La notizia è su tutti i giornali e non ci sarebbe bisogno di ripeterla: il responsabile del SI Cobas di Novara, Adil Belakhdim di 37 anni, è morto travolto da un camion davanti al deposito Lidl di Biandrate, nel novarese, mentre era in picchetto assieme ad altri lavoratori in occasione dello sciopero nazionale della logistica indetto proprio per la giornata di oggi. L’evento oltre a costare la vita ad Adil ha comportato il ferimento di altri due lavoratori. Lo sciopero, nato inizialmente contro il misero rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) della logistica, firmato dai sindacati confederali che si autodichiarano rappresentativi ma che oltre a non partecipare alle lotte e ad avere una modesta presa sui lavoratori ancora una volta hanno dimostrato, con la firma del rinnovo, la loro compromissione col padronato, aveva poi assunto una maggiore portata dopo la decisione, conseguente all’attacco squadrista della settimana scorsa alla TNT di Lodi, di ADL Cobas, CUB, USB e SGB di convergere sulla data di oggi ed unire così le proprie forze a quelle del SI Cobas. Un segnale unitario che non risolve di per sé le questioni che attanagliano il movimento operaio ma che sarebbe un errore sottovalutare e le cui ragioni hanno trovato plasticamente e drammaticamente conferma nei fatti di poche ore fa. Le dinamiche del confronto fra aziende e lavoratori nel settore della logistica sono note oramai da diverso tempo: le imprese non scendono a patti fino a che non sono costrette e spesso si rifiutano di riconoscere i sindacati di base, a volte concedono qualcosa per poi rimangiarselo. Da questo nascono i picchetti che accompagnano gli scioperi e senza i quali le condizioni di lavoro sarebbero ancora quelle di semi-schiavitù di dieci anni fa. Per forzare i picchetti le aziende spaventano i dipendenti, scatenano i crumiri, assoldano picchiatori come quelli che hanno mandato in coma un facchino la settimana scorsa o fanno leva sulla concorrenza tra lavoratori e sfruttano l’esasperazione dei camionisti e dei fattorini.
A furia di tirarla, la corda si spezza. Successe alla GLS di Piacenza nel 2016, provocando la morte di Abd El Salam, sindacalista di USB. Succede oggi a Adil Belakhdim, coordinatore dei SI Cobas di Novara.
Non è una guerra tra lavoratori, come si legge nella maggior parte dei giornali, nelle dichiarazioni di Provenzano del PD e in alcuni passaggi ambigui dei commenti di certi sindacalisti. È la guerra dei padroni ai danni delle frange più combattive della classe lavoratrice, quella che non accetta di chinare la testa e contro cui vengono scatenate le parti più arretrate, strumentalizzandole.
Lo hanno capito benissimo i sindacati conflittuali che hanno subito fatto arrivare comunicati di solidarietà alla famiglia della vittima e al SI Cobas e invitato alla lotta unitaria: CUB, USB, SGB, l’area di opposizione della CGIL. Solidarietà è giunta anche da fuori i confini del nostra paese: il PAME, sindacato greco che in questi giorni ha condotto un’aspra lotta contro la riforma antioperaia che porta a 10 ore la giornata lavorativa, ha sottolineato che quanto successo oggi “svela il volto più brutale della violenza attuata dai padroni, mostra il meccanismo che loro usano per spezzare gli scioperi e la pressione esercitata contro lo stesso diritto dei lavoratori a scioperare”, aggiungendo che “Adil Belakhdim è stato ucciso mentre combatteva per la sua vita e per i diritti della sua classe”, concludendo infine: “il PAME, a nome dei sindacati di classe della Grecia, esprime le sue condoglianze alla famiglia e ai colleghi di Adil Belakhdim”.
Lo hanno capito le avanguardie di lotta che subito hanno proclamato sciopero: Electrolux Susegana, Pasotti Imp di Brescia, Piaggio e GKN di Firenze. Inoltre è giunta immediata la solidarietà da parte di diversi gruppi e organizzazioni: manifestazioni e presidi si stanno organizzando in queste ore in diverse realtà per ricordare Adil, come per esempio il presidio indetto da SI Cobas davanti alla sede di Assolombarda e di fronte a diversi supermercati dell’azienda Lidl (ad esempio qui e qui).
Dall’altra parte ci sono i padroni, i loro rappresentanti politici e i sindacati collaborazionisti che già parlano di “normare il conflitto”, di “gestire politicamente le contraddizioni del settore della logistica”. Tradotto: limitare gli scioperi, com’è nel piano di chi vorrebbe considerare anche la logistica “servizio essenziale” per ingabbiarla con la legge 146 e legare le mani ai lavoratori.
Si strumentalizzano i tragici fatti di stamattina per intensificare ulteriormente l’attacco ai danni della classe lavoratrice, di cui questi stessi fatti sono un chiaro esempio. La repressione padronale si sta, dunque, manifestando con un attacco generalizzato contro i lavoratori: sia attraverso l’apparato istituzionale e delle forze dell’ordine, come dimostrano i gravi fatti occorsi a Piacenza e Prato mesi fa; sia attraverso l’aggressione ai diritti dei lavoratori, come dimostrano gli indecenti rinnovi contrattuali e l’ondata di morti sul lavoro frutto di risparmio sui costi e aumento dei ritmi; sia attraverso la criminalizzazione delle lotte da parte delle stesse imprese che senza remore hanno imposto che il loro profitto valesse più della salute e della vita dei lavoratori sulla pelle dei quali lo ottenevano.
A quest’attacco una risposta unitaria da parte della classe lavoratrice appare con evidenza come l’unica strada percorribile. Acquista, infine, un ulteriore significato anche la manifestazione di domani alle ore 14.00 a piazza della Repubblica a Roma organizzata da lavoratori combattivi, studenti e organizzazioni della sinistra di classe contro lo sblocco dei licenziamenti e verso uno sciopero generale che risponda colpo su colpo all’attacco padronale.
Giovanni Brilli