Il primo viaggio istituzionale all’estero di Mario Draghi da presidente del Consiglio italiano avviene, non a caso, in quello che la borghesia italiana considera storicamente come il proprio “giardino di casa”: la Libia. Un “giardino di casa” devastato dall’intervento imperialista del 2011 – a cui partecipò anche l’Italia – e da un prolungato conflitto che ha trasformato la Libia in un’arena della più ampia contesa interimperialista che ha visto la presenza sul campo di diverse potenze globali e regionali che si sono inserite in questi dieci anni per ridisegnare influenze e rapporti di forza per la ripartizione delle ricchezze, vie di trasporto e il controllo di aree strategiche (per approfondire sulla guerra di spartizione libica leggi qui e qui).
Dal groviglio di conflitti d’interessi intrecciatosi in questo decennio, che si è manifestato con le diplomazie e gli eserciti imperialisti e le milizie delle varie fazioni e tribù libiche intorno alla disputa tra il governo del GNA di Tripoli, guidato da al-Sarraj (Turchia, Qatar, Italia), e quello in Cirenaica del generale del LNA Haftar (Russia, Francia, EAU, Egitto, Arabia Saudita), l’Italia ha visto notevolmente insidiata la sua posizione privilegiata da parte di concorrenti che hanno accresciuto la loro influenza. Nonostante questo, l’ENI ha conservato la sua posizione dominante in Libia, essendo il primo produttore di gas e il principale fornitore al mercato locale, con una quota di circa l’80%.
Gli sviluppi del conflitto libico, dopo il capovolgimento della situazione militare sul campo di battaglia con la perdita di posizioni e forza da parte di Haftar a seguito dell’intervento turco al fianco di al-Sarraj, hanno portato alla discussa e controversa elezione lo scorso 10 marzo di un nuovo governo di unità nazionale (GUN) presieduto dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh (che aveva ricevuto l’incarico il 5 febbraio scorso dal Forum di dialogo politico, organismo sotto l’egida delle Nazioni Unite), che dovrebbe guidare una transizione verso le elezioni legislative e parlamentari programmate per il 24 dicembre 2021. Questa elezione sostenuta da un’ampia maggioranza politica della Camera dei Rappresentanti situata a Tobruk (Cirenaica), accompagnata da dubbi e accuse di corruzione, è prodotto di negoziati e temporanei compromessi e accordi diplomatici tra i vari attori in campo, sia nazionali che esteri, sulla base dei rapporti di forza conseguiti sul campo di battaglia. Anche la Francia che, di fatto, era schierata con il generale Haftar avrebbe deciso di sostenere il nuovo governo di unità nazionale libico riaprendo lo scorso 29 marzo, dopo 7 anni, la sua ambasciata a Tripoli (lo stesso farà la Germania) dopo l’incontro a Parigi con il nuovo presidente del consiglio presidenziale Mohammed al–Menfi. Dopo aver sostenuto l’offensiva (fallita) di Haftar cercando così di insidiare le posizioni consolidate in Libia dei suoi concorrenti, adesso il governo Macron punta a ricomporre le relazioni con le autorità di Tripoli per ricollocarsi nel paese, in particolare nel Fezzan, sud del paese, dove si concentrano maggiormente gli interessi dell’imperialismo francese.
Gli incontri diplomatici del nuovo esecutivo libico sono stati frenetici in queste settimane: ad aprire le danze, lo scorso 21 marzo, è stato il ministro degli esteri italiano, Di Maio, accompagnato dall’Ad dell’ENI De Scalzi, che ha incontrato a Tripoli, Dbeibeh, al–Menfi, i due vicepresidenti Abdullah al–Lafi e Musa al–Kuni, e il ministro degli esteri Najla El Mangoush; il 25 marzo, Di Maio è ritornato a Tripoli insieme ai suoi omologhi di Francia e Germania (rispettivamente Jean-Yves Le Drian e Heiko Maas) per una supposta posizione comune dell’UE. Lo stesso giorno, al–Menfi si era recato invece al Cairo per incontrare al-Sisi (schierato con Haftar) che ha espresso il suo sostegno al consiglio presidenziale libico e al governo e la “disponibilità” egiziana a contribuire alla stabilizzazione libica, all’unificazione delle forze armate, la fuoriuscita dei mercenari (leggasi Turchia): «L’Egitto è disposto a offrire tutta la sua esperienza al governo libico in tutti i campi per ripristinare le istituzioni statali, in particolare quelle di polizia e di sicurezza, con l’obiettivo di raggiungere la stabilità», ha detto al-Sisi. Il 26 marzo al–Menfi si è invece recato da Erdogan che anch’esso ha mostrato sostegno alle nuove autorità libiche ma senza aprire ad alcun ritiro. Mentre il 4 aprile è arrivato a Tripoli il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ribadendo il sostegno dell’UE al GUN, l’intesa a riaprire le sedi diplomatiche europee, e per superare lo stallo negli affari dei monopoli europei e negli accordi sulla repressione dei flussi migratori.
