Recentemente su queste pagine ci siamo occupati del Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori metalmeccanici e di come i sindacati confederali abbiano abbandonato una già timida mobilitazione alle prime, molto contenute, concessioni dei padroni. Oltre alla contrattazione nazionale, ci può essere una contrattazione di secondo livello, cioè un accordo tra la singola azienda (o gruppo) e i rappresentanti dei lavoratori lì impiegati. È importante sottolineare che ad utilizzare questo strumento sono in percentuale ben poche aziende (circa il 30%) e che quelle che lo usano sono per lo più grossi gruppi come Leonardo o Electrolux. Proprio in quest’ultima sul finire di aprile, è stato siglato il contratto integrativo aziendale che però è stato contestato aspramente da molti delegati sindacali e respinto con un referendum dai lavoratori.
Di questo discuteremo con Augustin Bruno Breda, delegato FIOM-CGIL nello stabilimento di Susegana (Treviso).
Ciao Augustin, spiegaci un po’ la storia e la natura di quest’azienda.
Electrolux è una multinazionale che produce elettrodomestici per la casa, il cosiddetto “bianco”, e per alberghi, mense, ospedali, nel caso della sua divisione “professional”. Ha stabilimenti in tutti i continenti e supera i sessantamila dipendenti, anche se questi son numeri che variano continuamente. Oltre all’Italia, in Europa è presente in Svizzera, nei paesi dell’Est e in Svezia, nazione di provenienza dei fondatori e tuttora principali proprietari.
Quindi in Italia è particolarmente presente?
Sì, con cinque stabilimenti. Quattro sono di dimensioni abbastanza simili, parliamo di mille-millecinquecento dipendenti, mentre uno è di recente acquisizione e non raggiunge i duecento. Tutti fanno elettrodomestici da casa, come lavastoviglie, lavatrici, frigoriferi, ecc. La divisione Electrolux Professional, quella che produce apparecchi per cucine professionali, si è separata dal resto del gruppo nel 2020 ed è ora una società a sé stante.
Un dettaglio importante riguardo la trattativa sul contratto integrativo, come vedremo. Veniamo allora proprio alla questione cruciale: che piattaforma avete portato per il contratto di secondo livello? Che differenza c’è rispetto a quella poi firmata da sindacati e azienda?
Consentimi una premessa su un problema generale, che purtroppo va al di là della vicenda Electrolux: spesso si stendono dei contratti integrativi su mandato dei lavoratori, a cui però l’azienda risponde con una propria piattaforma che finisce per diventare la base della trattativa. Già qui c’è una contraddizione: se io ho ricevuto un mandato dai lavoratori su alcuni temi e poi mi trovo a trattare su altri, allora dovrei sospendere la discussione, tornare tra i lavoratori, confrontarmi sui temi nuovi e chiedere un mandato su quelli.
Chiarissimo.
Eppure è proprio quello che non avviene. Nel passato era così ma negli ultimi anni non succede più. Così nella trattativa compaiono temi che i delegati non hanno mai potuto condividere con i lavoratori.
Ed è successo anche in Electrolux…
Esattamente: a un certo punto l’azienda ha chiesto di introdurre elementi estranei alla piattaforma di partenza. In particolare ha preteso l’esigibilità dello straordinario, secondo una formula chiamata “straordinario concordato esigibile”. Si tratta di qualcosa di simile agli straordinari “comandati” presenti nel CCNL metalmeccanico. Come il nome lascia intendere, in questo caso si tratta di un atto unilaterale dell’azienda, che, dato un monte ore complessivo di straordinari, decide quando imporli al lavoratore, che a quel punto può contrastarli solo scioperando.
In questo caso invece si tratta di qualcosa di formalmente “concordato”.
Esattamente, anche se come abbiamo visto è qualcosa di assente nella piattaforma discussa dai lavoratori e introdotto unilateralmente dall’azienda. Il punto comunque è che anche in questo caso l’azienda può imporre gli straordinari a discrezione, senza dover passare per le RSU. L’azienda così ha a disposizione un ulteriore strumento di flessibilità oraria che non deve discutere con i rappresentati dei lavoratori, ma con i funzionari e l’apparato sindacale esterno alla fabbrica che si appropriano così di un pezzo di contrattazione aziendale.
