Tibor Zenker, Presidente del Partito del Lavoro dell’Austria (PdA)
traduzione di Giaime Ugliano
Il colpo di Stato Maidan a Kiev del 2014 e la successiva guerra civile, ma ancor più la guerra imperialista interstatale tra la Federazione Russa capitalista e l’Ucraina iniziata nel 2022, hanno posto il capitale austriaco in una posizione ambivalente. Ciò corrisponde alla politica del governo federale, che fa naturalmente parte del blocco occidentale attorno a USA, NATO e UE, ma che allo stesso tempo deve tenere conto delle condizioni e degli interessi particolari dell’imperialismo austriaco. Il Partito del Lavoro d’Austria (PdA) effettua un’analisi e ne ricava le proprie posizioni.
Il capitale austriaco nell’Europa orientale
Il capitale austriaco è stato uno dei principali beneficiari internazionali della controrivoluzione nell’Europa orientale e nell’URSS nel 1989-1991. Le banche e le società austriache hanno invaso con successo i Paesi dell’Europa orientale e sudorientale nel corso della restaurazione capitalistica, che ha interessato inizialmente i Paesi immediatamente vicini: Repubblica Ceca e Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania e Croazia. Sullo sfondo della privatizzazione e della liberalizzazione, l’espansione ha avuto successo in Paesi che 75 anni prima facevano parte dei territori della monarchia asburgica e che sono ancora considerati il “cortile di casa” dell’Austria, almeno dal punto di vista economico, nonostante il limitato potere della repubblica austriaca. Nella battaglia per le aree di investimento, le quote di mercato, le materie prime e la manodopera a basso costo, l’Austria è riuscita ad avere successo soprattutto nel settore finanziario, nelle catene di vendita al dettaglio, nelle telecomunicazioni e nei media, nell’approvvigionamento energetico, nell’agricoltura, nell’edilizia, ma anche nei settori industriali di base. Questo nuovo sviluppo economico dell’imperialismo austriaco è stato supportato anche dal punto di vista politico.
Il capitale austriaco godeva di un vantaggio iniziale: grazie alla sua neutralità formale, che ovviamente non è mai stata una neutralità effettiva, nei decenni precedenti erano già state stabilite relazioni significative con le economie socialiste, che potevano essere sfruttate negli anni Novanta. Naturalmente, sono stati promossi i “processi di trasformazione” nell’Europa orientale e l’eventuale ammissione degli Stati in questione all’UE, che dal 1995 in poi è servita come ulteriore veicolo per l’imperialismo austriaco. Infine, ma non meno importante, i governi di Vienna, allora guidati dai socialdemocratici, hanno alimentato con particolare zelo il separatismo nei Balcani occidentali e lo smembramento dell’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. L’Austria è anche presente militarmente in questa regione, in particolare con contingenti dell’Esercito Federale come parte degli eserciti di occupazione dell’UE e della NATO in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo serbo. In questo contesto generale, la fase successiva dell’espansione è stata nuovamente diretta verso est, in Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakistan.
Ancora una volta, il capitale austriaco e il suo Stato sono stati aiutati dal “bonus di neutralità” in una regione critica nei confronti della NATO. Mentre l’imperialismo dell’Europa occidentale ha agito con maggiore esitazione, l’Austria è stata in grado di fare affari con i regimi di Lukashenko e Nazarbayev come avanguardia insospettabile, per così dire. Di maggiore importanza, tuttavia, è stata l’enfatizzata “amicizia” dell’economia austriaca con la Russia. Il Presidente Vladimir Putin e vari oligarchi russi sono stati a lungo ospiti graditi – come partner commerciali, come apriporta per gli investimenti austriaci, ma anche come investitori in Austria. I legami bilaterali si sono sviluppati in particolare nell’industria delle costruzioni, nel turismo e nel settore finanziario – e le dipendenze nel settore energetico: i contratti di fornitura con l’URSS sono in vigore dal 1969 e sono stati recentemente prorogati nel 2018 con la russa Gazprom fino al 2040. L’80% delle forniture di gas dell’Austria proviene dalla Federazione Russa, mentre una percentuale altrettanto elevata di importazioni di petrolio proviene dal Kazakistan.