«L’Italia vuol tornare protagonista in Libia» dichiarava invece il titolare della Farnesina, sottolineando come al momento l’Italia sia «il primo interlocutore». «Italia e Libia sono accomunate da importanti interessi geo-strategici: oltre al tema dei flussi migratori, ho ribadito che per noi è fondamentale rilanciare la cooperazione economica tra i nostri Paesi» prosegue Di Maio, con De Scalzi che ha confermato l’impegno dell’ENI in Libia «a continuare a sviluppare le ingenti riserve del Paese già scoperte e valorizzare anche l’importante potenziale esplorativo ancora presente». Quest’ultimo ha incontrato anche il nuovo ministro del Petrolio e del Gas, Mohamed Aoun, carica reintrodotta dal nuovo governo di unità nazionale. Aoun è stato presidente del consiglio d’amministrazione di Mellitah Oil and Gas Company (società compartecipata da ENI e NOC), nonché membro del consiglio di amministrazione della società GreenStream BV, che si occupa del trasporto del gas naturale da Mellitah (circa 80Km da Tripoli) a Gela (in Sicilia). Una figura ben conosciuta quindi dall’ENI che continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nello sfruttamento degli idrocarburi grazie ai nuovi progetti di sviluppo offshore, con l’obiettivo di raddoppiare o triplicare le forniture dalla Libia, mentre punta a sviluppare nel Paese anche “il settore delle rinnovabili, che permetterebbero di rispondere all’aumento di richiesta di energia elettrica senza aumentare il consumo locale di idrocarburi né le emissioni di CO2”.
Per la borghesia italiana la Libia è in cima all’agenda strategica ed è perno dello sviluppo dei propri interessi e piani imperialisti nel più ampio quadrante del cosiddetto “mediterraneo allargato” che va dal Medioriente all’Africa settentrionale e sub-sahariana, dal Mediterraneo centrale al Mediterraneo orientale. «Sarò in Libia per difendere gli interessi dell’Italia» aveva affermato Mario Draghi in parlamento lo scorso 24 marzo annunciando il viaggio a Tripoli, sottolineando che «è chiaro che l’Italia difenda in Libia – come nel Mediterraneo orientale – i propri interessi nazionali e la cooperazione. Se vi fossero interessi contrapposti l’Italia non deve avere alcun dubbio a difendere i propri interessi nazionali, né deve avere timori reverenziali verso qual che sia partner. Ho sempre dimostrato estrema indipendenza nella difesa dei valori fondamentali dell’Europa e della Nazione». Così Draghi presentava l’incontro per «vedere i nostri indirizzi rafforzati dal dialogo e dal sostegno», precisando come la linea italiana sia quella di «sostenere il governo di unità nazionale in Libia» con «l’evacuazione di coloro che hanno alimentato questa guerra, i mercenari e gli eserciti di altri paesi, tra questi la Turchia». Seppur l’Italia sia presente anche militarmente in Libia con la missione militare a Misurata di 400 soldati, gli accordi italo-libici con la guardia costiera e il comando della riconfermata missione navale dell’UE Irini (che da missione di controllo dell’embargo alle armi potrebbe trasformarsi in missione di controllo del cessate il fuoco), è evidente che sul piano del conflitto militare sono state rimesse in discussione le proprie posizioni, tra cui l’intervento militare turco nella Tripolitania a sostegno del governo di al-Sarraj, con l’utilizzo sul campo di battaglia di migliaia di mercenari jihadisti, che ha permesso un notevole rafforzamento delle posizioni di Ankara nel paese, con cui fra l’altro il neopresidente libico ha radicati rapporti d’affari e politici.
Rilasciando una intervista al Corriere della Sera, lo scorso 29 marzo, ad una domanda riferita al ruolo della Turchia che “si è presa una fetta dei contratti italiani”, Dbeibeh ha risposto che bisogna guardare «avanti, dimenticare ciò che è avvenuto ieri, pensare al domani dei nostri figli. Staremo con chiunque aiuti a ricostruire, senza distinzioni. Ecco perché l’Italia resta una pedina centrale», aggiungendo che «l’Europa è vitale». Ma anche «la Turchia è molto importante per la nostra economia e stabilità. Così l’Egitto che conosco bene, l’ho appena visitato, è centrale per il nostro futuro», concludendo per quanto riguarda il punto sui conflitti d’interessi tra potenze per l’egemonia regionale che «lo sviluppo economico sia la soluzione delle tensioni militari. Parleremo di affari, non di armi».
