Astor Garcia, Segretario generale del CC del Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna (PCTE)
traduzione di Giaime Ugliano
“Ma con quanto più zelo il governo e la borghesia di tutti i paesi tentano di dividere i proletari aizzandoli gli uni contro gli altri, quanto più ferocemente si applica in tal nobile fine il regime dello stato d’assedio e della censura militare (…), tanto più improrogabile diviene il dovere del proletariato cosciente di difendere la sua unità di classe, il suo internazionalismo, le sue concezioni socialiste contro il baccanale dello sciovinismo della cricca borghese ‘patriottica’ di tutti i paesi.”
Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa.
- Introduzione
La guerra imperialista che devastò l’Europa tra il 1914 e il 1919 segnò la rottura totale all’interno della socialdemocrazia, intesa come il movimento operaio rivoluzionario marxista sviluppatosi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.
La principale conseguenza, in termini organizzativi, di questa frattura politico-ideologica fu la creazione, nel marzo 1919, dell’Internazionale Comunista, dopo il trionfo della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre in Russia, che dimostrò il successo della tattica dei bolscevichi, non solo nel loro approccio rivoluzionario, ma proprio nell’incorporazione della lotta frontale contro la guerra imperialista come suo aspetto essenziale.
Il vergognoso crollo dell’internazionale socialdemocratica richiedeva un cambio di nome, come emerge chiaramente dai documenti del Primo Congresso del Comintern, da cui l’uso del termine comunista per distinguersi completamente dalle posizioni che avevano portato i proletari di tutto il mondo a essere carne da cannone a beneficio dei capitalisti e dei loro governi.
Tuttavia, con il passare degli anni, le stesse posizioni opportuniste che avevano corroso la Seconda Internazionale cominciarono a guadagnare terreno all’interno di molti partiti comunisti e operai. Oggi non è difficile trovare partiti autoproclamatisi comunisti la cui pratica politica differisce solo nella retorica da quella dei partiti socialdemocratici che fanno parte dell’Internazionale Socialista (SI).
Sulla questione della guerra imperialista e della posizione nei confronti delle alleanze imperialiste, è facile rilevare l’allontanamento dei partiti socialdemocratici dalle posizioni rivoluzionarie. Ma questo non è un fatto isolato, bensì una conseguenza dell’accettazione generale delle tesi opportuniste, tra le quali spiccano la negazione della lotta di classe e la considerazione del capitalismo come una strada a senso unico, senza alternative possibili.
L’accettazione delle basi politico-economiche della società capitalista porta inevitabilmente all’accettazione della continuità della politica con altri mezzi, cioè la guerra. Questo accade anche se molti partiti della grande famiglia socialdemocratica esprimono in teoria la loro opposizione alle guerre o a certi risultati delle guerre, in una triste riedizione dei lamenti pronunciati dai leader socialdemocratici tedeschi o francesi poco dopo aver sostenuto i crediti di guerra.
La posizione della socialdemocrazia contemporanea nei confronti delle guerre è una posizione oggettivamente controrivoluzionaria. Mentre proclamano il pacifismo come criterio guida della loro posizione su qualsiasi fenomeno bellico, acconsentono alla partecipazione a guerre predatorie, contribuiscono a rafforzare le alleanze politiche, economiche e militari imperialiste e giustificano le guerre agli occhi delle masse. Allo stesso tempo, si sforzano di negare la validità delle posizioni internazionaliste che, facendo tesoro dell’esperienza storica del nostro movimento, partono dal presupposto che ogni guerra deve essere valutata sulla base del materialismo storico e che, nell’epoca dell’imperialismo, le guerre riguardano generalmente la distribuzione dei mercati, delle fonti di materie prime, delle sfere di influenza e delle vie di trasporto delle merci.
- La guerra imperialista e l’atteggiamento dei comunisti
La guerra imperialista è un prodotto delle condizioni della fase imperialista dello sviluppo capitalistico ed è condotta per lo sfruttamento politico ed economico del mondo, per il controllo dei mercati di esportazione, per le fonti di materie prime, per le sfere di influenza e di investimento del capitale e per il controllo delle vie di trasporto delle merci.
Questa definizione è essenzialmente la stessa che la sinistra di Zimmerwald aveva dato nella sua proposta di risoluzione dell’agosto 1915, o quella approvata dalla Conferenza del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) all’inizio dello stesso anno. Se rimane valida più di un secolo dopo, è perché l’umanità non ha ancora abbandonato la fase imperialista del capitalismo e perché le relazioni tra i Paesi e le alleanze nel nostro tempo continuano essenzialmente a svolgersi negli stessi termini di allora.
