Non si placa la protesta dei lavoratori nei confronti dei colossi dell’e-commerce: dopo lo sciopero del 22 marzo, che ha coinvolto corrieri e personale di Amazon e di filiera (ne abbiamo parlato qui), ad astenersi per un giorno dall’attività lavorativa sono stati riders e addetti alla logistica di tutta la penisola. La mobilitazione, che ha coinvolto oltre trenta città italiane (da Milano a Roma, passando per Napoli, Firenze e Bari), si è proposta l’intento di saldare le lotte di due settori martoriati in maniera impietosa dall’emergenza Covid e, ancor di più, da un capitalismo vorace, che individua nel famigerato “algoritmo” il proprio disumano sistema d’organizzazione del lavoro.
Una coincidenza di date, quella del “No delivery day” e dello sciopero della logistica, che non ha assunto un valore meramente simbolico, ma che si è prefissa un obiettivo sostanziale, quale la parificazione dei contratti. In effetti, al momento, la retribuzione dei ciclofattorini è basata sul cottimo: non esiste un quadro nazionale di riferimento, che possa in qualche modo limitare il gioco al ribasso sulle paghe, operato dai vari marchi del delivery. Contro questa dinamica di sfruttamento, la rivendicazione principale dei riders è stata dunque relativa all’inserimento del settore nel Contratto Collettivo Nazionale Trasporti e Logistica. Tale collocazione consentirebbe infatti a tanti lavoratori di ottenere diritti e piene tutele, segnando un importante avanzamento nel contrasto allo sfruttamento. Già nei giorni scorsi, il clima di mobilitazione aveva indotto Assodelivery a cedere sulla firma del protocollo sperimentale di contrasto al caporalato digitale: come annunciato da Riders Union Bologna, “un primo passo verso il riconoscimento dei diritti dei riders”.
È infatti cosa nota che i giganti del commercio online impongano alla manodopera prestazioni pressoché robotizzate, in cui i tempi d’azione vengono scanditi dalla scientifica brutalità dell’intelligenza artificiale al servizio del profitto: questa è in effetti in grado di individuare con precisione accuratissima gli eventuali rallentamenti nell’attività lavorativa, rendendo costantemente riders e corrieri suscettibili di sanzione aziendale. A questo proposito, molto significativa risulta la definizione che Paolo Zellini, nel proprio saggio La dittatura del calcolo, offre della pianificazione informatizzata delle filiere produttive: “gli algoritmi estendono le funzioni rituali di controllo e di ripartizione dei numeri, in modo da diventare inaccessibili, autoritari e categorici”.
Un autoritarismo, quello degli algoritmi, rispetto al quale le possibilità di contestazione sono molto limitate: come rilevato dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, la distribuzione dei turni “avviene in modo automatizzato, attraverso un sistema selettivo di prenotazione delle sessioni di lavoro, basato sul punteggio attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed elaborato sui due parametri dell’affidabilità e della partecipazione”1. Tali indicatori individuano dunque ogni forma di astensione dal lavoro, sia essa dovuta a impedimento personale o a forme di protesta organizzata: coloro che aderiscono agli scioperi vengono profilati dalla piattaforma digitale come inaffidabili e, quindi, sostanzialmente estromessi dall’assegnazione dei turni di lavoro. Parafrasando, chi sciopera incorre nel licenziamento da parte del “cervellone informatico”: si assiste ad un attacco diretto al diritto di sciopero e a una palese violazione dell’articolo 40 dalla Costituzione, un attacco condotto nel loro interesse da parte delle multinazionali del delivery.