Si tratta di un fenomeno diffuso?
È sempre più presente nella contrattazione degli ultimi anni e rappresenta il tentativo di liberare l’azienda dal “fastidio” di dover contrattare con lavoratori che non sempre sono d’accordo con le proposte aziendali… È chiaro che gli scioperi e le lotte sono ancora possibili, però così viene costruita una struttura che dà ragione a priori all’azienda e che viene rinfacciata alle rappresentanze sindacali nel caso presentino rimostranze.
Tornando all’integrativo, quali sono gli altri punti critici?
Innanzitutto bisogna menzionare quello che riguarda i PAR (permessi annui retribuiti). Su 104 ore di permessi usufruibili dai lavoratori, 40 diventano a discrezione dell’azienda che può ricorrerne quando ha necessità di diminuire la produzione o di sospenderla. Un ulteriore strumento di flessibilità per l’azienda, a detrimento di uno strumento che era stato strappato con importanti lotte degli anni passati che oltre all’aumento del salario si battevano per la riduzione dell’orario. Tutto questo in deroga peggiorativa rispetto al CCNL e anche in questo caso scavalcando la possibilità di contrattazione delle RSU.
Ancora flessibilità d’orario per l’azienda, insomma.
Esatto, come accade anche con un ulteriore punto critico, quello del calendario annuale. Nel nuovo integrativo, oggetto di contrattazione aziendale sarebbero solo le ferie estive, lasciando ancora una volta maggiore discrezionalità all’azienda e scavalcando le rappresentanze sindacali sulla gestione delle ferie nel resto dell’anno.
Dal punto di vista del salario invece?
Non è stata la questione centrale, nonostante stiamo parlando di salari modestissimi.
L’enorme ricchezza prodotta dai lavoratori viene infatti unilateralmente distribuita dall’azienda in maniera estremamente iniqua: i premi di produzione sono generosissimi per le linee di comando, per chi esercita un potere decisionale. Un capo reparto può arrivare a 7000 euro lordi di premio l’anno, mentre un operaio è tanto se arriva a 1000. È un sistema codificato a livello mondiale, europeo e di stabilimento che si traduce in aumenti automatici dato il raggiungimento di certi obiettivi, mentre per gli operai è molto più complicato ottenere aumenti.
Ma ripeto che il voto contrario all’integrativo si è giocato principalmente sulla questione della flessibilità oraria e sullo svuotamento del ruolo delle RSU.
Come si è arrivati alla firma?
Di solito quando si arriva alla conclusione delle trattative, si firma l’accordo che poi andrà sottoposto ai lavoratori: firmano i delegati dei lavoratori, i funzionari sindacali, la dirigenza aziendale e poi i rappresentanti delle imprese. In questo caso prima di arrivare alla firma, un gruppetto di delegati aveva proprio detto alla delegazione trattante che era meglio bloccare tutto e sottoporre la piattaforma aziendale ai lavoratori proprio perché c’erano forti dubbi. Quando è arrivato il momento di firmare, la gran parte della delegazione trattante è rimasta seduta senza firmare e già questo doveva far riflettere i funzionari che c’era qualcosa che non andava. Naturalmente hanno firmato lo stesso e festeggiato anche coi brindisi con l’azienda per l’ottimo risultato raggiunto.
Tarallucci e vino… Come sono andate le consultazioni?
Diciamo intanto che già i modelli di consultazione che utilizziamo non sono il massimo della democrazia, perché a presentare il contratto nelle assemblee è solo chi è favorevole: quindi bisogna avere in tutti gli stabilimenti (e in tutti i turni) compagni che hanno la forza, la capacità di analisi e oratoria che possano far avanzare le ragioni del NO. Questo è stato possibile a Susegana, a Forlì e in qualche modo a Solaro, dove è presente la FLMU-CUB.
Come avete sviluppato la campagna per il NO?