La cosiddetta pacificazione della Libia si basa su fragili equilibri di forza determinati dal conflitto, espressione degli interessi economici e geostrategici delle potenze imperialiste, in una linea di continuità in cui alla guerra imperialista succede la pace imperialista per spartirsi il bottino in base alla forza economica, politica e militare. Provando a fissare questi fragili equilibri, è oggi arrivato il tempo di provare a spartirsi la torta del saccheggio libico. È il tempo quindi di pensare agli affari come dice in modo chiaro il neopresidente libico. E l’imperialismo italiano fa le sue mosse per garantirsi le sue posizioni strategiche e una importante fetta nella ricostruzione della Libia per i profitti delle imprese italiane con l’auspicio di andare «ben oltre i 16 miliardi» raggiunti nel picco degli interscambi italo-libici prima della guerra.
«La lingua che si parla nelle relazioni internazionali di questi tempi si esprime in termini economici» – prosegue il primo ministro del GUN libico. «Ciò vale in particolare nei rapporti italo-libici. Noi abbiamo l’urgente necessità di rafforzare la nostra industria energetica e le infrastrutture nazionali. Abbiamo immensi problemi con la rete elettrica, la sanità è devastata, così le strade e tanto altro. […] Ho intenzione di riaprire al più presto agli investitori e alle ditte italiane. Vorrei considerassero la Libia come casa loro e non solo un business». Non solo ENI, che gode già di una posizione dominante nella Tripolitania, «con Draghi esamineremo quali aziende importanti italiane vorremo facilitare» prosegue Dbeibah. «Penso per esempio a grandi gruppi, come Salini Impregilo, con cui abbiamo in trattativa un contratto per oltre un miliardo di dollari. Io stesso quando ero un uomo d’affari, ai tempi degli accordi Gheddafi-Berlusconi nel 2008, lavorai come supervisore per quei progetti. Vorrei davvero vedere tante piccole aziende italiane tornare a lavorare e la vostra ambasciata in piena attività per favorirle. Alitalia dovrebbe presto riaprire con noi, come del resto le nostre linee aeree volare su Roma e Milano. Quanto all’Eni, è un partner fondamentale per petrolio e gas. Mi attendo che investa anche per la difesa del nostro ambiente e lo sviluppo. Si è cominciato già con il progetto di piccoli sistemi a pannelli solari, potranno aiutare a fornire energia pulita in vista del caldo estivo. Ma spero che Eni lavori anche per migliorare i nostri ospedali. I loro tecnici parteciperanno all’esplorazione di nuovi pozzi in Cirenaica».
Anche se non si conoscono ancora i dettagli dell’agenda che è stata al centro del breve incontro tra Draghi (accompagnato da Di Maio) e Dbeibah, le dichiarazioni che l’hanno preceduto, presentato e accompagnato danno una indicazione sui propositi e obiettivi di un accordo che mira a garantire redditizi affari per il capitale italiano nel processo di “pacificazione”, rilanciando il “Trattato di Amicizia” e le commesse interrotte dopo il 2011 oltre alle questioni relativi al controllo e repressione dei flussi migratori, l’incremento della produzione e forniture di gas attraverso il GreeStream, la ricostruzione delle infrastrutture libiche e i nuovi progetti riguardanti la cosiddetta transizione energetica della Libia. Secondo quanto aveva anticipato l’Agenzia Nova, “la diplomazia economica italiana sta lavorando con discrezione a un accordo tra Italia e Libia per la transizione energetica, con l’obiettivo di portare il Paese membro del cartello petrolifero Opec in una dimensione completamente nuova del settore energico”. Si tratterebbe di un “nuovo patto di lungo-medio termine”, spiegano le fonti dell’agenzia, che potrebbe includere anche “la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili di energia nel Fezzan, la vasta regione della Libia sud-occidentale ricca di risorse naturali”. Oltre allo sfruttamento degli idrocarburi, l’ENI entrerebbe così in gioco anche nel campo dello sviluppo del settore delle rinnovabili nel paese che si lega al comparto della generazione e soprattutto della trasmissione dell’energia elettrica, dato che la rete elettrica attuale, obsoleta e danneggiata, fortemente dipendente dagli idrocarburi, causa frequenti interruzioni della corrente soprattutto in estate. Altri progetti riguardano le infrastrutture petrolifere, giacimenti e oleodotti, fortemente danneggiate e la ripresa del progetto di costruzione della cosiddetta “autostrada della pace” risalente al Trattato di Amicizia italo-libico del 2008 siglato da Berlusconi e Gheddafi, il cui tracciato sulla costiera libica si snoda per oltre 1.800 chilometri, tra Ras Agedir (al confine con la Tunisia) e Musaid (al confine con l’Egitto). Infine, la ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli, un progetto dal valore totale di 79 milioni di euro circa con la costruzione di due terminal: uno nazionale e uno internazionale che permetterebbe di riprendere i collegamenti aerei con il resto del mondo. A questo riguardo il 5 aprile una delegazione di ENAV, guidata dall’AD Simioni, si è recata a Tripoli per concordare gli interventi necessari al rilancio dell’aviazione civile libica e il supporto della società italiana. Altri progetti riguardano il settore sanitario per l’ammodernamento della rete ospedaliera e quello delle telecomunicazioni con la Libia che potrebbe esser coinvolta dal progetto di Telecom Italia Sparkle che sta realizzando il BlueMed, un cavo sottomarino intercontinentale che collegherà l’Italia fino a Mumbai.
