1. La voce del padrone
Il 24 marzo 2021 la rete Eurydice, di cui è parte integrante l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, ha pubblicato un rapporto, Teachers in Europe. Careers, development and well-being, che ha preso in esame la condizione dei docenti della scuola secondaria inferiore nei paesi dell’Organizzazione del trattato nordatlantico (tranne i due nordamericani), dell’Associazione europea di libero scambio e dell’Unione Europea nonché in Bosnia ed Erzegovina e nella Repubblica di Serbia, per un totale di trentotto stati. Si tratta di uno studio che rientra in una serie di pubblicazioni che tale rete periodicamente effettua allo scopo sia di diagnosticare lo stato di avanzamento della ristrutturazione scolastica in questa fase storica sia di fornire delle indicazioni di indirizzo alle varie realtà locali chiamate a declinare un comune imperativo di efficienza e produttività. Il carattere plurale della compagine scolastica tende infatti a disarticolare o quantomeno ad attenuare la spinta riformatrice che si dipana dalle indicazioni strategiche dei nuovi assetti di mercato ed occorre una cinghia di trasmissione che funga al contempo da rilevazione degli esiti, da individuazione delle misure ancora da intraprendere e da sollecitazione di eventuali modifiche al piano originario che siano in grado di accentuarne la spinta propulsiva. Questa matrice intrinsecamente borghese della pubblicazione ne vincola e predetermina il raggio d’azione e costituisce un’avvertenza fondamentale per un approccio che voglia non solo subirne la veste informativa e divulgativa ma finanche leggere la realtà nascosta tra le righe di un testo in gran parte statistico.
2. Gli assunti metodologici della cattiva coscienza
La trattazione focalizza in modo particolare gli aspetti richiamati nel titolo e dunque parte dall’assunto che il mondo dell’istruzione costituisca un sistema autofondante e sostanzialmente avulso dai connotati della società di cui costituisce una componente. L’assenza di un impianto dialettico capace di relazionarsi con il contesto di riferimento sortisce in primo luogo due risultati: da un lato, la struttura dell’insieme preso in esame viene a presentarsi come più o meno adeguata alle esigenze di una realtà data per scontata nelle sue linee fondamentali e dunque sottratta al carattere storico, soggetto pertanto a riformulazione e reversibilità, delle sue opzioni organizzative; da un altro, la condizione del singolo lavoratore è il prodotto matematico della sua capacità di adattamento alle sollecitazioni sistemiche. In sostanza, dati per scontati gli attuali parametri della società di mercato, il sistema scolastico potrà aspirare alla propria situazione ottimale soltanto ponendosi l’obiettivo di recepirne ed esaudirne le esigenze e la possibilità di svilupparsi e realizzarsi per coloro che collaborino a tale progetto sarà inesorabilmente legata al loro grado di flessibilità, ossia di accettazione di regole del gioco sempre più vincolanti e spietate. Benché questo quadro di riferimento sembri procedere con imperturbabile speditezza nello snocciolare dati apparentemente neutri e senza spessore (laddove con questo termine si intenda un esplicito riferimento alle dinamiche a monte del fenomeno da interpretare ed a spiegazione dello stesso), la pistola fumante di una scuola a vocazione classista tradisce comunque la propria cattiva coscienza nell’estrema coerenza di tutte le risultanze in un quadro che risponde mirabilmente alle politiche europee e italiane messe in atto in questi anni tanto in chiave di qualificazione professionale che di condizioni di lavoro. Ed è appunto intorno a questi due nodi cardinali della scuola che si addensano, quasi in un mosaico perfetto, le tracce di un disegno che si avvale delle stesse criticità messe in evidenza per perpetuarne ed accentuarne le cause, per santificarne e corroborarne le mete più o meno esplicite.