Abbiamo utilizzato tutti i mezzi a disposizione, sia vecchi che nuovi. Abbiamo fatto un volantino firmato RSU per il NO che piano piano si è andato diffondendo in tutti gli stabilimenti, portato da compagni e colleghi che si sono aggiunti man mano nella campagna. Poi abbiamo utilizzato molto i social network. A Susegana per esempio tramite i gruppi Whatsapp siamo riusciti a raggiungere 700 lavoratori su circa 1200 totali. Abbiamo usato molto anche Facebook, sempre a Susegana come RSU abbiamo la pagina Skatenati Electrolux che conta 7500 contatti di cui almeno un trenta percento sono lavoratori degli stabilimenti Electrolux. La somma di tutti questi strumenti e i brevi video o messaggi audio (uno o due minuti al massimo) che abbiamo fatto per singoli temi ci ha permesso di arrivare praticamente a tutti.
A Porcia però è passato il SI.
Attenzione: a Porcia è passato il SI ma la composizione dei lavoratori impiegati nello stabilimento è diversa rispetto alle altre realtà. Nel senso che lì c’è la sede centrale dell’elettrodomestico con tutta la direzione centrale quindi ci sono moltissimi impiegati che in situazioni come questa votano a favore.
E nel “professional” invece?
Nel “professional” ha vinto il SI, ma anche qui bisogna analizzare il risultato perché le condizioni di quei lavoratori sono peculiari. Ad esempio non ci sono le catene di montaggio; sono in cassa integrazione perché in questo periodo di pandemia la loro clientela (alberghi, ristoranti) sono ancora fermi; terzo punto: tutte le RSU lì erano a favore del SI; quarto e importantissimo punto: dato che l’accordo del “professional” è separato e diverso da quello dell’elettrodomestico (perché il tipo di lavoro che fanno è diverso), lì il livello di gruppo e di stabilimento coincidono quindi la contrattazione se la fanno direttamente loro e hanno così una percezione molto diversa di quello che vanno a concordare.
A questo punto l’azienda potrebbe avere necessità di ribaltare il risultato…
Quale è stata la pensata dell’azienda per sistemare tutto? È presto detto: dato che a votare la piattaforma iniziale nel 2019 era una platea diversa da quella del 2021 perché nel 2019 Electrolux comprendeva sia l’elettrodomestico che il “professional”, è giusto che si sommino i voti della consultazione. Se sommiamo i voti del “professional” infatti il SI vince di 30 voti andando al 50,05% il che è indicativo e deve comunque far riflettere.
Ma prima dicevi che gli accordi sono anche diversi tra loro, che senso ha mettere insieme voti su diversi contratti?
Sono sostanzialmente diversi e a proposito mi ero dimenticato di dire che nell’accordo dell’elettrodomestico c’è una parte che tratta delle eventuali delocalizzazioni, cioè la possibilità per l’azienda di spostare i volumi produttivi in paesi dal minor costo del lavoro. In pratica i lavoratori che hanno votato SI hanno votato a favore della loro delocalizzazione.
Eccezionale, il sindacato ha consegnato il coltello dalla parte del manico al padrone.
Questo è gravissimo, quella frase ha una finalità ben precisa e cioè di dimostrare alle istituzioni che in caso si dovesse delocalizzare, è stato tutto condiviso dai lavoratori.
Quindi con l’integrativo come si va avanti?
Tutto questo non ha senso né politico né sindacale. La FIOM ha accettato di introdurre elementi non condivisi, non concordati, imposti dall’azienda senza prima chiedere il consenso dei lavoratori (come dicevo prima).
Ora che il consenso non c’è la strada è unica: riconvocare il coordinamento, capire quali sono gli elementi essenziali minimi per poter riprendere il filo, tornare in assemblea, provare a riaprire con queste modifiche. Se l’azienda si rifiuta di sedersi al tavolo ci sono quelle azioni che si dovevano fare all’inizio, azioni di forza utili ad aprire il tavolo, e questo permetterebbe di preservare anche sul piano formale un rapporto con i lavoratori.
L’azienda ha tutte le ragioni di questo mondo per rifiutare di sedersi al tavolo perché un affare così difficilmente gli ricapita a tiro: 40 ore di lavoro a completa disposizione si traducono in un incasso di milioni di euro se pensiamo che in Electrolux ogni ora lavorata vale in media 27 euro.
