LA STRATEGIA REAZIONARIA DI MARCO RIZZO – il chiaroscuro in cui nascono i mostri
Il piano inclinato sul quale scivolano posizioni politiche e gestione interna del Partito Comunista di Marco Rizzo ha raggiunto un punto di degenerazione tale da rendere evidente a chiunque la metamorfosi genetica del partito, che si pone, con le sue ultime dichiarazioni, al di fuori del campo delle forze di classe abbracciando apertamente quello nemico.
Dopo anni passati a criticare le alleanze elettorali della sinistra, il PC si appresta a metterne in piedi una con le forze sovraniste. Dietro questa evoluzione si nascondono le più basse motivazioni da mestieranti della politica che non permettono di scomodare neanche la categoria dell’opportunismo nella sua accezione “leniniana”, politica. Siamo, al contrario, di fronte a manovre di opportunismo volgare, di chi per opportunità personale cambia come una banderuola al vento ciò che sostiene e ciò in cui dice di credere.
Si tratterebbe solo dell’ennesima miseria della deriva opportunista italiana se non si inserisse all’interno di una tendenza più generale di crescita delle tendenze nazionaliste e reazionarie che non permette sottovalutazioni. Questa strategia di alleanze politiche e sociali, contestuale a una mutazione delle posizioni politiche e delle parole d’ordine, produce un danno enorme alla ricostruzione comunista in Italia e traghetta un pubblico generalmente di “sinistra” verso posizioni scioviniste e reazionarie, legittimando la retorica del campo sovranista che sostiene la sua trasversalità agli schieramenti politici.
Ma andiamo con ordine…
LA METAMORFOSI
Due anni e mezzo fa lasciavamo il Partito Comunista denunciando il processo di metamorfosi politica in atto che aveva portato all’abbandono delle tesi del secondo congresso e spingeva verso posizioni interclassiste, all’interlocuzione con i settori sovranisti e allo stravolgimento delle parole d’ordine. La battaglia per la salvaguardia dei principi rivoluzionari e del marxismo-leninismo condusse in quell’occasione alla rottura del patto d’azione con il Fronte della Gioventù Comunista, alla più grande frattura avvenuta in seno al PC e alla nascita conseguente del Fronte Comunista. Senza la necessità di ripercorrere nel dettaglio quella storia basterà sottolineare come le tendenze oggi evidenti fossero già tutte presenti in quel periodo, anche se non ancora giunte a completa maturazione.
Nel corso di questi due anni la mutazione delle posizioni del PC e la gestione interna verticista del Segretario Generale si sono accentuate producendo l’allontanamento di altri compagni e di intere federazioni. Ulteriori fuoriuscite sono derivate inoltre dalla più recente risoluzione del CC che sancisce la costruzione di un’alleanza politica “Uniti per la costituzione”, che come lista elettorale prenderà il nome di “Italia Sovrana e Popolare”. Il tentativo di trasformare in pantomima episodi come quello della federazione di Milano che chiedeva l’espulsione di Rizzo è un tentativo di serrare le fila in un momento in cui altri compagni potrebbero maturare risentimenti nei confronti di un partito che scende in piazza o fa campagne elettorali insieme a sovranisti, ex grillini e leghisti.
Questa politica di alleanze in vista delle elezioni politiche di settembre è l’approdo ricercato attraverso un lungo lavorio di contatti all’interno del gruppo misto e nella galassia sovranista e no-vax/no-green pass, portato avanti con rapporti personali, esternazioni politiche sempre più ambigue e la partecipazione costante alle reti informative dell’area sovranista da parte dello stesso Rizzo. Un lavorio già denunciato in precedenti articoli[1] in cui criticavamo lo scimmiottamento da parte di Rizzo delle posizioni sovraniste nel tentativo di cavalcare l’onda reazionaria che serpeggia nel paese, giustificato dalla volontà di conquistare l’operaio che vota Lega, ma realizzatosi nella sovrapposizione con le parole d’ordine della destra più retriva.