Viceversa, 650 aziende austriache sono presenti in Russia, con investimenti per miliardi. Tra queste ci sono aziende di medie dimensioni, ma la punta di diamante è Raiffeisenbank International (RBI). Ha un patrimonio di circa 30 miliardi di dollari in Russia ed è oggi la più grande banca straniera della Federazione, davanti alla banca statunitense Citigroup e all’italiana UniCredit. RBI ha 130 filiali in Russia, 10.000 dipendenti e quattro milioni di clienti. Raiffeisen è anche un nome di spicco nella sponsorizzazione, ma i profitti derivano naturalmente dall’attività bancaria vera e propria: recentemente, con 2,1 miliardi di dollari, circa il 50% dell’utile netto di RBI proveniva dalla Russia – va da sé che la banca si oppone con veemenza alle sanzioni e non vuole rinunciare alla sua mucca da mungere. Tuttavia, Raiffeisen non è solo una banca, è un conglomerato completo che comprende anche partecipazioni in società di media o nel gruppo edile Strabag e nella compagnia assicurativa Uniqa. Soprattutto, però, Raiffeisen – corrompendo il concetto originario di cooperativa agricola – è ora un enorme monopolio agricolo. Attraverso Agrana AG, la società è anche un importante attore nella preparazione della frutta in Russia.
E qui si trova un corrispondente collegamento in direzione dell’Ucraina. Il capitale austriaco è fortemente coinvolto anche là, essendo il sesto investitore del Paese. Prima dell’inizio della guerra, c’erano 200 sedi di aziende austriache, 50 aziende industriali con 20.000 dipendenti. Si tratta principalmente di industrie del legno, del cartone e della carta, ma le aziende austriache producono in Ucraina anche sci da fondo (Fischer) e articoli semplici come etichette per bottiglie e assi da stiro. Di particolare importanza, tuttavia, è la già citata Agrana AG, che è indirettamente di proprietà di Raiffeisen: gestisce la produzione in Ucraina di frutta e succhi di frutta. In Ucraina, tuttavia, i cittadini sono ora meno soddisfatti di Raiffeisen a causa delle sue attività russe, motivo per cui RBI è stata temporaneamente inserita nell’elenco delle società accusate da Kiev di sostenere la guerra di aggressione russa. Il governo austriaco è intervenuto con successo contro questa situazione attraverso l’UE.
Questo esempio dimostra che il capitale austriaco si è messo in una posizione difficile. La ricerca del profitto ovunque ha creato difficoltà politiche che erano prevedibili da tempo, non da ultimo in Ucraina. La “rivoluzione arancione” è diventata un dilemma già nel 2004, quando Viktor Yushchenko aveva temporaneamente il suo centro operativo a Vienna. Sebbene il primo rovesciamento di Yanukovich sia stato sostenuto, il fallimento di Yushchenko nel 2010 è stato un prerequisito per il colpo di stato di Maidan nel 2014. All’epoca, tuttavia, Austria e Russia, così come il governo federale e Putin, erano ancora in ottimi rapporti, come dimostrato, ad esempio, in occasione delle Olimpiadi Invernali di Sochi. Il primato degli interessi economici austriaci nel territorio dell’ex URSS spettava chiaramente alla Russia: per questo motivo, nel 2015, l’azienda energetica austriaca OMV, in parte di proprietà statale, ha acquisito una quota del dieci per cento nel progetto del gasdotto Nord Stream 2. Il gas a basso costo proveniente dalla Russia doveva fluire attraverso un percorso sicuro, aggirando l’Ucraina, fino alla Germania e all’Austria, non necessariamente per consentire alle famiglie di riscaldarsi e cucinare, ma per considerazioni economiche più ampie: in Austria, il gas viene utilizzato per generare elettricità e vi sono anche importanti settori produttivi ad alta intensità di gas, come l’industria dell’acciaio e della carta.