Non è un affare per i lavoratori però…
Ovviamente è una perdita secca di diritti, di libertà dal lavoro, 40 ore liberate dal lavoro per il lavoratore. La mia opinione personale è che loro giocano a non far nulla, di lasciar passare il tempo, affinché la vicenda non si capisca che fine fa, poi probabilmente proveranno a mettere una firma, ci saranno un po’ di proteste e intanto l’hanno fatto passare. Quando dico loro, intendo il sindacato nazionale e l’azienda.
A proposito, che ruolo hanno avuto i funzionari nazionali e/o territoriali nella trattativa?
Nella trattativa i comportamenti sono stati disarticolati. In particolare la FIOM ha avuto una volontà di non ascolto, rispetto agli elementi che venivano portati in discussione, perché non eravamo in presenza di una classica contrattazione e abbiamo visto i risultati. La critica che mi sento di fare è sulla mancanza di una capacità di ascolto, di immedesimazione e soprattutto si sottovaluta l’importanza (e qui mi stupisco) che hanno per i lavoratori anche poche ore di permessi in meno, il fastidio dell’obbligatorietà dello straordinario: i lavoratori non è che non lo fanno, è che non accettano di essere obbligati.
Spostiamoci ora a livello nazionale. Mentre attacca la contrattazione nazionale, Confindustria esalta il valore della contrattazione decentrata, spesso assecondata dai sindacati. Poi una volta messo in piedi il sistema del contratto integrativo, vediamo che sono proprio le aziende ad essere insofferenti e a recedere unilateralmente, come successo di recente in alcune aziende in Veneto. Siamo di fronte ad un attacco complessivo che si declina su diversi livelli?
Bella domanda. L’impresa ha un obiettivo molto semplice e molto chiaro, cioè fare profitto e ovviamente tirerà la corda fin tanto che ne ricaverà profitto. Se nel tirar troppo la corda si produce conflitto, tensione, i lavoratori fermano gli impianti, allora l’azienda cercherà di tornare ad una situazione di equilibrio. Quindi il dialogo porta risultati quando l’azienda capisce che senza il dialogo la sua condizione peggiora. Se invece l’azienda si trova di fronte un sindacato debole che per paura che il conflitto non riesca, la segue in tutte le sue posizioni il gioco è fatto. A volte sembra che il sindacato abbia più bisogno del riconoscimento delle aziende che dei lavoratori. Alla fine il punto è che questa paura che investe il sindacato deriva dalla sensazione di non avere abbastanza forza, ma la forza se la eserciti ce l’hai, e se non la eserciti la tua condizione in trattiva sarà debole a tutto vantaggio della controparte.
E alla fine i lavoratori perdono.
Come in Electrolux: non hanno voluto raccogliere alcuni segnali, così come a mio parere sono stati troppo deboli con l’azienda sull’aspetto economico, perché l’azienda ne ha tanta di ricchezza e ne distribuisce un pezzo che per quanto poco significativo per la sua dimensione, è molto significativo per la condizione economica dei lavoratori ed esclude le fasce operaie, cioè le fasce dove il sindacato ha la sua forza e i suoi iscritti. Il sindacato è indispensabile, però se ha questo ruolo qui di compressione di diritti dei lavoratori invece che di espansione, è evidente che poi sorgano dei dubbi e i delegati sono in difficoltà.
In occasione della firma del CCNL dei metalmeccanici, sappiamo che ci sono state numerose voci critiche, anche dentro gli stessi sindacati firmatari. Come è il livello di dibattito interno alla CGIL? E in che direzione va il sindacato in generale?
Una delle critiche che spesso mi fanno riguarda proprio la mia permanenza in un sindacato come la CGIL a cui non risparmio mai critiche: diciamo che nel bene e nel male la CGIL continua a rappresentare milioni di lavoratori nonostante l’emorragia di tessere da qualche anno a questa parte. Per il contratto dei metalmeccanici io mi sono schierato apertamente nel dire che non era utile ai lavoratori firmare, poi una volta al voto il SI è passato a larga maggioranza ma a pesare è stato il fatto che l’unica voce nelle assemblee era per il SI.