Il fatto che non si possa più parlare realmente dell’esistenza di colonie nel mondo o che le potenze imperialiste europee abbiano perso importanza in questi cento anni non sminuisce la validità delle nostre affermazioni. Oggi non è possibile affermare che le contraddizioni inter-imperialiste o le crisi capitalistiche, che sono all’origine delle guerre imperialiste, siano scomparse.
L’esistenza dell’Unione Sovietica e del campo socialista per gran parte del XX secolo non sminuisce la validità di quanto detto e, soprattutto, non nega il fatto che le due guerre mondiali del XX secolo abbiano avuto origine dall’esacerbazione delle contraddizioni inter-imperialiste.1
L’atteggiamento dei comunisti nei confronti della guerra imperialista è chiaro ed è essenzialmente lo stesso del 1914. Come ha osservato Lenin in “Il socialismo e la guerra”:
“I socialisti hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici. Dai primi ci distinguiamo in quanto comprendiamo l’inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell’interno di ogni paese, comprendiamo l’impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia. E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell’esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra.”
Questa necessità di studiare storicamente ogni guerra in particolare, sommata all’analisi specifica di come i diversi Paesi e il mondo in generale si sono evoluti in termini economici e politici, è una lezione che non può essere dimenticata. Ma, soprattutto, non si può prescindere dal caratterizzare, come fecero già nel 1914 i dirigenti traditori della Seconda Internazionale, come guerre “difensive” o “giuste” quelle che non sono altro che chiari esempi di guerre tra proprietari di schiavi per una “più equa” distribuzione degli schiavi.
Nel nostro tempo, come allora, individuare correttamente le vere cause di ogni guerra ha un’importanza cruciale. Inoltre, è importante condurre una lotta decisa contro le posizioni che, con premesse pacifiste borghesi o con premesse apparentemente rivoluzionarie, cercano di convincere la maggioranza operaia e popolare della necessità di sostenere l’una o l’altra potenza in conflitto.
L’evoluzione della socialdemocrazia, dal fallimento della Seconda Internazionale a oggi, è stata una costante involuzione. Le posizioni difese allora dagli Ebert, dai Dubreuilh, dai Südekum o dai Guesde sono oggi essenzialmente rappresentate dai partiti delle due grandi famiglie della socialdemocrazia contemporanea: una, i partiti socialdemocratici membri dell’Internazionale Socialista ed eredi diretti di quei leader; l’altra, gli ex partiti comunisti che hanno vissuto nel corso del XX secolo un processo di mutazione socialdemocratica che li ha portati a fondersi con altre correnti controrivoluzionarie e, da lì, a partecipare congiuntamente a governi di gestione capitalista, come in Spagna dal 2020.
Questo perché l’opportunismo è l’elemento che li caratterizza tutti. Come notarono i bolscevichi russi nel 1914,2 il crollo della Seconda Internazionale fu il crollo dell’opportunismo:
“Il fallimento della Il Internazionale è il fallimento dell’opportunismo, che si è sviluppato sul terreno delle particolarità del periodo storico trascorso (periodo cosiddetto ‘pacifico’) e, in questi ultimi anni, ha dominato di fatto nell’Internazionale. Da molto tempo gli opportunisti preparavano questo fallimento negando la rivoluzione socialista e sostituendo ad essa il riformismo borghese; negando la lotta di classe e la necessità di trasformarla – in determinati momenti – in guerra civile e predicando la collaborazione di classe; predicando lo sciovinismo borghese col nome di patriottismo e di difesa della patria; ignorando e negando una verità fondamentale del socialismo già enunciata nel Manifesto Comunista, e cioè che gli operai non hanno patria; attenendosi ad un punto di vista sentimentale piccolo-borghese nella lotta contro il militarismo, invece di riconoscere la necessità della guerra rivoluzionaria dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia di tutti i paesi; trasformando la necessaria utilizzazione del parlamentarismo borghese e della legalità borghese nel feticismo per questa legalità e dimenticando l’obbligatorietà delle forme illegali di agitazione e di organizzazione nei periodi di crisi.”