Questo ci fornisce una panoramica incompleta, ma molto istruttiva, dei legami economici tra l’imperialismo austriaco e la Russia da un lato e l’Ucraina dall’altro. Nel caso russo, si deve addirittura parlare di classici legami monopolistici-statali: ex politici austriaci di spicco hanno ricoperto funzioni o incarichi nel consiglio di sorveglianza di aziende russe, come Wolfgang Schüssel (Cancelliere federale, ÖVP) alla Lukoil, Christian Kern (Cancelliere federale, SPÖ) alle ferrovie statali RŽD, Hans Jörg Schelling (Ministro delle Finanze, ÖVP) alla Gazprom/Nord Stream o Karin Kneissl (Ministro degli Esteri, FPÖ) alla Rosneft. L’ex capo del governo Alfred Gusenbauer (SPÖ) era responsabile della consulenza e delle pubbliche relazioni, anche per Hapsburg Group a favore di Yanukovych, ma anche per i regimi kazako e azero. Allo stesso tempo, gli oligarchi russi hanno acquistato pacchetti azionari in importanti aziende austriache, come Oleg Deripaska nel gruppo di costruzioni Strabag, che è controllato in maggioranza da Raiffeisen e Uniqa. Dietro le quinte, Christoph Leitl (ÖVP), presidente di lunga data della Camera di Commercio, ha tirato le fila, arrivando persino a svelare le motivazioni dell’interesse austriaco nell’Ucraina occidentale: in occasione di un evento pubblico, ha scherzato con Vladimir Putin davanti alle telecamere su una possibile “divisione” dell’Ucraina, dato che “Lemberg” (nome tedesco di Leopoli) era stata una città austriaca fino alla Prima guerra mondiale.
Alla luce di questa situazione generale degli interessi austriaci in Europa orientale, il colpo di Stato di Maidan nel 2014, l’annessione russa della Crimea e la guerra civile nel Donbass non sono stati necessariamente favorevoli al capitale austriaco. In seguito, si è cercato di ignorare i problemi e di mantenere lo stesso le relazioni ovunque. La strategia di escalation di Stati Uniti, Gran Bretagna, NATO e dei nuovi governanti di Kiev doveva essere seguita e formalmente sostenuta.
Guerra in Ucraina, neutralità, militarizzazione
Il 24 febbraio 2022 segna l’invasione russa e l’inizio diretto della guerra interstatale tra la Federazione Russa e l’Ucraina. Sei settimane dopo, all’inizio di aprile 2022, il cancelliere federale austriaco Karl Nehammer (ÖVP) è stato il primo capo di governo dell’UE a recarsi a Mosca per incontrare Vladimir Putin. Il contenuto dei colloqui è rimasto in gran parte segreto. È improbabile che Nehammer sia stato così ingenuo da intraprendere da solo una “iniziativa di pace”. Piuttosto, si trattava probabilmente di definire e garantire gli interessi economici, ossia le forniture indisturbate di gas dalla Russia all’Austria – all’epoca anche attraverso il Nord Stream 1 – da un lato, e le attività della Raiffeisenbank (RBI) dall’altro, infatti l’ÖVP è considerato in una certa misura il braccio politico della Raiffeisen a causa dei suoi stretti legami. È probabile che entrambe le questioni siano state gestite in modo freddo ma professionale, nell’interesse di entrambe le parti: i contratti con Gazprom sarebbero stati onorati, Raiffeisen non sarebbe stata sanzionata in Russia, soprattutto perché RBI, a differenza delle banche russe nazionali, non era esclusa dal sistema SWIFT.