Questa operazione si inserisce in maniera diretta nello stesso solco sopra esposto: costituire una lista indipendente per le elezioni politiche del 2023, trasversale tra destra e sinistra nella composizione, che faccia leva sul consenso dell’area sovranista e dei movimenti no-vax nati durante la pandemia, con l’obiettivo di raggiungere il tanto agognato 3% utile a superare la soglia di sbarramento per l’ingresso in parlamento. Una lista che utilizzi la larga maglia della Costituzione per tenere dentro varie anime che si combatteranno a suon di preferenze nel tentativo di essere eletti. Una strategia che ha incontrato la necessità di rimanere a galla per alcuni fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle e dai partiti maggiori che, confluiti nel gruppo misto, si erano ritrovati privi di alternativa in vista delle prossime elezioni politiche. D’altra parte, lo stesso Marco Rizzo si è costruito in questi anni un discreto seguito di non comunisti che potranno più facilmente sostenere la sua candidatura una volta epurata dalla falce e martello.
Non deve sorprendere l’abbandono di questi simboli in occasione delle elezioni politiche (è già avvenuto indirettamente, in occasione delle elezioni comunali di giugno 2022, tramite l’appoggio in diverse città a liste espressione dell’alleanza politica in fieri che si stava costituendo tra i senatori che in quel momento transitavano nel gruppo misto. Così a Parma il PC ha finito per appoggiare una lista in cui era presente il partito di Sgarbi e a Palermo una candidata sindaco proveniente dalla Lega). Il richiamo alla simbologia, anche dove presente, è in gran parte stato utilizzato da Rizzo come feticcio più utile a giustificare una differenza con la strategia elettorale delle altre forze che si richiamano al comunismo, che non l’espressione di una maggiore aderenza ai principi che quei simboli esprimono. Quando l’occasione si è presentata ghiotta, il feticcio è stato abbandonato.
La futura lista di “Italia Sovrana e Popolare” è presumibilmente ancora a caccia di proseliti e fa gola a un ampio spettro di personalismi in cerca di collocazione. Adinolfi stesso sembra del tutto intenzionato a far parte di una prospettiva simile. Ad oggi, in ogni caso, i compagni di strada che hanno condiviso le piazze con il PC ma che genererebbero imbarazzo a qualsiasi sincero comunista non mancano.
Oltre ad Antonio Ingroia, candidato premier nel 2013 con la lista Rivoluzione Civile, richiamata innumerevoli volte con scherno dallo stesso Rizzo per attaccare le coalizioni di sinistra, ci sono numerosi parlamentari provenienti dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega-Salvini Premier che condividono con il PC il gruppo parlamentare al Senato. Questi senatori sono per lo più stati intercettati dalle formazioni politiche di Riconquistare l’Italia e Ancora Italia.
Su quest’ultima formazione è bene spendere qualche parola in più. Ancora Italia è un partito sovranista (nuova denominazione del precedente VOX Italia, nome ispirato al partito di destra radicale spagnolo) di cui sono fondatori Francesco Toscano e Diego Fusaro. Fusaro è noto per essere l’allievo di Costanzo Preve, teorico della necessità del superamento della dicotomia destra-sinistra ed in favore di una lettura delle contraddizioni in alto-basso in cui le forze di estrema destra divengono alleate delle forze comuniste nella lotta alle élite mondialiste. Non a caso Diego Fusaro ha collaborato con il Primato Nazionale, giornale legato a Casapound. Dal palco del congresso tenutosi nella scorsa settimana, il vicepresidente di Ancora Italia, Antonello Cresti, ha poi ribadito la necessità del superamento della divisione per classi sociali e per questioni ideologiche richiamandosi al pensiero del filosofo francese Alain De Benoist, fondatore del movimento “Nouvelle droite”. Ancora Italia intrattiene, inoltre, i rapporti con il filosofo ultranazionalista Aleksandr Dugin, già esponente del Partito Nazional Bolscevico di chiara ispirazione nazista.