La differenza principale tra il nostro tempo e l’inizio del XX secolo è che la socialdemocrazia contemporanea non nasconde di schierarsi a favore di una o dell’altra potenza o alleanza imperialista, di tollerare o accettare le aggressioni imperialiste che si verificano anno dopo anno nel mondo. La socialdemocrazia ha naturalizzato le guerre imperialiste perché ha naturalizzato l’imperialismo e non è in grado di offrire alcuna alternativa, né sulla carta né nella pratica. La sua proposta “socialista” non è altro che una proposta di gestione capitalista basata sulla negazione delle tendenze del capitalismo e volta a convincere la classe operaia e i settori popolari che non c’è alternativa se non all’interno del capitalismo. Ma dimenticano che il capitalismo è un “pacchetto completo”, le cui tendenze e dinamiche non dipendono dalla volontà degli amministratori politici. Pertanto, le guerre, l’impoverimento e la crescita della miseria sono intrinseci ad esso e non possono essere sradicati finché il capitalismo sopravvive.
- La socialdemocrazia europea dopo la prima guerra mondiale
La prima guerra mondiale fu il catalizzatore delle contraddizioni già presenti all’interno della socialdemocrazia. La crisi che fu scatenata rivelò i veri obiettivi di gran parte del movimento socialdemocratico, che tradì completamente tutto ciò che aveva detto fino ad allora, riuscendo così ad allontanare in modo significativo importanti settori della classe operaia dalle posizioni rivoluzionarie e mettendoli al servizio delle classi dominanti, non solo come forza lavoro, ma anche come carne da macello.
Il rifiuto della rivoluzione socialista, l’impegno per il riformismo borghese e la conciliazione di classe segneranno da allora la posizione principale delle forze della socialdemocrazia, che rinunceranno anche a sfruttare in senso rivoluzionario la situazione creatasi nella fase finale della guerra. Coloro che nel 1914 avevano violato tutti gli accordi e i principi sostenendo i crediti di guerra, accettando discorsi sciovinisti e decretando la fine della lotta di classe nei rispettivi Paesi, alla fine del 1918 non avevano intenzione di ascoltare le linee guida approvate undici anni prima nella risoluzione contro il militarismo del Congresso di Stoccarda, che ordinava a tutti i partiti dell’Internazionale di “approfittare della crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati più profondi del popolo e precipitare la caduta della dominazione capitalista”.
Nonostante questo tradimento, il movimento operaio rivoluzionario ha potuto continuare ad avanzare. Il trionfo della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre in Russia dimostrò che la posizione rivoluzionaria sulla guerra imperialista, inevitabilmente connessa alla lotta contro l’opportunismo, era in grado di “accelerare la caduta del dominio capitalista”. A quel tempo, gli ex dirigenti dell’Internazionale e dei suoi partiti stavano già avanzando sulla strada della gestione degli interessi della borghesia, partecipando ai governi e adottando un ruolo attivo nella repressione dei moti rivoluzionari che iniziavano a verificarsi nell’Europa centrale e orientale.
Dopo il trionfo della classe operaia in Russia, la divisione nella socialdemocrazia internazionale fu completamente confermata: l’ala destra, rappresentata dai revisionisti e ormai convertita in un partito borghese; l’ala sinistra, rappresentata dai comunisti, con i bolscevichi in prima linea; e l’ala centrista, formalmente marxista e che in pratica si adattava all’opportunismo, sostenendo di cercare l’unità e la pace nel partito.
La borghesia, spaventata dall’evoluzione degli eventi in Russia, seppe approfittare della situazione e, contando sui revisionisti e sul centro, riuscì a far fallire diversi moti rivoluzionari. In questo senso, spicca il ruolo della SPD tedesca, che fu fondamentale nel contenere l’insurrezione di Kiel nel novembre 1918 o nella repressione della rivolta spartachista del gennaio 1919. Il suo intervento nell’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg dimostrò che la socialdemocrazia tedesca non solo sosteneva le forze borghesi, ma era un agente attivo nella difesa della stabilità borghese dopo il disastro della guerra. Con questa azione, la socialdemocrazia confermò per sempre il suo ruolo controrivoluzionario.
Come abbiamo notato nel nostro articolo sul n. 3 della Rivista Comunista Internazionale,3 nel periodo tra le due guerre – essendo già stata creata la Terza Internazionale – la socialdemocrazia internazionale era dominata dal settore centrista, che continuava nella sua linea nell’approvare risoluzioni formalmente rivoluzionarie e marxiste, ma piegandosi in pratica alle richieste della destra, fino a forzare in numerosi casi la partecipazione della socialdemocrazia ai gabinetti borghesi, da sola o in coalizione.