Allo stesso tempo, importanti rappresentanti della Federazione Austriaca degli Industriali hanno insistito sul fatto che le sanzioni e una guerra economica contro la Russia sarebbero assurde e dannose per l’economia austriaca. In un certo senso, all’interno del capitale si sono formate due fazioni, una delle quali – la più piccola – è decisamente favorevole alla Russia per via del corrispondente orientamento degli investimenti, delle esportazioni e delle importazioni. Dal punto di vista politico, questa fazione sostiene il Partito della Libertà (FPÖ), partito di opposizione di estrema destra, che sostiene pubblicamente un principio di neutralità per l’Austria. Si può presumere che l’FPÖ, sotto la guida del suo leader Herbert Kickl, otterrà una vittoria schiacciante nelle prossime elezioni del Consiglio Nazionale, previste per l’autunno. Le previsioni e i sondaggi attuali danno l’FPÖ oltre il 30% dei voti e in netto vantaggio sui socialdemocratici dell’opposizione (SPÖ) e sul conservatore ÖVP al governo. Se Kickl dovesse effettivamente essere in grado di guidare un governo, per il quale avrà bisogno di un partner, la fazione del capitale orientata alla Russia spera che abbia un approccio alla politica russa simile a quello di Orbán in Ungheria o di Fico in Slovacchia. In ogni caso, il fatto è che quando Zelensky ha parlato in collegamento video nel parlamento austriaco, i deputati dell’FPÖ hanno abbandonato l’aula per protesta. Tuttavia, alcuni socialdemocratici non si sono nemmeno presentati.
Ciononostante, la netta maggioranza del capitale austriaco si è unita al fronte antirusso. Perché per quanto lucrativi e teoricamente promettenti possano essere gli affari con la Russia, altri mercati sono attualmente più importanti per l’industria orientata all’esportazione. Se prendiamo ad esempio i Paesi di destinazione delle esportazioni di beni austriaci, possiamo vedere che tra quelli del 2021, cioè prima dell’inizio della guerra, il 68% saranno membri dell’UE. Il mercato di gran lunga più importante, con una quota del 30,2%, è la Germania, seguita da Italia (6,8%), Polonia (4,0%), Francia (3,8%), Ungheria (3,7%) e Repubblica Ceca (3,6%). Al di fuori dell’UE, la Svizzera riveste ancora una certa importanza (4,9%), mentre il più importante Paese di esportazione all’estero sono gli Stati Uniti, con una quota del 6,7% di tutte le esportazioni austriache di beni. La quota della Russia, invece, è piuttosto ridotta, pari all’1,2%, anche se si tratta di miliardi di euro. Tuttavia, l’orientamento è chiaro: il capitale austriaco ha bisogno della Germania, dei Paesi limitrofi e dell’UE, oltre che degli Stati Uniti. Queste relazioni (e i profitti) non possono essere messi a repentaglio a favore della Russia, anche se per quest’ultima sono ipotizzabili prospettive di espansione di nuove dimensioni.
La situazione è simile per quanto riguarda le esportazioni di capitali. Nel 2022 gli investimenti diretti austriaci all’estero sono stati pari a 238 miliardi di euro. Il 60% di questi è stato destinato agli Stati membri dell’UE, circa il 15% alla Germania e circa il 7% a Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Svizzera e Stati Uniti. In confronto, la Russia è un Paese target meno significativo, con il 3%. In questo senso, vale lo stesso discorso: il capitale austriaco è naturalmente più propenso a rinunciare alla sfera degli investimenti russi rispetto all’UE e al Nord America. Sebbene questo ponga almeno un forte freno alla strategia di espansione vera e propria, come Paese di medie dimensioni – anche se con un’economia finanziaria sovradimensionata – bisogna fare i conti con gli sviluppi internazionali. Sono quindi i profondi interessi economici del capitale austriaco a determinare la posizione finale sulla guerra in Ucraina. A malincuore, ma nondimeno, uno o due filoni di rapporti d’affari con Mosca sono stati tagliati e vari piani sono stati accantonati – almeno per il momento. D’altra parte, molte aziende, non solo la Raiffeisenbank, sono rimaste sul posto e sperano di riuscire a superare la guerra per partecipare poi alla distribuzione del bottino, in un modo o nell’altro.