MENTE SEMPRE
Questa ennesima giravolta politica con sfondamento a destra non può stupire chi conosce la storia politica di Marco Rizzo. Negli ultimi anni, però, Rizzo ha lavorato a un’opera di revisione dei propri trascorsi utile a costruire su di sé la figura del comunista integerrimo che mai ha negato i suoi ideali. Il suo percorso politico racconta tutt’altra verità e fa di Rizzo un personaggio camaleontico che fa dell’eclettismo il proprio marchio di fabbrica. Pur di rimanere a galla negli anni ha cambiato posizione più volte su praticamente ogni argomento rileggendo a ritroso le proprie posizioni per adattarle a quelle presenti. Così avviene per il passato speso in Rifondazione Comunista e nel Partito dei Comunisti Italiani, di cui seguì la scissione in appoggio al governo Prodi. In quegli anni l’idea di un Rizzo intransigente all’interno di una politica comunista che abbandonava i suoi ideali fa, però, a botte con la realtà – e, facendo un esempio su tutti, con le dichiarazioni espresse a sostegno di Prodi e dell’UE: “Signor Presidente, Presidente Prodi, colleghi, c’è un filo coerente nel suo lavoro e nel lavoro della sua Commissione: la volontà di costruire l’Europa politica. Questo obiettivo impegnativo lo abbiamo perseguito sempre con lei nel far entrare l’Italia nell’euro. Grazie a lei, Presidente Prodi, oggi possiamo dire che l’Europa politica è più vicina. Un’Europa dei diritti sociali e individuali, lavoro per tutti, Stato sociale moderno ed efficiente, società multirazziale e multiculturale, dove il diritto di ognuno sia la ricchezza di tutti. Grazie Presidente Prodi per quello che ha fatto. Siamo stati e saremo ancora critici su tante questioni, abbiamo avuto e avremo pareri diversi, ma siamo e saremo uniti per l’Europa di pace e di progresso che vorremo costruire.”[2]
Chiusa quella partita, espulso dal PdCI, Rizzo ha tentato di ricostruirsi una credibilità tra i comunisti grazie al lavoro di tanti compagni che in buona fede hanno creduto nel progetto del PC. Per anni Rizzo ha attaccato le coalizioni di sinistra utilizzando la falce e martello come un feticcio, per poi teorizzare la necessità della costituzione di un’alleanza con le forze sovraniste. Rizzo si è dimostrato in grado di cambiare orizzonte strategico ogni volta che si presentava un’occasione che lui reputava ghiotta, senza per altro l’acume per valutare sempre correttamente le proprie scommesse politiche.
Riferendosi ai tanti dirigenti del PCI che sciolsero quel partito e gestirono la nascita del centro sinistra in Italia, e che a più riprese hanno sostenuto di non essere mai stati comunisti, Rizzo ama chiedersi in modo sornione “O mentivano allora, o mentono adesso. Forse mentono sempre”. Considerato il percorso politico di Rizzo, nei suoi confronti non è necessario neanche porsi la domanda.
L’AREA SOVRANISTA E IL SUO CARATTERE REAZIONARIO
Abbiamo già spiegato la natura personalista e il calcolo politicista che si nasconde dietro questa alleanza, dietro queste spinte. Però è utile rintracciare delle tendenze più profonde che rendono il misero declino del PC una tematica degna di riflessione. Il percorso di alleanze politiche con le forze sovraniste viene presentato come uno strumento per rafforzare le posizioni politiche dei comunisti ma, ovviamente, i contenuti veicolati sono in totale antitesi con qualsiasi principio marxista o anche con un minimo orientamento classista negli interessi dei lavoratori.
Il cuore tematico che fa da sfondo a tutte le rivendicazioni portate avanti da questo campo è quello della rinascita dell’Italia, svenduta dai propri politici che non ne difendono gli interessi e soggiogata dalle potenze straniere. Così, richiami all’indipendenza e alla sovranità nazionale fanno da sfondo a tutte le parole d’ordine, anche quelle che potrebbero sembrare più vicine alle posizioni dei comunisti, come l’uscita dall’UE e dalla NATO. Tali parole d’ordine vengono declinate in chiave nazionalistica, indistinguibili dalle parole d’ordine del “periodo” anti-europeista di Salvini – che infatti dallo stesso Rizzo viene principalmente accusato di non essere andato fino in fondo.
In queste rivendicazioni quello che viene meno è il carattere di classe dello scontro in atto, arrivando al punto di ritornare a teorizzazioni su una presunta fase intermedia prima della rivoluzione socialista, concezione per cui è necessario prima di tutto lottare per l’indipendenza nazionale e solo poi per il socialismo. Una formula necessaria a giustificare l’alleanza con forze che della costruzione del socialismo non ne vogliono sapere e che pone direttamente le parole d’ordine dei “comunisti” al seguito delle ambizioni di diversi settori della borghesia italiana.
