in secondo luogo, allontanando lo stesso Crisanti dalla gestione della pandemia in Veneto e affidando la direzione sanitaria a personaggi più vicini politicamente a Zaia. Fra questi, il dottor Rigoli dell’ospedale di Treviso, a cui viene affidata la direzione delle 14 microbiologie del Veneto, storicamente in gestione all’Università di Padova10. È lo stesso Rigoli che a maggio affermava che il virus si stava spegnendo e a giugno firma un documento (tra gli altri firmatari, anche il famigerato dottor Zangrillo dell’ospedale San Raffaele) in cui si dubita sulle reali capacità dei soggetti paucisintomatici o asintomatici di trasmettere l’infezione11. Il risultato di queste direttive è il mancato rafforzamento della sanità pubblica in vista di una possibile seconda ondata.
Si è raggiunta così la fine dell’estate con Zaia che, pronto a stravincere le elezioni, era stato capace di affermare che il Covid in Veneto non era più un’emergenza. Peccato che, a partire specie da ottobre, i numeri iniziano a salire in tutta Italia, a novembre si arriva al DPCM che suddivide le regioni in fascia gialla, arancione e rossa e a fine dicembre cominciano le vacanze di Natale con l’alternarsi di zona rossa e zona arancione. In tutto questo, il Veneto si è rivelata essere la regione messa peggio, specie grazie al suo riuscire, stranamente, a restare in fascia gialla per tutto il periodo prenatalizio. Una situazione che il governatore Zaia non ha saputo gestire: le sue svariate ordinanze restrittive per evitare di cadere in fascia arancione non hanno comunque permesso un rallentamento della crescita dei contagi. Il risultato è infatti che, a inizio del nuovo anno, il Veneto è la regione con più contagi: il bollettino del 2 gennaio la incorona prima per numero di attualmente positivi (94 mila circa) e di nuovi casi (+3165), con 372 terapie intensive occupate e 2668 ricoverati nei posti letto normali. Una situazione di estrema criticità per gli ospedali veneti, alcuni dei quali non riescono più a reggere la quantità di lavoro, per non parlare del sistema di tracciamento che da tempo è andato in tilt, incapace di affrontare un numero così elevato di richieste.
Eppure Zaia ha continuato imperterrito a difendere il suo “modello Veneto” (se ancora si può parlare di un modello Veneto, dato il cambio di rotta rispetto alla prima ondata): innanzitutto ribadendo che in Veneto ci sono molti positivi perché noi andiamo a cercarli, di fronte all’enorme numero di tamponi effettuati. Un’affermazione alquanto campata in aria: è vero che il Veneto ha uno dei più alti numeri di tamponi effettuati in proporzione alla popolazione (3.188.128 tamponi, dati del 2 gennaio). Tuttavia, buona parte di questi tamponi sono di controllo a persone già testate (come quelli fatti ai medici, che ne hanno uno ogni 20 giorni): il numero di tamponi inerenti a nuovi possibili casi (quindi a persone non testate prima) è di 1.183.080 casi: sono stati testati circa 24 abitanti ogni 100. In data 2 gennaio, guardando i dati del bollettino si può quindi notare che il Veneto è nono nella classifica delle regioni più virtuose a testare un numero percentuale maggiore di popolazione: l’idea per cui vi siano molti positivi perché in Veneto “si cercano” non è fondata. Non è neppure fondata perché, anche se fosse vero, ciò non toglierebbe l’alta percentuale – quindi non il mero numero assoluto – di positivi sul numero di tamponi totale rispetto ad altre regioni: il Veneto ha mostrato percentuali altissime rispetto alla media nazionale nelle ultime settimane, col picco del 24 dicembre del 36% di positività sul numero totale di casi testati (la Lombardia aveva lo stesso giorno il 10% di positività sul totale).
Il Veneto si è rivelato essere tutt’altro che il primo della classe, anche per altri motivi: basti pensare al caso eclatante per cui fino a metà ottobre la app Immuni non era stata attivata per la regione12 (col risultato che 500.000 persone avevano installato l’applicazione per niente), o al fatto che le USCA (Unità speciali di continuità assistenziale, introdotte dal 9 marzo, con cui si sarebbe dovuta potenziare la sanità territoriale) siano state attivate in un numero minore rispetto a quanto era prefissato per il Veneto13. Ciò in cui, purtroppo, questa regione si è rivelata primeggiare questi mesi è stato invece il collasso del sistema sanitario.