3. Una professione senza attrattive
Tra i sistemi educativi presi in considerazione, la gran parte, pur prevedendo una qualificazione articolata nella preparazione disciplinare, nella formazione professionale e nella pratica in classe, non riesce ad assicurarne una compiuta realizzazione. Per quanto concerne il secondo aspetto, ad esempio, si va da una quota del 50% dell’Irlanda, del Belgio francese e di Malta all’8% dell’Italia e del Montenegro. Neanche il 70% dei docenti europei attesta una preparazione nei tre ambiti e in Spagna, Francia e Italia essa viene rilevata da poco più della metà della platea. La preparazione stessa alla carriera non viene inserita, nella maggior parte dei casi, in un programma di avviamento vero e proprio ed anche il cosiddetto anno di prova, in quanto rivolto unicamente a docenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, manca l’obiettivo di coinvolgere le nuove leve, che più e meglio, in quanto prive di esperienze sul campo, potrebbero profittare di tale opportunità. Per quanto concerne la valutazione del lavoro del docente, essa è prevalentemente praticata nei paesi dell’Europa centrale ed orientale mentre risulta pressoché assente nell’area mediterranea. In Italia, a partire dalla buona scuola renziana, è stata introdotta una forma di indennizzo premiale che avrebbe voluto rivestire un ruolo meritocratico ma che, privo di regole e criteri chiaramente definiti, ha finito per diventare campo di battaglia, prima, per remunerazioni clientelari, quando non apertamente claniche o nepotistiche, e, poi, per concertazioni sindacali non meno opache e arbitrarie. Alla nebulosità di questo aspetto si associa il carattere parimenti effimero delle prospettive di carriera, con passaggi funzionali, salariali o in entrambe le forme ma comunque connotati da conseguenze più simboliche che reali. Ultimo tassello di questo circuito, i dati attinenti alla mobilità dei docenti tracciano un profilo inequivocabile della condizione dei docenti europei in relazione alla crescente competitività professionale. Fino a tre anni fa, infatti, il 40,9% aveva fruito di questa opportunità come studente, docente od in ambedue i casi. La mobilità transnazionale è garantita quasi esclusivamente da programmi di istituzioni che eccedono la dimensione meramente statuale ma il loro impatto è in crescita e, anche dove segna dei picchi negativi, in paesi come il Belgio, la Bulgaria, la Croazia, l’Italia, Malta, la Slovacchia, il Regno Unito, la Turchia e, in generale, in tutta la zona mediterranea e balcanica, attesta una sempre più marcata tendenza alla ricollocazione delle risorse in vista di un loro più intenso sfruttamento.
4. Brutti, sporchi e cattivi
Per quanto concerne le condizioni di lavoro, si registrano dei dati interessanti sotto molti aspetti. La carenza degli insegnanti si registra in quasi tutti i sistemi educativi presi in esame ma in quasi un quarto, tra cui l’Italia spicca particolarmente, si associa ad un eccesso di offerta, dal momento che le lacune riscontrabili negli ambiti scientifici, tecnologici, matematici e linguistici, maggiormente legati al tipo di competenze richieste da un sistema industriale in via di riorganizzazione, ben si conciliano con un immane patrimonio di abilità, in particolar modo afferenti alla sfera umanistico-critica, che vengono viepiù marginalizzate e conculcate. Questa forbice alimenta un basso livello contrattuale dei lavoratori, con una flessibilità di oneri e prestazioni sempre più marcata che si esplica in più di un quinto dei docenti assunto con rapporti temporanei. Tra gli insegnanti con meno di trentacinque anni tale percentuale quasi raddoppia mentre in Spagna, Austria, Portogallo e Italia, che totalizza il 78% e che si segnala per un uso abnorme di contratti brevi e mai eccedenti dodici mesi, supera i due terzi. La fascia d’età successiva, fino a quarantanove anni, non è comunque immune da questo fenomeno e spiccano in tal senso il Portogallo, con il 41%, la Spagna, con il 39%, e l’Italia, con il 32%, che pagano maggiormente il prezzo di forti discontinuità nel processo di reclutamento e regolarizzazione del personale. La ricaduta, in termini di insoddisfazione salariale, è forte in quasi tutti i contesti, con un valore medio di appagamento che si attesta al 38%, con solo il Belgio, la Danimarca, i Paesi Bassi, l’Austria, la Finlandia e il Regno Unito in leggera controtendenza, ma ovunque si registrano aumenti molto limitati degli stipendi ed un abbassamento del dislivello tra remunerazione iniziale ed al massimo della carriera.
In tale ambito un caso esemplare è costituito proprio dall’Italia, dove un docente non impiega meno di trentacinque anni per giungere all’apice salariale con un importo di neanche la metà superiore a quello dei suoi albori professionali. A questo elemento si associa con una corrispondenza direttamente proporzionale quello dell’invecchiamento dei docenti, falcidiati da una serie di misure previdenziali sempre più punitive sotto l’aspetto anagrafico e retributivo.