Sono state diverse le segnalazioni che ci sono giunte di lavoratori nelle cui aziende il contratto è stato presentato frettolosamente e unicamente dai sostenitori del sì…
Certo, a queste condizioni mancano le basi essenziali della democrazia. Se ci sono voci contrarie si deve lasciare spazio per spiegare le proprie ragioni… Sono dei limiti lo sappiamo, ma se si fa sindacato in modo corretto nel tuo posto di lavoro riesci comunque a prenderti lo spazio necessario per spiegare ai colleghi il tuo punto di vista. In questa dimensione il sindacato ha un ruolo fondamentale e a questo livello io personalmente credo che non ci possano essere grosse differenze tra le varie sigle sindacali, nel senso che siamo tutti colleghi e quello che vediamo e subiamo, lo vediamo e subiamo tutti insieme. Quindi per rispondere alla domanda: si, c’è un grosso problema nel sindacato ma io credo che sia un po’ la rappresentazione dei tempi che stiamo vivendo. Ecco perché è importante mantenere accesa una lampadina, la capacità di segnalare quando le criticità sono profonde in modo da evitare che i lavoratori cedano ai tentativi di addormentarli ulteriormente, di renderli un soggetto acritico all’interno delle aziende.
Dei numeri insomma.
Lo Statuto dei Lavoratori nasce proprio per favorire la critica, l’essere se stessi nel proprio luogo di lavoro. Le imprese provano costantemente a smantellare questo elemento, emblematici sono i licenziamenti per “lesione del rapporto fiduciario”.
La lesa maestà…
In uno stato di diritto non può esistere, eppure stanno cercando di far passare il messaggio che se critichi pubblicamente l’azienda per cui lavori, ne ledi l’immagine. Un parallelo in qualche modo lo trovi anche nel sindacato, dove si dice che ci deve essere la solidarietà tra gruppi dirigenti e se tu fai qualcosa che va contro questa solidarietà (che vuol dire non criticarli), vieni espulso dall’organizzazione.
Passiamo alla situazione delle lotte in Italia. Come vedi altre esperienze di lotta sindacale attualmente in corso?
Ci sono tanti conflitti che per fortuna segnano la continuità delle lotte dei lavoratori per le loro condizioni. Oggi chi confligge di più e chi ha più capacità sono quelli che stanno nelle posizioni peggiori, la logistica e i braccianti ne sono un esempio importante. Lì dove il lavoro è più precario, meno strutturato e meno sindacalizzato ci sono forme di riaggregazione sindacale. Perfino la repressione che questi lavoratori subiscono ci permette di misurare la loro condizione. È paradossale che più sono indifesi, più i lavoratori vengono attaccati dalle forze dell’ordine che rappresentano lo status quo. Più uno viene sfruttato, più la reazione per tenerlo sfruttato è violenta. Lotte di questo tipo non si esauriranno mai perché il conflitto capitale-lavoro è inevitabile.
Se l’attacco ai lavoratori è complessivo, non possiamo rispondere in ordine sparso. Come pensi si possa costruire un fronte unitario?
C’è bisogno di un’azione generale che abbia un momento di conflitto profondo e che questo conflitto non sia solo a parole che poi si perdono nel nulla.
Il sindacato preferisce continuare a fare convegni: io ne ho piene le scatole di tutti questi convegni, non perché non servano ma una volta che hai fatto l’analisi c’è il problema di portarla a sintesi e al risultato. Qualche volta si arriva alla sintesi ma mai al risultato, questo perché non ci si mobilità, perché non ci si muove più.
Quale può essere il ruolo delle avanguardie?
Come Riconquistiamo Tutto proviamo a spingere e segnare le contraddizioni tra le intenzioni deliberate del sindacato e la pratica concreta. Ci sono profonde divergenze tra le due cose, basta vedere ad esempio il tema caldo di questo periodo che sono le morti sul lavoro. A parole si dice “basta morti sul lavoro” però se poi come sindacato non dai seguito con un’azione generale che spinga il governo a dare forza vera agli ispettorati del lavoro che dovrebbero intervenire almeno una volta all’anno nelle imprese senza avvisare, ottieni l’effetto contrario dove a morire in fabbrica sono i precari o i lavoratori più avanti con l’età.
Landini ultimamente parla di sciopero generale.
Anche lì… A proposito delle gare al ribasso per gli appalti, è evidente che per il governo la lotta per la sicurezza, la lotta alla precarietà e ad un salario dignitoso sono l’ultimo dei problemi. Lo sciopero generale è una risposta corretta a questo tipo di attacchi però non basta dirlo.