La SPD tedesca partecipò più volte ai governi della Repubblica di Weimar in coalizione con forze centriste e di destra. Il Partito Laburista britannico governò nel 1924, sostenuto dai liberali, e successivamente tra il 1929 e il 1931. L’SPÖ austriaco ha governato tra il 1918 e il 1920 nella forma della grande coalizione con i social-cristiani. L’S/SAP svedese alternò la sua presenza nel governo e nell’opposizione parlamentare negli anni Venti e Trenta. Il Partito Socialdemocratico danese governò ininterrottamente dal 1924 agli anni ’40, dirigendo persino il governo di cooperazione con l’occupazione nazista del Paese. Anche il Partito Laburista Norvegese partecipò a diversi governi tra il 1928 e il 1940.
Soprattutto nei Paesi nordici, la vecchia socialdemocrazia non solo prese formalmente le distanze dal marxismo e si oppose all’idea stessa di rivoluzione, ma partecipò attivamente alla definizione e all’esecuzione dei cosiddetti “grandi compromessi” (come l’accordo di Saltsjöbaden, in Svezia, o l’accordo di Kanslergade, in Danimarca) che gettarono le basi di quello che in seguito sarebbe stato presentato come il grande risultato della socialdemocrazia europea: il cosiddetto “Welfare State”, basato sulla politica di soppressione della lotta di classe e sulla promozione di progetti economici e politici “trasversali”, il tutto circondato da un fermo anticomunismo.
D’altra parte, l’assunzione, da parte dei socialdemocratici britannici e francesi, della tesi di Chamberlain sulla “politica di appeasement” delle potenze nazifasciste durante la seconda metà degli anni Trenta, contribuì in modo decisivo al rifiuto di queste potenze di fornire aiuti al campo repubblicano durante la guerra nazionale rivoluzionaria in Spagna del 1936-1939.4 Questo atteggiamento esprimeva, ancora una volta e dolorosamente, che la socialdemocrazia rinvigoriva la sacra coalizione in tutte le sfere della politica e dell’economia, relegando così i compiti internazionalisti dietro presunti interessi nazionali.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la borghesia si trovò di fronte a uno scenario caratterizzato dai seguenti elementi:
- il trionfo sul nazifascismo, in cui l’URSS e l’Armata Rossa hanno svolto un ruolo essenziale.
- I successi nella costruzione del socialismo in URSS.
- La diffusione del blocco socialista mondiale in tutta una serie di Paesi.
- Lo sviluppo delle contraddizioni nei Paesi capitalisti dell’Europa occidentale, come risultato della distruzione delle forze produttive operata dalla guerra.
- La riduzione della base materiale del capitalismo.
- L’enorme prestigio del Movimento Comunista Internazionale presso le masse lavoratrici dell’Occidente.
In queste circostanze, la socialdemocrazia svolse ancora una volta un ruolo controrivoluzionario e compì il suo ultimo e definitivo passo nel processo di mutazione da forza meramente opportunista a forza borghese in senso stretto, collocandosi tra liberali e comunismo. Non solo assunse un ruolo di sostegno alla stabilizzazione del capitalismo in Europa occidentale, ma assunse anche un atteggiamento di guida nell’intero processo di riorganizzazione dello sfruttamento capitalistico nella regione. Lo fece sfruttando due fattori: le esperienze di collaborazione di classe nei Paesi nordici e le enormi quantità di denaro del Piano Marshall.
- La socialdemocrazia europea dopo il 1945. La fondazione delle alleanze imperialiste.
Questo processo si tradusse in una “rifondazione” della socialdemocrazia, che si accompagnò a una nuova organizzazione internazionale: l’Internazionale Socialista, creata nel 1951 a Francoforte.
La dichiarazione di Francoforte del 19515 dell’Internazionale Socialista, redatta principalmente dalla SPD, stabiliva già diversi elementi chiave che segnavano il percorso da seguire per la socialdemocrazia. Da un lato, l’abbandono del marxismo, equiparandolo ad “altri metodi di analisi della società, siano essi ispirati da principi religiosi o umanitari”. Dall’altro, un anticomunismo aperto e onesto, affermando che esso “distorce la tradizione socialista” e che è un “nuovo imperialismo”, e una concezione della pace e della sicurezza basata sulla necessità di “un sistema di sicurezza collettiva” che tenga conto del fatto che “il comunismo internazionale è lo strumento di un nuovo imperialismo”.