A metà dicembre, all’ospedale di Legnano (dove i morti per Covid venivano messi in un container esterno perché l’obitorio era pieno), il chirurgo Ivano Dal Dosso, segretario veronese dell’Associazione Nazionale Aiuti Assistenti Ospedalieri (ANAAO), sindacato dei medici tra i più rappresentativi in Italia, ha detto: «Siamo in una situazione di estremo stress, a Legnago l’altro giorno in pronto soccorso c’erano 49 pazienti, di cui 20 in attesa di un letto. Ormai si gestiscono i malati direttamente lì, con il casco Cpap, come se fosse una terapia semi-intensiva. E questi pazienti non risultano nemmeno censiti nei bollettini della Regione, perché tecnicamente non sono ricoverati»; all’ospedale dell’Angelo di Mestre, Stefano Polato constatava una «situazione decisamente preoccupante: sia le terapie intensive che i reparti attualmente disponibili sono pieni, basta un soffio di vento perché tutto precipiti»; a Vicenza, l’ematologo Enrico Di Bona affermava: «il quadro è grave e se continua così si arriverà al collasso, perché tutti gli ospedali dovranno essere riconvertiti esclusivamente al covid»14; a Verona, su 1019 pazienti delle case di riposo rivelatisi positivi (il 20.5% del totale nel territorio), solo 28 sono stati ricoverati, mentre 556 sono morti, cioè più della metà15. Questi sono solo alcuni dei dati e delle testimonianze del settore ospedaliero veneto, che dipingono una realtà emergenziale ben più grave di quanto affermato nelle consuete conferenze stampa di Zaia, assolutamente prive di contraddittorio. Come se non bastasse, sono arrivate le denunce di vari giornalisti che criticano il bavaglio messo dalla regione a chi cerca di mostrare la reale situazione di collasso della sanità veneta16.
Di fronte a ciò, si possono ben capire i dubbi mossi da alcuni su come mai il Veneto sia stato capace di rimanere in zona gialla: il sindacato dei medici ANAAO aveva denunciato che i posti in terapia intensiva non sono 1016 come dichiarato dalla regione, ma 540 data la mancanza sufficiente di operatori sanitari, come Zaia stesso ha riconosciuto. Sempre ANAAO aveva mosso dubbi sul numero effettivo di ricoverati, in quanto molti permangono nei pronto soccorso in attesa del proprio posto e, per questo, non vengono contati fra i ricoverati. Nella seconda metà di dicembre era stata inoltre mossa un’altra denuncia da operatori del sistema di biosorveglianza sull’epidemia attivato dalla regione, per cui vi sarebbe stato un voluto conteggio in difetto dei sintomatici, a favore di una maggiore presenza sui dati degli asintomatici (tenendo così più basso l’indice RT, basato solo sui sintomatici) 17.
Andrà tutto bene (?)
Come dimostrato, la gestione dell’emergenza sanitaria in Veneto non smentisce, anzi conferma che la ricerca del profitto, che si traduce negli indirizzi politici di progressiva privatizzazione dei servizi, ha nel patrimonio della sanità pubblica il suo pozzo di San Patrizio: un bacino quasi senza fondo dove poter drenare denaro in favore di padroni e voti per la classe politica. A rimetterci sono come sempre i lavoratori e le masse popolari, costretti ad arrangiarsi tra interminabili liste d’attesa per una radiografia o rinunciare alle cure.
La storia giudicherà la figura del governatore Zaia che, -presunto- impeccabile amministratore della cosa pubblica, in realtà scava sempre più verso il fondo del barile. Mentre sponsorizza le mascherine marchiate Regione Veneto usando l’emergenza sanitaria per tornaconto elettorale, gioca con la salute dei lavoratori e delle masse popolari. Chissà se mentre tiene le conferenze stampa in diretta dalla sede della Protezione Civile a Marghera è cosciente del fatto che ha contribuito più di chiunque altro a ridurre il Veneto in questa condizione.
Ricerca dei profitti e del consenso elettorale: questo il mantra del governatore Zaia, che, fin da prima del suo insediamento come presidente della regione, è stato capace di dimostrare la sua capacità sia di tutelare le realtà padronali che di passare come “capopopolo”. Mentre in video ci si mostra sicuri e vicini ai bisogni delle masse popolari, all’interno della stanza dei bottoni si legifera esattamente nella direzione opposta.
Alessio La China – Francesco Pietrobelli
Note:
3 Per i dati presentati nelle due tabelle: http://www.dati.salute.gov.it/dati/dettaglioDataset.jsp?menu=dati&idPag=96
4 https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=286332; https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=344769
7 Crisanti: «Zaia si prende meriti non suoi. Il modello Veneto è merito dell’Università di Padova» (padovaoggi.it).
9 A riguardo: Veneto, chi ha ideato il piano anti-Covid? La delibera della Regione quasi identica al documento di Crisanti: il confronto – Il Fatto Quotidiano.
12 L’app Immuni non funziona in Veneto, gli operatori non hanno mai inserito i codici nel database. (fanpage.it).
13 Covid. Contrordine: Usca attivate in tutte le Regioni ma non bastano per la seconda ondata. Mezzo flop invece per i tamponi rapidi: adesione dei medici di famiglia e pediatri è al 38%. La nostra indagine in tutte le Regioni – Quotidiano Sanità (quotidianosanita.it).
15 Case di riposo a Verona: 556 morti e più di mille positivi, sono i dati peggiori del Veneto (veronasera.it).