Non è sufficiente giocare con le parole e l’ambiguità, sostituendo di quando in quando i termini e trasformando “sovranità nazionale” in “sovranità popolare”, poiché il nucleo di fondo rimane invariato ed è la richiesta del tutto nazionalista di una politica di potenza italiana e di uno scollamento dal campo internazionale atlantico con il solo fine di abbracciare una politica internazionale più camaleontica che guardi anche alla Cina, alla Russia e alle altre potenze emergenti sul piano economico, commerciale e di relazioni. Aspirazioni che esprimono interessi propri di tanta parte della piccola e media borghesia italiana schiacciata dalla concorrenza internazionale e dalla globalizzazione, che chiedono un’Italia più forte e più capace di difenderli e di proiettarli efficacemente all’estero e nella competizione inter-imperialista.
Aspirazioni, però, che incontrano il favore strumentale anche di quella parte di borghesia italiana che oggi, pur completamente integrata nei processi di costruzione europea e nella scelta del campo atlantico, lotta per un posizionamento più favorevole al suo interno e può utilizzare le spinte sovraniste per rivendicare un ruolo più attivo dell’Italia. La figura di Mario Draghi, infatti, più che rappresentare la resa dell’Italia di fronte agli interessi del capitale finanziario internazionale (come presentato dalla compagine sovranista e dal PC in testa), è il tentativo più aperto del grande capitale italiano di assumere un ruolo di rilievo all’interno del campo atlantico. Il risultato raggiunto nella spartizione delle risorse del PNRR, che avrà effetti catastrofici per gli strati popolari, non è la svendita dell’Italia agli speculatori internazionali, ma al contrario la capacità di veicolare ingenti quantità di risorse nella direzione dell’ammodernamento del sistema produttivo italiano in concorrenza, anche, con gli alleati europei e nord americani.
Queste rinnovate aspirazioni di potenza dell’Italia sono evidenti anche nel sostegno attivo all’Ucraina che, fuori da inconsistenti resistenze di facciata, ha trovato l’appoggio pieno di tutte le forze politiche parlamentari. Indicativo in questo senso l’incontro diretto di Bonomi, presidente di Confindustria con Zelensky, finalizzato ad accaparrare posizioni per l’Italia nella futura ricostruzione del paese.
L’Italia, insomma, non è stata svenduta ma ha giocato, e gioca ancora, un ruolo ai piani alti della piramide imperialista mondiale. Non c’è alcuna indipendenza e sovranità nazionale da conquistare per l’Italia, nessun passaggio intermedio che comporti un’alleanza con le forze borghesi sovraniste prima della lotta di classe. Al contrario è attraverso il conflitto di classe e la lotta contro le compagini borghesi nazionali di ogni risma che si può avviare il percorso per la rottura con gli organismi internazionali, politici, militari ed economici espressione degli interessi di larghissima parte della borghesia in Italia.
Le aspirazioni sovraniste, dunque, oltre a mancare il bersaglio nella lettura del ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale, finiscono per essere funzionali alle stesse “élite mondialiste” che dicono di voler combattere, soffiando sul fuoco del nazionalismo nel momento storico più delicato sotto il profilo della rinascita delle tendenze scioviniste, in un contesto di enorme corsa agli armamenti e di crescita delle tensioni internazionali. L’idea dell’Italia “nazione proletaria” è la mistificazione che più di cento anni fa serviva a giustificare l’aspirazione coloniale italiana e che fece da sfondo alle richieste territoriali che condussero all’ingresso nella Prima guerra mondiale. Allora come oggi, le aspirazioni di rivalsa del proletariato vengono traslate sul piano delle nazioni eliminando lo scontro di classe e sostituendolo con l’interesse nazionale.
Tutto ciò passa anche da una sostituzione del linguaggio e della riduzione della complessità delle dinamiche di classe. Nella propaganda di Rizzo il contrasto “popolo – élite” diviene centrale per giustificare la completa sostituzione del riferimento di classe con un’indistinta opposizione interclassista al governo Draghi. La teoria delle alleanze sociali, già ampiamente stravolta quando inizialmente formulata, si è tradotta nel becero tentativo di raccogliere consensi tra le parti più arretrate del dissenso al governo. In quest’ottica tutto il gruppo di “Uniti per la costituzione” si spende in proclami per la LIBERTÀ (come ampiamente già veicolato da Forza Nuova) rispetto alla gestione pandemica alla ricerca di intestarsi il variegato movimento dei No-Vax con formulazioni ambigue sulla validità dei vaccini arrivando a richiedere l’uscita dell’Italia dall’ OMS.