Il programma di Bad Godesberg, approvato nel 1959 e considerato il documento politico-ideologico essenziale della socialdemocrazia del secondo dopoguerra, seguiva di fatto la strada segnata a Francoforte, ma compiva un passo essenziale per quanto riguarda i sistemi di sicurezza collettiva, indicando la necessità di creare “sistemi di sicurezza regionali nell’ambito delle Nazioni Unite”, aggiungendo che “la Germania riunificata deve essere membro, con tutti i diritti e i doveri, di un sistema di sicurezza europeo”.
Qualche anno dopo, la dichiarazione di Oslo del 1962 del Consiglio dell’Internazionale Socialista6 fece un ulteriore passo avanti e affermò quanto segue:
“Le Nazioni Unite hanno spesso contribuito a risolvere le controversie tra le nazioni. Tuttavia, nella loro forma attuale, non sono in grado di garantire la protezione di un Paese vittima di un’aggressione e di garantire la sicurezza di ogni Paese. In queste circostanze, ogni nazione deve accettare la responsabilità della propria sicurezza. Alcuni ritengono che una politica estera di non allineamento serva al meglio la sicurezza e la stabilità politica della propria area. L’Internazionale rispetta il desiderio delle nazioni di essere libere di perseguire il proprio destino senza impegnarsi nei rapporti di forza del mondo. La maggior parte delle democrazie occidentali si sono unite per formare l’Alleanza NATO. I partiti democratici socialisti dei Paesi dell’Alleanza considerano questo un potente baluardo di pace e dichiarano la loro ferma determinazione a sostenerlo.”
Queste parole non erano altro che la logica conclusione del processo che diversi partiti socialdemocratici europei avevano seguito dal 1948. Non va dimenticato, innanzitutto, che prima della nascita della NATO nel 1949, l’Unione Occidentale era stata fondata nel 1948 “come risposta alle mosse sovietiche per imporre il controllo sui Paesi dell’Europa centrale”7 attraverso il Trattato di Bruxelles,8 firmato tra Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito, con la firma anche dei ministri degli Esteri socialdemocratici del Regno Unito (Ernest Bevin) e del Belgio (Paul-Henri Spaak). D’altra parte, non bisogna dimenticare che la NATO sostiene di derivare la propria autorità e legittimità dalla Carta delle Nazioni Unite ed è originariamente considerata un trattato di sicurezza collettiva regionale.
La socialdemocrazia ha partecipato attivamente alla creazione della NATO. Dei 12 Paesi fondatori nel 1949, quattro (Belgio, Danimarca, Norvegia e Regno Unito) avevano governi socialdemocratici o laburisti. Paul-Henri Spaak sarebbe diventato Segretario Generale dell’Alleanza tra il 1957 e il 1961. Dopo di lui, altri esponenti socialdemocratici come Willy Claes, Javier Solana, George Robertson o Jens Stoltenberg sarebbero diventati Segretari generali. Questo non lascia dubbi sul sostegno della socialdemocrazia a tutte le aggressioni imperialiste scatenate dalla NATO, indipendentemente dalle dichiarazioni o risoluzioni dell’Internazionale Socialista e dei suoi membri dalla sua creazione.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, le iniziative di integrazione economica e politica non sono state accolte con entusiasmo da tutti i partiti socialdemocratici europei nelle prime fasi, anche se figure socialdemocratiche di rilievo si sono impegnate in tal senso. Tale mancanza di entusiasmo era dovuta principalmente alla priorità data all’epoca agli interessi economici e politici nazionali, senza che ciò implicasse una chiara opposizione al processo. In particolare, la posizione dei partiti spagnoli e portoghesi fece un importante sforzo per collegare la partecipazione dei loro Paesi alle strutture europee al rafforzamento del sistema democratico-borghese emerso dopo le rispettive dittature fasciste, ma soprattutto all’“apertura e alla liberalizzazione economica” che avrebbe comportato.9
Nonostante i diversi percorsi e ritmi della socialdemocrazia europea in relazione al processo di integrazione capitalistica europea, il momento decisivo è arrivato con il Trattato di Maastricht, nel 1992, quando è stata fondata l’Unione Europea come la conosciamo oggi. Questo fu sostenuto con entusiasmo da tutti i partiti socialdemocratici. Non bisogna dimenticare che, in quel periodo, si stavano già forgiando le tesi di Blair e Schröder sul “nuovo centro” o sulla “terza via”, che avrebbero sfumato le differenze politico-ideologiche tra liberali e socialdemocratici nel periodo successivo.