In questo contesto, era estremamente importante per il governo federale austriaco, guidato dal conservatore ÖVP e in cui i Verdi sono partner minori, mettere il meno possibile in dubbio l’affidabilità politica dell’Austria a Bruxelles, Berlino e Washington. Inizialmente, ciò ha riguardato l’aspetto retorico: l’Austria può essere militarmente neutrale, ma non lo è politicamente, ha dichiarato il Cancelliere Federale Nehammer. Ha sottolineato in ogni occasione che avrebbe sostenuto l’Ucraina per ragioni morali e di diritto internazionale, al fine di difendere i valori europei di democrazia e libertà. A volte le dichiarazioni del governo sembravano dettate direttamente dal quartier generale della NATO. In termini pratici invece, sono state trovate soluzioni creative: sulla questione dello “Strumento europeo per la pace” e del finanziamento degli armamenti per l’Ucraina da parte dell’UE, l’Austria ha assunto una posizione di “astensione costruttiva”, che ha permesso di prendere una decisione congiunta secondo il principio dell’unanimità. La quota austriaca dei fondi UE poteva essere utilizzata solo per beni civili ma, naturalmente, è assurdo pensare che questo possa essere separato dal corso degli acquisti e delle consegne dell’UE. L’Austria sta di fatto pagando anche le armi per l’Ucraina e sta in ogni caso co-finanziando l’apparato amministrativo militare.
Ciò che non è stato portato a termine, invece, sono le consegne dirette di armi dall’Austria all’Ucraina – nonostante le Forze Armate austriache dispongano di 48 dei famosi carri armati Leopard 2. Ma il governo federale ha proibito di fornire “armi offensive”, e gli unici beni militari trasferiti all’Ucraina dalle scorte dell’Esercito Federale sono stati elmetti d’acciaio e gilet protettivi – attrezzature di natura difensiva. Tuttavia, l’intera ambiguità della posizione austriaca viene alla luce quando si tratta di trasporto di armi: il divieto di trasporto di armi straniere attraverso il territorio austriaco verso un Paese belligerante viene aggirato utilizzando trucchi di licenza ed etichettatura, ad esempio i carri armati italiani vengono formalmente consegnati alla Slovacchia attraverso il territorio austriaco e quindi all’interno dell’UE – e solo allora raggiungono l’Ucraina. E così i trasporti di armi e truppe della NATO passano regolarmente sui binari austriaci in treno – nel 2023 erano oltre 4.500. Il governo federale non si preoccupa nemmeno del fatto che gli aerei della NATO attraversino regolarmente lo spazio aereo austriaco, alcuni anche senza alcuna autorizzazione. In alcuni di questi casi, vi sono chiare violazioni della Legge Austriaca sulla Neutralità, che ha valore costituzionale.
L’abolizione generale della neutralità austriaca, storicamente proposta e messa in campo dall’URSS, è molto impopolare tra la popolazione. Solo per un brevissimo periodo, all’inizio della guerra, l’ÖVP ha tentato di avviare un processo di discussione in merito. Al momento non si può escludere che l’Austria segua l’esempio di Finlandia e Svezia e chieda l’adesione alla NATO. Infatti si stanno creando i presupposti per questa direzione, ad esempio grazie alle regolari apparizioni di ufficiali dell’esercito nei notiziari televisivi nazionali. In realtà, l’Austria è già parzialmente integrata, in particolare attraverso le strutture militari dell’UE e la Partnership per la Pace della NATO. La neutralità è stata fortemente indebolita dall’adesione dell’Austria all’UE e ha subito ulteriori danni nell’attuale guerra in Ucraina. L’attuale strategia di chi è al potere è quella di promuovere un’adesione silenziosa o, in una certa misura, parziale alla NATO e di degradare definitivamente la neutralità a un guscio vuoto. Non dobbiamo quindi essere ingenui: possiamo usare la popolarità della neutralità nella lotta contro i legami con la NATO, ma non dobbiamo fare affidamento su di essa. Occorre sottolineare il carattere imperialista e il ruolo criminale della NATO a spese dei popoli.