Anche in questo caso, la sacrosanta critica e il contrasto alla gestione capitalistica della pandemia sono sacrificati sull’altare della ricerca del consenso negli ambienti di dissenso più arretrati, riprendendone le parole d’ordine e le ambiguità. Ancora una volta si annacquano le posizioni e si costruiscono formulazioni con l’obiettivo dichiarato di incontrare il più largo consenso elettorale, anche a costo di far sponda alle pulsioni complottiste e più reazionarie. In tale ambito la ricerca del consenso ha portato il PC a far da sponda alle manifestazioni dei piccoli proprietari che nelle prime fasi della crisi pandemica negavano persino l’esistenza della malattia contrastando ogni misura di contenimento del contagio mentre dall’ altro lato la classe si stava mobilitando per avere maggiori strumenti di tutela dal covid-19.
I COMUNISTI E LA POLITICA DELLE ALLEANZE
La recente caduta del governo Draghi e l’indizione delle elezioni il 25 settembre riaccendono i riflettori sulla frammentazione elettorale dei comunisti. La divisione delle forze di classe è un problema reale che non può essere liquidato arroccandosi su sterili posizioni settarie. Sottovalutare la questione significherebbe condannarsi all’irrilevanza politica e abbandonare l’idea che sia possibile avviare un processo che porti al ribaltamento dei rapporti di forza in favore della classe operaia. Ma il nodo da sciogliere in via prioritaria è quello della natura di questo processo, dei soggetti che vi devono partecipare e degli obiettivi che si devono porre per arrivare a un’inversione della fase di arretramento attuale, di cui la frammentazione è il sintomo più evidente. Nel quadro più generale della frammentazione bisogna, innanzitutto sottolineare, come quella elettorale ne sia solamente un aspetto su cui incide in maniera decisiva uno smembramento profondo della classe e una divisione, anche dettata da motivi sindacali, delle sue componenti più avanzate e coscienti. Essere consapevoli di ciò non significa minimizzare la questione della rappresentanza politico -istituzionale, ma inquadrare il problema con una lente a campo largo che individui le interconnessioni del lavoro che è necessario condurre a tutti i livelli.
La risposta che il partito di Rizzo ha dato al problema della frammentazione delle forze di classe, e dei processi necessari per una sua inversione, è cambiata nel tempo e ha seguito l’evoluzione degenerativa che abbiamo descritto sopra. Dal rifiuto categorico delle alleanze politiche in favore di quelle “sociali”, all’adesione a processi unitari basati su appelli poco credibili da parte di forze prive di un qualsiasi radicamento di classe, all’attuale progetto interclassista intriso di retorica nazionalista, strumentale a un’alleanza di carattere prettamente elettorale, prevalentemente con soggetti sovranisti e populisti, che il gruppo dirigente del PC da tempo cerca di fare digerire alla base (con risultati alterni), attraverso la teoria che per riconquistare la classe operaia tradita dalla “sinistra fucsia” sarebbe necessario adottare il linguaggio e i contenuti della destra. Quest’ultimo passaggio, declinato attraverso la costruzione di una artificiosa dicotomia tra diritti civili e diritti sociali, posizioni ambigue sull’immigrazione,[3] cedimenti a teorie antiscientifiche e complottiste che lisciano il pelo ai settori più arretrati della protesta anti-governativa, e la retorica social-sciovinista dell’Italia semi-colonia, rappresenta l’abbandono di ogni prospettiva rivoluzionaria e l’abiura completa della funzione del Partito, non più strumento attraverso cui la classe operaia diventa classe per sé, ma unicamente veicolo di spasmodica ricerca di consenso elettorale, il cui unico fine è tentare, elezione dopo elezione, di rientrare in parlamento.
Tale manovra politica elettoralistica è stata giustificata con la volontà di unire i lavoratori ai settori di piccola borghesia schiacciati dalla concorrenza capitalistica, attraverso una tattica che stravolge completamente il concetto stesso di alleanze sociali. Anziché conquistare questi settori alla “causa del proletariato” ponendoli dunque sul terreno della difesa dei loro interessi futuri (in quanto classi in via di proletarizzazione) e non di quelli immediati, si è teorizzata la convergenza di interessi tra lavoratori e piccoli proprietari in quanto tali. I processi di proletarizzazione invece di essere letti come tendenza ineludibile del capitalismo sono prospettati come un male da combattere finendo per difendere la condizione di proprietari in quanto tale. Un travisamento tale della concezione delle politiche di alleanze non poteva che condurre sul terreno dell’alleanza politica con le forze borghesi sovraniste.