- L’evoluzione della socialdemocrazia spagnola
In Spagna, come si è già detto, la socialdemocrazia ha abbracciato con entusiasmo l’idea di unirsi alla costruzione del polo imperialista europeo. Tuttavia, per quanto riguarda la NATO, il processo è stato più lungo a causa delle particolari condizioni del Paese rispetto ad altri Paesi europei in cui la fine della Seconda Guerra Mondiale ha portato al consolidamento delle democrazie borghesi.
L’inesistenza pratica del Partito Socialista per decenni nella lotta contro la dittatura franchista ha fatto sì che, nel momento in cui ha iniziato a trasformarsi in un partito necessario per la fase successiva alla fine della dittatura franchista – con il prezioso sostegno dell’Internazionale Socialista -, abbia temporaneamente e tatticamente adottato alcune delle posizioni di riferimento sulle questioni internazionali difese dai comunisti, come nel caso specifico della NATO. Pertanto, il PSOE mantenne, nei suoi congressi prima dell’ingresso al governo nel 1982, e ancora per un certo periodo, una posizione formale negativa sull’ingresso e la permanenza nella NATO.
Il Partito Socialista Operaio Spagnolo propose, nei documenti dei suoi congressi precedenti all’ingresso nel governo (1982), il rifiuto sia delle basi militari statunitensi (27° congresso) sia dell’ingresso della Spagna nella NATO (28° congresso), sulla base di una posizione molto simile a quella mantenuta dai socialdemocratici tedeschi negli anni ’50, ossia un approccio teorico di non allineamento con nessuno dei due principali “blocchi” in conflitto, che li portò a insistere nel prendere le distanze sia dalla NATO sia dal Patto di Varsavia. Indubbiamente, già all’epoca questo approccio era molto lontano da quello degli altri partiti socialisti europei.
Il Congresso straordinario del PSOE del 1979 è passato alla storia per essere stato il Congresso in cui è avvenuta la rinuncia al marxismo, negli stessi termini formulati a Bad Godesberg. Da allora cominciò a diventare esplicito un cambiamento di tendenza, derivato tra l’altro dall’importante influenza che soprattutto i socialdemocratici tedeschi e svedesi esercitarono sui nuovi leader socialisti spagnoli.10
Nel suo 30° Congresso (1984), il PSOE accettò di sottoporre a referendum l’ingresso della Spagna nella NATO – che era avvenuto nel 1982 -, esprimendo il proprio disaccordo su come l’adesione all’alleanza era stata portata avanti dal precedente governo (“in modo sconsiderato, frettoloso e gratuito, rompendo il consenso delle forze politiche rappresentative, non tenendo conto degli interessi nazionali e senza una sufficiente spiegazione al popolo spagnolo”), ma inserendo allo stesso tempo due elementi di estrema rilevanza nella propria posizione: la necessità di ricostruire il “consenso nazionale” affinché il risultato del referendum avesse un ampio sostegno, e la considerazione degli “equilibri esistenti” (a livello internazionale) affinché la tensione internazionale “non sia influenzata negativamente dal risultato del referendum”. ” Due quesiti che, per la loro formulazione, annunciavano già una posizione favorevole alla permanenza nella NATO.
Infine, il PSOE, che nel 1982 aveva reso famoso lo slogan “NATO, da subito, NO”, nel 1986 rilanciò lo slogan “Vota Sì, nell’interesse della Spagna”. Il referendum si concluse con il 56,85% a favore della continuità nella NATO. Un esempio di “consenso nazionale”. Javier Solana, ministro della Cultura del PSOE nel 1986, sarebbe diventato segretario generale della NATO tra il 1995 e il 1999 e fu direttamente responsabile dei bombardamenti contro la Jugoslavia di quell’anno.
- Il ruolo della nuova socialdemocrazia
Il processo di mutazione opportunistica che si verificò nei partiti della Seconda Internazionale si riprodusse in seguito nel Movimento Comunista Internazionale, in un modo che abbiamo già valutato nel nostro articolo sul n. 2 della RCI.11
Le tesi eurocomuniste, molto presenti in diversi partiti comunisti e operai nella seconda metà del XX secolo, proclamavano ancora una volta la difesa della collaborazione di classe, l’abbandono dell’idea di rivoluzione socialista e dei metodi di lotta rivoluzionari e la trasformazione della legalità borghese in un feticcio, coadiuvate dall’avanzata delle posizioni opportuniste nel PCUS, soprattutto a partire dal suo XX Congresso.