In linea con il piano del governo di espandere i legami con la NATO, è anche necessario armare massicciamente l’esercito – e la guerra in Ucraina è stata una ghiotta occasione per giustificare questo piano. Mentre il bilancio ordinario del Ministero della Difesa è stato aumentato a oltre quattro miliardi di euro, si sono svolti diversi processi di approvvigionamento anche al di fuori di esso. Oltre a 1.000 veicoli da trasporto e ad articoli come maschere protettive NBC e apparecchiature per la visione notturna, gli aumenti di bilancio dal 2023 hanno incluso anche 4.000 nuovi fucili d’assalto (StG77/AUG) e migliori sistemi radar e di localizzazione. L’aeronautica è in fase di ammodernamento – non solo con i droni – ma anche con, tra l’altro, 36 nuovi elicotteri di fabbricazione italiana (Leonardo AW-169), il raddoppio della flotta di elicotteri Black Hawk a 24 velivoli, quattro aerei da trasporto (Embraer C-390) e una decisione in stallo sui nuovi aerei da combattimento – gli attuali 15 jet Eurofighter sono avanti con gli anni e devono essere almeno ammodernati, se non integrati o sostituiti – sono in discussione prodotti statunitensi e svedesi, con 16 miliardi di euro disponibili per il momento. Per quanto riguarda i veicoli corazzati, sono in corso aggiornamenti tecnologici per i 48 carri armati principali Leopard 2A4 e i 112 mezzi corazzati Ulan. Tuttavia, 1,8 miliardi di euro sono stati spesi per i veicoli blindati gommati e sono state ordinate 220 unità del Pandur Evolution, alcune delle quali saranno equipaggiate con la torretta Sky Ranger.
Non ci vuole molta immaginazione per capire che le Forze Armate austriache saranno completamente modernizzate e potenziate. A quanto pare, i militari vogliono passare dall’essere un “passeggero non pagante” a diventare un partecipante più attivo alle missioni dell’UE e/o della NATO, svolgendo almeno compiti speciali ad alto livello. Nell’attuale documento strategico, il Ministero della Difesa afferma esplicitamente che le forze armate devono diventare “idonee alla guerra”. La guerra in Ucraina fornisce il pretesto, poiché la minaccia militare proveniente dall’est può essere nuovamente dipinta ed esagerata in termini propagandistici. In questo contesto, l’Austria ha potuto partecipare al progetto di difesa missilistica Sky Shield della NATO nonostante la sua neutralità.
In definitiva, non c’è dubbio che l’Austria si collochi nel blocco imperialista occidentale. Ciò è necessario anche perché, lasciata a se stessa, le opzioni del capitale austriaco sarebbero estremamente limitate. Le ambizioni dell’Austria, che a volte appaiono esagerate, devono essere portate avanti come junior partner, soprattutto nel caso di implicazioni militari, non da ultimo nella scia della Germania e di un’UE militarizzata. Nel 2024 – esattamente 110 anni dopo l’inizio della Prima guerra mondiale – questo è un ricordo poco piacevole dei crimini di guerra storici commessi dalla fratellanza in armi austro-tedesca nell’Europa orientale.
Mentre i politici si sforzano di prendere una posizione chiara e affidabile, almeno a parole, lasciano aperte diverse strade secondarie. I capitali austriaci restano in Russia e Ucraina per mantenere i propri bastioni economici e per essere sul posto quando la guerra finirà. Il governo sta proteggendo singoli oligarchi russi, particolarmente importanti per l’Austria, dalle sanzioni dell’UE. Inoltre, viene utilizzata una sorta di tattica dilatoria per insistere sulla continuazione delle forniture di gas russo all’Austria, poiché il Paese ne è ancora dipendente: a causa della mancanza di accesso al mare, non è possibile costruire un proprio terminal per il gas naturale liquefatto. Allo stesso tempo, il fatto che non sia stato realizzato il gasdotto Nabucco, per il quale OMV aveva da tempo fatto pressioni e che avrebbe dovuto fornire all’Austria gas dal Kazakistan e dalla regione del Caspio attraverso la Turchia e i Balcani, sta avendo il suo peso. Se l’accordo di transito dell’Ucraina con la Russia per il trasporto del gas russo in Europa che scade quest’anno non venisse rinnovato – o se il gasdotto venisse danneggiato dalla guerra – l’Austria si troverà ad affrontare difficoltà molto serie. Questi fatti (e l’andamento sfavorevole della guerra in Ucraina) possono contribuire al fatto che il governo dell’ÖVP stia ora parlando sempre più spesso della necessità di avviare negoziati di pace con Mosca con l’aiuto dei Paesi BRICS – solo poche settimane fa, una simile proposta sarebbe stata screditata come una bestemmia anti-ucraina.