La tematica della ricomposizione oggi passa innanzitutto per la riconnessione della classe e delle sue componenti più avanzate e conflittuali, per la ricostituzione reale delle avanguardie politiche. In questo processo più generale si inserisce il problema, da non sottovalutare, di ridare rappresentanza ai comunisti nelle istituzioni parlamentari borghesi. Un problema che non consente scorciatoie e che non può essere affrontato in maniera scollegata dalla ricomposizione di classe che ne fa, in un rapporto dialettico, da premessa. L’idea che sia possibile costruire il Partito esclusivamente attraverso la costruzione di un blocco di consenso puramente elettorale è errata. Si tratta di una questione che non può essere risolta con la ricerca del consenso di qualunque settore della società sia ritenuto abbordabile, attraverso torsioni politico-ideologiche il cui unico scopo è conquistare il voto dell’operaio che vota a destra usando la collaudata tattica del sentimento nazionalista o raccattare consensi tra la marmaglia no-vax. Allo stesso modo, la questione del rapporto della classe operaia con settori di classe estranei al proletariato, come la piccola borghesia impoverita, non può essere liquidato con settarismo, ma è compito dei comunisti smascherare operazioni di bassa propaganda in cui le invettive contro il capitale monopolistico sono utilizzate per mascherare lotte corporative di settori piccolo-borghesi che vedono le loro rendite di posizione minacciate dai processi di concentrazione connaturati al sistema capitalistico, come nel caso dell’appoggio alle proteste dei tassisti nelle ultime settimane. È, infine, importante ribadire che la questione delle alleanze e la questione dell’unità sono due questioni diverse che vanno affrontate con modi e in tempi diversi. I comunisti non devono cadere nella trappola che tende loro chi oggi dice che grazie ad alleanze più o meno eterogenee si possa arrivare all’unità e, in ultimo, realizzare la ricostruzione del Partito Comunista in Italia. La questione della “Unità dei Comunisti” non è una questione diversa dalla questione della (ri)costruzione del Partito della classe operaia e non la precede, come affermano coloro che oggi adottano un approccio “minimalista” al superamento della frammentazione delle organizzazioni che si richiamano al comunismo, spesso, dobbiamo dire, solo alla sua simbologia, svuotata di ogni contenuto di classe. Gli appelli che oggi e nel recente passato sono stati lanciati per l’unità sono tutti incentrati sull’idea che si possa (e si debba) trovare un minimo comune denominatore tra forze eterogenee (che si richiamino o meno al comunismo, per alcuni sembra secondario) e attenersi ai fattori unificanti mettendo da parte le differenze. Questa idea di unità in realtà ostacola, non favorisce il superamento delle differenze, che vengono invece nascoste sotto il tappeto. L’unità e la costruzione del Partito devono, a nostro avviso, essere realizzate attraverso un dibattito politico-ideologico serrato in cui si affrontino francamente i nodi politici, ideologici e strategici con il fine di far avanzare le posizioni politiche. Questo dibattito non può essere scisso dalla collaborazione concreta delle avanguardie di classe sul piano della conflittualità sociale affinché si rafforzi il movimento di classe e si ponga il dibattito ideologico alla prova delle necessità dello scontro di classe. Su questo piano il nostro impegno non è mai venuto meno, a fianco dei lavoratori negli scioperi e nei picchetti, nei movimenti sociali e nella battaglia politica. La ricostruzione comunista in Italia è un processo indispensabile per ostacolare i piani di macelleria sociale di governi e padroni, per dare nuovo slancio alla lotta per il socialismo.
Questa è e rimarrà sempre la nostra bandiera.
[1] https://www.lordinenuovo.it/2020/06/30/appunti-sulla-rottura-con-il-pc-conquistare-loperaio-che-vota-lega-o-diventare-leghisti/
[2] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/CRE-6-2004-10-13-INT-3-041_IT.html
[3] Si vedano, ad esempio, le dichiarazioni riguardo all’immigrazione di Salvatore Catello, candidato presidente per le regionali del 2020 in Toscana e membro dell’Ufficio Politico del PC: https://www.controradio.it/catello-pc-siamo-per-uscire-da-ue-gli-immigrati-chi-non-ha-titolo-per-restare-deve-esser-rimpatriato/