In Spagna, l’eurocomunismo ha partecipato attivamente e da protagonista alla campagna per il “no” nel referendum sulla NATO del 1986. Fu proprio in questo processo che nacque Sinistra Unita, una coalizione che contava sulla partecipazione delle forze socialdemocratiche opposte al PSOE. Nei 35 anni successivi, in cui i governi di coalizione socialdemocratici sono stati sperimentati in diverse occasioni a livello locale e regionale, il linguaggio e gli atteggiamenti socialdemocratici sono diventati egemoni al loro interno, al punto che, partecipando ai governi nazionali con il PSOE, si sono evoluti verso posizioni di accettazione della presenza nella NATO. In questo senso, le parole del segretario generale del PCE, Enrique Santiago, quando gli è stato chiesto quale fosse la sua posizione sul vertice NATO di Madrid (luglio 2022) organizzato dal governo di cui faceva allora parte – in qualità di segretario di Stato per l’Agenda 2030 -, sono assolutamente illuminanti.12
Parallelamente, altre organizzazioni poi emerse nell’ambito della socialdemocrazia, soprattutto PODEMOS e, più recentemente, SUMAR, mantengono posizioni retoriche molto in linea con il pacifismo borghese che Lenin e i rivoluzionari avevano già denunciato all’inizio del XX secolo. Nei loro documenti programmatici si esprimono chiaramente per l’“autonomia strategica” dell’Unione Europea, proponendo “un nuovo schema di sicurezza collettiva per l’Europa che vada oltre l’attuale ombrello della NATO e sia basato sugli interessi della nostra regione”13 o “il progressivo spostamento delle garanzie di sicurezza della NATO verso un’autonomia strategica completa al servizio dei cittadini europei e non dell’industria degli armamenti, uno spazio di sicurezza europeo soggetto al controllo democratico.”14 Lo “spostamento” della NATO (e nemmeno la sua “dissoluzione”, come propongono altri partiti opportunisti in altri Paesi) non è dovuto alla sua natura imperialista, ma alla necessità di promuovere un’autonomia strategica europea che permetta all’alleanza imperialista che l’UE rappresenta di difendere meglio i propri interessi nel mondo, sotto il comando del “multilateralismo democratico”, della “giustizia climatica globale” e di una “politica estera femminista”.
L’accettazione di tutti gli elementi essenziali della politica dell’Unione Europea e l’accettazione della partecipazione all’interno della NATO sono espressione del crollo della nuova socialdemocrazia europea, preoccupata esclusivamente di mantenere la propria presenza nei governi a gestione capitalista.
- Conclusione: la lotta comunista contro la socialdemocrazia e la guerra imperialista
La lotta comunista contro la socialdemocrazia rimane entro parametri molto simili a quelli del 1914, nonostante gli anni trascorsi. La natura opportunistica della socialdemocrazia non è nascosta né nella sostanza né nella forma e le esperienze di gestione capitalistica delle forze della nuova socialdemocrazia hanno aggravato questa situazione.
Il compito dei comunisti resta, quindi, quello di denunciare e svelare la natura di questi partiti, ora soprattutto in materia di politica estera, considerando gli eventi che si stanno verificando in Palestina e nella regione del Mar Rosso. La socialdemocrazia sta procedendo non solo a legittimare le posizioni di Israele, dell’UE e della NATO, ma sta in pratica rompendo il movimento di solidarietà con la Palestina con l’obiettivo di promuovere le posizioni del governo spagnolo. L’attuale rifiuto di partecipare all’operazione “Prosperity Guardian” non cambia il fatto che ci troviamo in un momento storico in cui più truppe spagnole sono dispiegate all’estero e che la Spagna partecipa attivamente a tutte le manovre e operazioni delle alleanze imperialiste di cui è membro.
È evidente che la socialdemocrazia europea sta promuovendo i piani guerrafondai dell’Unione Europea, nel contesto della preparazione di una grande guerra imperialista. La retorica del pacifismo borghese non nasconde la pratica politica in funzione degli interessi dei monopoli europei e il suo totale impegno nella difesa e nella promozione di tali interessi.