Posizioni del Partito del Lavoro dell’Austria
In passato, il Partito del Lavoro dell’Austria ha considerato l’aggressività dell’imperialismo statunitense come la più grande minaccia per la pace – e concretamente questo è ancora il caso oggi. Questa particolare aggressività degli Stati Uniti deriva da un lato dalle loro enormi capacità militari e finanziarie, ma anche da alcune dipendenze e dal declino economico. Il ruolo della NATO è legato a questo: l’espansione della NATO ai confini della Russia e della Bielorussia è sempre stata da noi criticata come uno sviluppo pericoloso, così come la militarizzazione dell’UE. Di conseguenza, le nostre richieste antimperialiste includono il ritiro dell’Austria dall’UE e la cessazione di ogni cooperazione con la NATO, compreso il cosiddetto “Partenariato per la Pace”, nonché con gli Stati Uniti, compreso il “Programma di Partenariato Statale” con la Guardia Nazionale. Tutte queste cose sono incompatibili con la neutralità austriaca, che noi difendiamo nonostante le sue evidenti lacune.
Allo stesso tempo, le nostre posizioni antimilitariste implicano il rifiuto dell’ulteriore armamento delle Forze Armate austriache, della penetrazione nella società di idee militaresche e dei media guerrafondai e della partecipazione delle Forze Armate alle missioni imperialiste. Le forze di occupazione austriache devono essere ritirate dai Balcani. Il compito delle Forze Armate austriache è la difesa del territorio austriaco contro le aggressioni militari – non devono far parte di un esercito di intervento internazionale né possono essere destinate all’impiego all’interno del Paese. Allo stesso tempo, il Partito del Lavoro si oppone all’introduzione di un esercito professionale in Austria, mentre sostiene un servizio militare obbligatorio abbreviato e democratizzato e un corrispondente sistema di milizia.
Abbiamo chiaramente condannato il colpo di Stato Maidan a Kiev del 2014. I regimi di Poroshenko e Zelensky rappresentano l’orientamento autoritario, antidemocratico, razzista e di estrema destra della politica ucraina, che si rivolge in modo aggressivo e talvolta omicida contro la popolazione di lingua russa, nonché contro la classe operaia e le sue organizzazioni sindacali e politiche. La guerra civile nel Donbass, iniziata più di dieci anni fa, ha comportato fin dall’inizio il pericolo di trasformarsi in una guerra interstatale tra la Federazione Russa e il regime di Kiev. E questa è la situazione che esiste ormai da più di due anni, almeno in termini formali.
In realtà, sono le alleanze imperialiste che si stanno scontrando in Ucraina: è una guerra imperialista, una guerra ingiusta da entrambe le parti. L’Ucraina sta combattendo anche una guerra per procura per gli Stati Uniti e la NATO – dal punto di vista degli USA – mentre la Russia è il più importante alleato della Cina. Siamo nel mezzo di una guerra che non si combatte solo per le materie prime, le risorse, le vie di trasporto, le sfere di investimento, le quote di mercato e la manodopera a basso costo, ma anche per un’importante posizione geopolitica nella lotta per la suddivisione del mondo e la posizione egemonica globale. Questo conflitto è il risultato delle leggi dell’imperialismo, della sua natura, della sua competizione e dello sviluppo capitalistico ineguale. È condotto politicamente, economicamente e infine con le armi. Questa categorizzazione generale è anche la ragione per cui un’ulteriore escalation verso una guerra mondiale sembra ancora possibile, non solo attraverso un coinvolgimento più diretto della NATO in Ucraina, ma anche, ad esempio, attraverso un’escalation nel Pacifico.