Nei paesi dell’Europa meridionale tale tendenza è quasi abnorme, con una percentuale di insegnanti di età inferiore ai trentacinque anni che si attesta al 3,4% in Portogallo, al 4,6% in Grecia e al 6,4% in Italia. A suffragio della maggiore vulnerabilità dei sistemi scolastici in tale contesto, ovviamente, si pongono le maggiori difficoltà riscontrate nella gestione di situazioni di emergenza didattica come quella attuale.
5. Oltre le righe
L’impianto complessivo del rapporto viene a definirsi nel segno di un’immediata corrispondenza tra la bassa qualificazione professionale e la precarietà delle condizioni di lavoro. Ciascuno dei due aspetti viene ad essere considerato come l’altra faccia della medaglia dell’ambito cui è relato, suggerendo una deficienza cronica del sistema scolastico vigente. Tale diagnosi reca con sé delle conseguenze ben precise in termini di emendabilità della situazione in atto, in quanto l’assenza di qualsivoglia riferimento agli intenti depotenzianti messi in opera contro il sistema scolastico onde svenderne e privatizzarne la gestione porta necessariamente al rifiuto incondizionato di un progetto educativo che veda la propria validità rapportata alla capacità di rispondere alle reali istanze della società e suggerisce al contempo una prospettiva aziendale alla base del disegno complessivo dell’istruzione. In sostanza, viene sottaciuta la scelta strategica che ha provocato il collasso di tanti altri settori abbandonati a sé stessi e consegnati sempre più ad una gestione mirante al profitto, secondo una linea di sviluppo che è ravvisabile, per esempio, anche nell’ambito sanitario, del trasporto pubblico e dello smaltimento dei rifiuti. A significare che si vada in questa direzione non sono solo le recenti vicende (ultimo è il deciso impulso dato da Draghi al modello renano dell’istruzione tecnica superiore, con ingenti investimenti volti a moltiplicare le potenzialità di un’opzione che affida alle imprese la responsabilità e l’organizzazione del sistema educativo, con la creazione e gestione di veri e propri vivai da cui attingere le competenze spendibili nel nuovo sistema produttivo) ma anche le attestazioni ormai consolidate nei vari ambiti della professionalità analizzati dal rapporto. L’esternalizzazione del momento formativo, ad esempio, ha conferito viepiù a consorzi didattici improvvisati un compito di selezione e preparazione dei docenti un tempo rigorosamente detenuto da istituzioni statali. Non minore drenaggio di risorse verso il settore privato ha comportato la preponderanza nella valutazione degli insegnanti di tutta una serie di oneri aggiuntivi che ineriscono alla loro capacità di interazione con le aziende per attività legate alla realizzazione di progetti o all’alternanza scuola-lavoro. Coerentemente con ciò, tutti i margini di attività ed iniziativa vengono a legarsi sempre più strettamente alla collaborazione, se non a forme di connessione più congrue, con istituzioni non pubbliche. Nulla di nuovo, dunque, rispetto ad altre dinamiche parallele.
La soluzione ai problemi del sistema scolastico viene fatta coincidere con l’acutizzarsi delle sue carenze, con una logica dal sapore eleatico che, invece di estirpare il cancro in maniera radicale e risolutiva, preferisce inocularlo progressivamente nell’organismo infestato fino ad invaderlo del tutto e ad inibirne ogni possibilità di difesa.
Il rifiuto apodittico della contraddizione conduce all’assurdo di una disamina che scorge tutte le carenze del sistema che studia ma non vuole intervenire alla radice dei problemi, compiacendosi invece della loro inane e litanica riproposizione. La prova più tangibile della sicurezza con cui si muovono i profeti del nuovo corso scolastico sta proprio nell’asettica dovizia di particolari con cui denunciano il declino del contesto da essi stessi svuotato di ogni potenzialità e ridotto ad effimera larva, nel tono saccente e professorale con cui additano l’acqua sporca per sbarazzarsi del neonato. L’unica possibilità di riscatto da questo piano già così ben avviato consiste nel riconsegnare la scuola al suo rapporto dialettico con la realtà e nella contestualizzazione delle sue deficienze all’interno del più generale processo di espropriazione dei lavoratori di ogni spazio di analisi e di intervento rispetto alla società di cui sono parte essenziale.
Ricordarci che la scuola è ben più che una mera trincea del capitale contro la caduta tendenziale del profitto, e che i suoi protagonisti sono di più dei viscidi nani che la stanno assassinando, è il primo passo per risentirla nostra, ma occorre riscoprire la valenza culturale della lotta, dell’antitesi da cui scaturisce criticamente uno stadio di civiltà più alto e stimolante.
Luigi Cerchi