Ma il processo politico affidato a Dbeibeh è tutt’altro che scontato, lineare e senza contraddizioni, non solo per quanto riguarda le frammentate milizie libiche armate (che controllano molti giacimenti) da inquadrare nelle forze di sicurezza statali agli ordini del GUN e per il fatto che permangono nel paese le truppe e i gruppi di combattenti appartenenti a forze straniere a supporto delle due fazioni in conflitto (stimati in circa 20.000 tra soldati e mercenari – soprattutto di Turchia e Russia – che dovevano lasciare il paese entro 90 giorni dall’accordo sul cessate il fuoco siglato il 23 ottobre 2020 a Ginevra), ma anche per il futuro del generale Haftar e del LNA che, seppur ridimensionato nella sua offensiva militare, controlla buona parte del territorio libico e non è disposto a farsi mettere ai margini delle dinamiche della costruzione delle nuove istituzioni politiche, economiche e militari libiche. Il capo della Camera dei Rappresentanti, con sede a Tobruk, Saleh (che gode di buone relazioni con EAU, Arabia Saudita, Egitto e Russia) starebbe manovrando per mettere da parte Haftar attraverso il capo di stato maggiore dell’LNA, Narudi (che sarebbe ben visto anche dall’Egitto). Come riflesso di queste dinamiche e della divisione nell’establishment militare, una escalation di omicidi di capi delle milizie sta avvenendo in queste settimane nella Cirenaica ma anche nella Tripolitania. Inoltre, sarà da vedere il (ri)posizionamento delle altre potenze apertamente schierate a sostegno di Haftar e dell’LNA – tra cui gli EAU e la Russia – i cui centri d’interesse reclamano il proprio posto nel complesso puzzle della spartizione libica. In particolare la Russia continua ad operare con la Wagner nella Cirenaica, a Sirte e Jufra, città che rappresentano la linea del fronte dove hanno costruito una trincea lunga circa 70 km segnando un confine di fatto, ma anche nella mezzaluna petrolifera (a Sidra e Ras Lanuf) e nel sud del Paese per proteggere aeroporti (Tamanhint e Brak al-Shati), pozzi petroliferi (Sharara) e ovviamente gli accordi economici e militari siglati con Haftar. Il consolidamento della presenza russa in un’area strategica del Mediterraneo ha prodotto un forte ritorno d’interesse per la situazione libica da parte degli USA che, soprattutto con la nuova amministrazione Biden, mirano a rinsaldare l’asse euro-atlantico in chiave anti-russa.
Se gli sviluppi della situazione libica sono ancora fluidi, quello che è certo è che la “pace” di cui si riempiono la bocca non si basa sugli interessi del popolo libico, bensì di quelli di forti monopoli capitalistici e sui piani di diverse forze imperialiste, oltre a poggiarsi su equilibri fragili e incerti che la rendono temporanea, contradditoria e legata alla catena degli scontri intra-imperialisti nel Mediterraneo orientale, Siria, Caucaso, Asia Centrale, i Balcani, Medioriente, Corno d’Africa, Sahel ecc. Così come è altrettanto certo che la visita del governo Draghi ha a che fare esclusivamente con la promozione degli interessi dei capitalisti italiani che sono antagonisti sia a quelli della classe lavoratrice italiana che a quelli delle masse proletarie e popolari libiche.
Non bisogna farsi ingannare dalla narrazione degli “interessi nazionali” né mostrare alcuna tolleranza e compiacenza nei confronti delle ambizioni della borghesia italiana nella sua proiezione esterna al fine di migliorare la sua posizione nella competizione imperialista, che si manifesta anche in missioni militari, aumento della spesa militare, coinvolgimento in pericolosi piani e interventi imperialisti NATO, UE e USA. Essa si muove in continuità con la politica antipopolare e antioperaia interna di sfruttamento e repressione: è interesse della classe lavoratrice in Italia indebolire e fermare i piani della propria borghesia in Libia, in Iraq, nel Sahel, nel Mediterraneo orientale ecc. in una comune lotta con i proletari di questi paesi contro un sistema che genera crisi, guerre, sfruttamento, rifugiati, saccheggio e povertà.