Il Partito del Lavoro non si schiera in questo conflitto imperialista, nemmeno a favore dell’imperialismo più debole o del “male minore”, come purtroppo fanno alcuni partiti comunisti e operai. Il nostro impegno è esclusivamente a favore della classe operaia, che non ha alcun interesse in questa guerra – né compartecipando agli interessi russi in questa guerra, né a quelli ucraini e, naturalmente, nemmeno in quelli austriaci. Per questo motivo rifiutiamo anche di dare tregua al governo austriaco, rifiutiamo le sanzioni e la guerra economica, così come il finanziamento dell’Ucraina o la fornitura di materiale bellico. Queste cose significano sconvolgimenti sociali, preoccupazioni esistenziali e difficoltà di approvvigionamento per la popolazione austriaca, nonché il pericolo di essere coinvolti più direttamente nel conflitto militare. Questo perché il governo e lo Stato borghese sono profondamente coinvolti nei piani imperialisti della NATO, dell’UE e degli USA. Naturalmente non ci si può aspettare che il governo austriaco passi improvvisamente a una politica attiva di neutralità e pace. È quindi compito centrale del partito comunicare alla popolazione che non ci si può fidare del governo, come non ci si deve fidare di nessun governo borghese e in generale dello Stato borghese.
Dobbiamo educare e mobilitare la popolazione a condurre la lotta contro l’integrazione dell’Austria nella NATO e contro l’abolizione della neutralità. Per passare dalla difesa all’offensiva sono necessari un forte movimento per la pace e una lotta di massa. È quindi necessario intensificare i nostri sforzi per rafforzare la lotta di classe – contro il nostro principale nemico, che si trova nel nostro stesso Paese ed è l’imperialismo austriaco, il capitale monopolistico austriaco: su questo non ci sono dubbi. In caso di guerra, la classe operaia è chiamata a rivoltarsi contro i governanti che la mandano sui campi di battaglia. L’attuale equilibrio di potere può essere sfavorevole, ma i continui sconvolgimenti possono dare una dinamica alla quale dobbiamo essere preparati. Una possibile nuova guerra mondiale deve concludersi con il rovesciamento del capitalismo e dell’imperialismo. La storia recente delle ex repubbliche dell’URSS lo dimostra chiaramente: imperialismo significa guerra, socialismo significa pace.
Per il momento, tuttavia, tutti gli sforzi sono concentrati nel prevenire un’escalation della guerra in Ucraina e l’inizio di una guerra mondiale. Sono i lavoratori a morire nelle trincee – e ogni giorno di guerra è un giorno di troppo. Pertanto, la nostra richiesta principale è quella di un cessate il fuoco e di soluzioni negoziate, anche se le opzioni che rimangono al sistema borghese e alle sfiduciate Nazioni Unite sono discutibili. Naturalmente, c’è da temere che ci sarà pace solo quando questa sembrerà appropriata per il capitale statunitense e russo allo stesso tempo; che questa pace servirà solo al profitto capitalista nella ricostruzione – e nel riarmo, cioè che ogni pace sia solo una pausa per prendere fiato prima della prossima guerra.
Pertanto, anche una possibile soluzione di pace non ci solleva naturalmente dalla lotta di classe rivoluzionaria per il socialismo. Questo vale non da ultimo per l’Austria, il cui capitale sta cercando di uscire dalla guerra in Ucraina indenne, come un profittatore di guerra su tutti i fronti e capace di realizzare nuovi profitti. Non ci accontenteremo mai di una relativa “prosperità” in Austria che si basa sul saccheggio di altre nazioni dell’Europa orientale e sudorientale. Non ci rassegneremo mai a un’esistenza da schiavi come lavoratori salariati, oppressi politicamente e sfruttati economicamente. E non accetteremo un sistema che porta con sé la guerra, proprio come le nuvole portano la pioggia.
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