In effetti, ciò che risulta lampante è che “se l’algoritmo e l’intelligenza digitale vengono spesso prefigurati come garanzia di neutralità, imparzialità, correttezza nelle decisioni, si tratta di una visione certamente ingenua: essi, infatti, sono il prodotto degli indirizzi forniti da parte di chi li detiene, sono finalizzati ai risultati per i quali vengono elaborati e cioè, nel caso delle piattaforme di lavoro, la massimizzazione del profitto.”2
L’algoritmo incarna dunque la volontà di chi lo detiene e tale determinazione è costantemente indirizzata all’incremento del guadagno. Certamente, l’anno di pandemia ha fatto lievitare in maniera esponenziale l’utile dei grandi marchi delle consegne a domicilio: prendendo in considerazione tre big del settore come Deliveroo, Glovo e Just Eat, si stima che nel 2020 il profitto sia cresciuto del 49%3 rispetto all’anno precedente. Una percentuale cospicua, ma che risulta poco significativa, se non rapportata ai cento milioni di fatturato4 maturati nel 2019. In sostanza, l’anno del Covid ha portato le realtà del delivery ad incassare centocinquanta milioni di euro, a fronte di un esborso fiscale, nel nostro Paese, quasi insignificante. Un anno d’oro per queste multinazionali, che, tuttavia, non hanno in alcun modo aumentato la remunerazione – non possiamo parlare nemmeno di salario perché uno dei traguardi da raggiungere per questi lavoratori in lotta è proprio il riconoscimento della propria subordinazione – dei propri ciclofattorini: lo stipendio dei riders si aggira intorno ai cinquecento euro mensili e viene calcolato secondo modelli estremamente flessibili, che variano in base al datore di lavoro. Per esempio, Glovo offre due euro per ogni consegna portata a termine, quaranta centesimi per ogni chilometro percorso e cinque centesimi al minuto nelle attese di fronte ai ristoranti; al contrario, Deliveroo non retribuisce i momenti d’attesa, rendendo così ancora più minuto l’incasso dei corrieri5.
È in tale contesto di forte arretratezza dei diritti che la giornata del 26 marzo ha segnato un passo importante grazie alla concomitanza dell’astensione dal lavoro anche per settori del trasporto pubblico locale e dei lavoratori della scuola. Una giornata salutata con favore anche dai sindacati “non concertativi” della logistica (a partecipare, SI Cobas, Adl Cobas e SGB): “L’adesione allo sciopero dei riders, figura fondamentale nella nuova economia del trasporto e nell’emergenza sanitaria, si spiega con la richiesta di integrarla nel contratto nazionale della logistica”, spiega Riccardo Ferrara (Adl Cobas) “noi chiediamo il rinnovo del contratto nazionale scaduto nel 2019”6. I sindacati di base sopra citati mirano infatti a una revisione radicale del contratto collettivo nazionale, il quale deve essere rimodulato in base a significativi avanzamenti, come la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari e una maggiore tutela del diritto alla salute. Una prospettiva di avanzamento che diventa sempre più concreta grazie all’ampliamento del fronte di lotta, capace di saldare le “battaglie parallele” di settori diversi. In questo senso appare come un primo successo il riconoscimento in questi giorni, da parte della multinazionale Just Eat Take Away, della figura del fattorino delle consegne a domicilio come lavoratore a tutti gli effetti. Un riconoscimento avvenuto attraverso la firma di “un contratto, dopo una negoziazione avvenuta tra tutte le parti sociali, avviando un processo che porta la figura del fattorino all’interno del Contratto Collettivo Nazionale della Logistica, Trasporti, Merci e Spedizioni riconoscendo piene tutele alle lavoratrici e ai lavoratori dell’azienda, che saranno tutti assunti finalmente con un contratto di lavoro vero diventando dipendenti”7. Stando ai sindacati di categoria, la lotta è lungi dal ritenersi conclusa in quanto l’accordo prevede di arrivare alla piena applicazione del CCNL in due anni e su ciò si dovrà vigilare soprattutto perché le altre multinazionali del settore sono ancora restie a concedere anche solo questo riconoscimento minimo. Con la giornata del 26 il segnale comunque è stato lanciato.
Marcello Benassi
1 https://www.iusinitinere.it/la-discriminazione-degli-algoritmi-il-caso-deliveroo-trib-bologna-31-dicembre-2020-34892
2 Ibidem
4 https://it.businessinsider.com/11mila-euro-ecco-quanto-deliveroo-paga-di-imposte-in-italia-dove-fattura-218-milioni-di-euro/
5 https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/21_marzo_25/no-delivery-day-rider-bergamo-io-laureato-storia-senza-tutele-ne-stipendio-certo-733b2fa8-8d40-11eb-90de-f8af7075b4bc.shtml