Il 5 novembre a Napoli: la ricomposizione di classe passa per la lotta alla concertazione sindacale. Intervista a Massimo Betti SGB
Mancano pochi giorni alla mobilitazione operaia del 5 novembre a Napoli e tra le forze aderenti alla data c’è il Sindacato Generale di Base. Intervistiamo il segretario nazionale Massimo Betti, che sottoliinea come la mobilitazione di Napoli sia un mattone fondamentale sul processo di costruzione dello sciopero generale del 2 dicembre, elemento centrale per rilanciare un’opposizione di classe nel paese tanto più a fronte di un “governo che, al pari degli altri, sta semplicemente gestendo in maniera padronale questa crisi economica”. Il Sindacato Generale di Base ha dato e darà il proprio contributo “al 22 ottobre a Bologna, al 5 novembre a Napoli, allo sciopero generale del 2 dicembre e anche alla manifestazione del 3 dicembre” come tappe fondamentali per dare “un’alternativa ai lavoratori e alle classi popolari”.
Partiamo dalla situazione politica nazionale: il nuovo governo sembra avere in serbo le ricette lacrime e sangue che anche i governi precedenti hanno riservato a lavoratori e strati popolari. In questo primissimo periodo di attività del governo quale idea vi siete potuti fare a fronte della vostra attività sindacale?
Quello che si ravvisa è sicuramente una continuità sostanziale con i governi che hanno preceduto l’attuale, governi euroatlantici, estremamente imperniati sulla difesa degli interessi capitalistici e le conseguenti scelte anche in politica economica. Mi sembra, però, di vedere anche un elemento di diversità (pur parziale): quello del metodo. Il primo gesto dell’esecutivo è stato quello di bastonare degli studenti a una manifestazione pacifica, con le scene che tutti abbiamo visto; questo la dice lunga su quello che la Meloni rappresenta: la destra era questo prima e lo è anche ora, e con questo metodo ci dovremo fare i conti. Quando parlo di continuità intendo dire che questo governo, al pari degli altri, sta semplicemente gestendo in maniera padronale questa crisi economica (che dura in realtà da molti anni), crisi sulla quale si è innescata la guerra euroatlantica e la conseguente economia di guerra che stiamo già vivendo. Le conseguenze le stiamo vedendo: inflazione alle stelle, i prezzi dei prodotti energetici esplosi anche del 500 per cento, i salari che arretrano, l’aumento della cassa integrazione, la disoccupazione di massa, una crescita della povertà che ha raggiunto livelli anche statistici enormi, 5 milioni di poveri secondo i dati (dati che poi non tengono conto di tantissimi fattori). Il nuovo governo vorrebbe gestire questa situazione, e la vorrebbe gestire continuando la guerra e continuando a spendere energie e soldi per avvantaggiare l’economia degli Stati Uniti d’America, su questo non c’è alcun dubbio. Nelle prossime settimane ci possiamo aspettare di tutto da un punto di vista economico e sociale, e dobbiamo cercare di essere pronti.
Anche da queste considerazioni nasce il vostro appoggio alla data del 5 novembre a Napoli?
Si, nasce da queste considerazioni il nostro sostegno al 22 ottobre a Bologna, al 5 novembre a Napoli, allo sciopero generale del 2 dicembre e anche alla manifestazione del 3 dicembre, non abbiamo dubbi. Il sindacalismo di base, indipendente e conflittuale deve nel suo complesso cercare di dare un’alternativa ai lavoratori e alle classi popolari rispetto al sistema concertativo, che Cgil Cisl e Uil sono ancora lì ad elemosinare anche con questo governo.
A fronte del grande risalto dato al rifiuto delle politiche di guerra e carovita, ritenete che il 5 possa essere un tassello di una ricomposizione di classe necessaria per una opposizione popolare alle manovre di governo e padroni?