Il Secondo Congresso del PCTE ha stabilito come una delle sue priorità quella di intervenire con decisione nella lotta contro le guerre imperialiste e contro l’adesione della Spagna a qualsiasi alleanza imperialista, dando priorità a quanto segue:
- l’opposizione a tutte le aggressioni imperialiste, sottolineando l’internazionalismo e il diritto di tutti i popoli a scegliere la propria forma di sviluppo;
- lo smascheramento nei confronti della classe e del popolo degli interessi della borghesia spagnola nelle diverse operazioni imperialiste a cui partecipa direttamente o indirettamente e dei diversi interessi imperialisti che sono in gioco in ogni conflitto;
- la richiesta di un disimpegno unilaterale della Spagna da tutte le alleanze imperialiste di cui fa parte, in particolare l’UE e la NATO, e la chiusura delle basi militari straniere in territorio spagnolo;
- la promozione dei Comitati per la Solidarietà tra i Popoli e per la Pace (CoSPAZ).
Tutte queste priorità richiedono inevitabilmente un rafforzamento organizzativo del Partito Comunista, una maggiore capacità di intervento tra la classe operaia e il popolo lavoratore, convertendo tutti i luoghi di lavoro, le scuole e i quartieri popolari in spazi di lotta diretta contro la socialdemocrazia e l’opportunismo.
1 – Vagenas, Elisseos. L’intensificazione degli antagonismi imperialisti nella regione del Mediterraneo sudorientale e dei Balcani. La posizione del KKE sulla possibilità di coinvolgimento della Grecia in una guerra imperialista. Rivista Comunista Internazionale n. 5, 2014
2 – Lenin, V.I. La guerra e la socialdemocrazia russa. Opere raccolte. Progress Publishers, Mosca, 1964, vol. 21, pp. 31-32
3 – Martínez, Raúl e López, Ramón. La socialdemocrazia al servizio delle classi dominanti. La lotta del Partito Comunista. Rivista Comunista Internazionale n. 3, 2012
4 – Si veda il nostro articolo sulla Rivista Comunista Internazionale n. 11: Le Brigate Internazionali e l’internazionalismo proletario, scritto da Raúl Martínez
5 – Obiettivi e compiti del socialismo democratico. Dichiarazione dell’Internazionale Socialista adottata al suo primo Congresso tenutosi a Francoforte Sul Meno il 30 giugno – 3 luglio 1951. Versione inglese disponibile in: https://www.socialistinternational.org/congresses/i-frankfurt/
6 – Il mondo oggi: La prospettiva socialista. Dichiarazione dell’Internazionale Socialista approvata alla Conferenza del Consiglio tenutasi a Oslo il 2 – 4 giugno 1962. Versione inglese disponibile in: https://www.socialistinternational.org/councils/oslo-1962/
7 – Storia dell’Unione Europea occidentale. La versione inglese è disponibile in: https://web.archive.org/web/20120811173845/http://www.weu.int/
8 – Si veda l’articolo del Partito dei Lavoratori d’Irlanda nella Rivista Comunista Internazionale n. 6: NATO e UE: Alleanze imperialiste interstatali, rivalità interimperialista, espansionismo, minaccia alla pace e pericoli di aggressione e guerra, scritto da Gerry Grainger
9 – Questo processo è spiegato in modo sintetico nell’articolo “I partiti socialisti e la costruzione europea”, pubblicato da José Lamego, membro del PS portoghese, nel n. 57-58 (1994) della rivista Leviatán, edita dalla Fondazione Pablo Iglesias, legata al PSOE
10 – È noto che negli anni ’70 il PSOE ricevette un sostegno politico, logistico e finanziario dalla SPD, sia direttamente che attraverso la Fondazione Friedrich Ebert. Willy Brandt, in occasione di una conferenza sulla politica internazionale della SPD nel 1976, disse: “Come partito socialdemocratico più importante d’Europa abbiamo il compito speciale, attraverso il sostegno politico e morale dei socialisti democratici nella nostra parte d’Europa, di respingere non solo la reazione della destra, ma soprattutto di rafforzare l’alternativa al comunismo.”
11 – Martínez, Raúl. “Dall’‘eurocomunismo’ all’opportunismo attuale”. Rivista Comunista Internazionale, n. 2, 2011
12 – Interrogato in una conferenza stampa dell’11 giugno 2022, ha osservato che “la nostra posizione sulla NATO è nota, preferiremmo non essere nella NATO (…) ma se facciamo parte di un’organizzazione internazionale e abbiamo degli obblighi, è ovvio che, finché ne facciamo parte, dobbiamo rispettarli”
13 – Documento politico. 4a Assemblea dei Cittadini di PODEMOS (2021), pagina 56
14 – Programma elettorale SUMAR per le elezioni generali del luglio 2023, pagina 139
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