Bisogna, secondo me, distinguere. Parliamo della ricomposizione di una classe che è stata frantumata scientificamente dalle politiche del capitale di questi ultimi decenni, dal 1992 anche con l’aiuto della concertazione sindacale, con la quale non intendo solo un metodo ma anche una politica, quella che ha subordinato gli interessi del proletariato a quelli del padronato. La frammentazione è avvenuta perché ci sono migliaia di contratti diversi gli uni dagli altri. Vorrei sottolineare il fatto che anche i contratti firmati da Cgil Cisl e Uil vanno ben al di sotto della soglia minima di 9 euro l’ora, alcuni stanno addirittura a 4 euro l’ora, e questo è il frutto delle politiche della concertazione.
La concertazione ha prodotto anche estrema precarietà, a tutti i livelli, ha prodotto uno sfacelo per quanto riguarda la classe, l’ha scomposta in mille rivoli, e l’obiettivo nostro è la ricomposizione, anche se oggi non è un obiettivo certo a portata di mano: bisogna avere quel soggetto in grado di portarla avanti. E allora l’unità del sindacalismo di base conflittuale è un tentativo di ridefinire un soggetto in grado di affrontare quel percorso di ricomposizione della classe, che poi in ultima analisi significa che se ricomponi la classe ricomponi una coscienza di classe, e ricomponi quindi un conflitto di classe.
Il 5 novembre è uno di questi passaggi, e noi ci stiamo dentro, anche con differenze rispetto ad altri soggetti, differenze che sono comunque meno importanti dell’obiettivo che ci deve dare questa fase politica.
Passando dallo scorso 22 ottobre a Bologna e per il prossimo 5 novembre a Napoli, non avete fatto mancare la vostra presenza in contesti di lotta e rivendicazione. Quali saranno i passi che vi porteranno allo sciopero del 2 e alla manifestazione del 3 dicembre?
Ci saranno altri passaggi, ad esempio assemblee nazionali in cui confrontarsi per organizzare al meglio la risposta durante lo sciopero. Intanto noi, come SGB. abbiamo già in piedi altre due iniziative: una riguarda i lavoratori delle cooperative, e non a caso lo facciamo in Emilia, perché nonostante se ne parli poco le cooperative sono veramente la quintessenza della concertazione politico-sindacale e istituzionale di cui dicevo prima. I lavoratori delle cooperative (cooperative nate in origine per ben altro) sono tra i lavoratori con le condizioni peggiori in assoluto. L’altra iniziativa che abbiamo in cantiere è contro quelli che noi chiamiamo senza giri di parole “i contratti di merda”, cioè i contratti che producono lavoro povero che, sottolineiamo, non è solo prodotto dalla precarietà ma anche da una stabilità lavorativa che ti permette giusto giusto di sopravvivere, contratti che noi abbiamo esposto in bacheca e rispetto ai quali andremo presto sotto la regione. Occupiamo quindi questi due spazi individualmente come SGB, perché ci sembra importante focalizzare l’attenzione su di essi. Abbiamo poi anche una serie di iniziative unitarie con i vari sindacati di base sui territori. Tutte le iniziative poi sfoceranno nello sciopero generale del 2 dicembre, che sarà variamente articolato: blocco delle merci, blocco dei trasporti, scioperi nei servizi, nelle fabbriche e varie iniziative nel Paese. Per quello che ci riguarda, e speriamo che sia un momento unitario, ci sarà una grande manifestazione il 3 dicembre a Roma, il giorno dopo lo sciopero, sull’onda del 22 ottobre a Bologna e anche del 5 novembre a Napoli).
Il contrasto alla guerra ha caratterizzato molte delle piazze combattive degli ultimi mesi ed è centrale anche nella manifestazione di sabato a Napoli. Quanto è importante riuscire a tenere connesse le lotte con la lotta per la pace?
Ti risponderò con uno slogan semplice da dire, ma difficile da realizzare: “contro la guerra, e contro l’economia di guerra”. Le priorità sono queste, non c’è alcun dubbio, lottare contro una guerra che ogni giorno rischia di diventare persino nucleare, stare con le mani in mano è criminale, come è criminale pensare di chiedere la pace pur mantenendo l’invio di armi e la guerra. I guerrafondai non possono chiedere la pace, i lavoratori sì.