Pubblichiamo un articolo redatto dai compagni spagnoli, in cui si analizzano e confutano le principali argomentazioni circa l’insostenibilità del sistema pensionistico pubblico in Spagna e in Europa: i vincoli di bilancio sono utilizzati dai governi borghesi come pretesto per attuare riforme che penalizzano la classe operaia.
L’analisi dei comunisti spagnoli arriva a mettere in luce la contraddizione e il “doppio standard” di un sistema in cui questi vincoli non si applicano alle spese militari. Infatti, il governo di Pedro Sánchez, costituito dal Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) e Sumar (la coalizione comprendente la “sinistra radicale”), prosegue le politiche di aumento del budget bellico in nome delle richieste di UE e NATO.
L’analisi del PCTE può pertanto essere uno spunto per il dibattito anche nel nostro paese, dove in maniera analoga si tagliano diritti mentre si persegue la corsa al riarmo in nome degli interessi padronali e contro quelli degli strati popolari.
Buona lettura.
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Di Severino Menéndez, Nuevo Rumbo, organo del Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna (PCTE)
11 aprile 2025
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Negli ultimi decenni, il dibattito sulle pensioni in Spagna e in Europa è stato costantemente ostaggio del mantra dell’insostenibilità del sistema pubblico pensionistico. Tutti i governi, i think tank neoliberisti e i mezzi di comunicazione di massa ripetono, come un dogma, che l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’aspettativa di vita rendono inevitabili tagli ai diritti o il rinvio dell’età pensionabile. Non ci sono soldi, dicono, per tutto.
Tuttavia, questo discorso si scontra con una realtà in cui la permissività fiscale nei confronti delle grandi fortune, le banche che non restituiscono le cifre esorbitanti con cui sono state salvate, in cui la rapina permanente perpetrata dalle aziende energetiche e la crescita sfrenata della spesa militare dimostrano che si tratta di una questione di classe, in cui i profitti privati sono costantemente anteposti al benessere collettivo. Pertanto, dovremmo chiederci se la sostenibilità delle pensioni sia realmente un problema tecnico o una scusa per imporre un programma di smantellamento sociale che continua a concentrarsi sul trasferimento di redditi dal lavoro al capitale. Per esigenze di spazio, ci limiteremo ad affrontare sinteticamente solo quattro aspetti che possono fornirci molte risposte.
In primo luogo, possiamo osservare come, a partire dagli anni Novanta, in Spagna siano state attuate successive riforme delle pensioni sotto la pressione della Commissione europea e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). I governi successivi del PSOE e del PP hanno progressivamente allungato la vita lavorativa – con la riforma del 2011 che ha innalzato l’età pensionabile a 67 anni -, legato le pensioni all’aspettativa di vita (2013) e inasprito gli anni di contribuzione richiesti. Tutto questo con l’argomentazione di garantire la sostenibilità di un sistema che, secondo le previsioni catastrofiste, crollerebbe di fronte all’aumento del numero di pensionati.
Curiosamente, i dati, i loro stessi dati, smentiscono la narrazione apocalittica. Secondo l’Autorità Indipendente per la Responsabilità Fiscale (AIReF), il sistema pensionistico spagnolo ha registrato eccedenze nel 2022 e nel 2023. Inoltre, il salvadanaio delle pensioni – il Fondo di riserva – che è stato deliberatamente svuotato durante la crisi per salvare le banche, non è stato reintegrato. Se a questo si aggiungono i continui tagli e sussidi alle imprese per rendere più conveniente la manodopera, è evidente che il problema non è demografico, ma di priorità su come spendere i soldi che provengono dai contributi previdenziali, che – non dimentichiamolo – sono parte della ricchezza generata dai lavoratori e dalle lavoratrici.
È quindi fin troppo chiaro che il concetto di sostenibilità, utilizzato in modo distorto, è stato usato come alibi per attuare riforme e priorità di spesa che impoveriscono la classe operaia.
In secondo luogo, vediamo come mentre la classe operaia è costretta a lavorare più a lungo per pensioni più basse, l’Unione Europea sta allentando le proprie regole fiscali per finanziare il riarmo. Nel novembre 2023, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha proposto di aumentare la spesa militare dell’1,5% del PIL dell’UE (circa 650 miliardi di euro in quattro anni), rendendo più facile per gli Stati membri violare i limiti di deficit. Paradossalmente, questa stessa Commissione chiede da anni alla Spagna riforme strutturali in materia di pensioni, sanità e istruzione, adducendo come motivo i vincoli di bilancio.
La Spagna è un caso emblematico di questa contraddizione. Nel 2023, il governo ha stanziato complessivamente 27,7 miliardi di euro per la Difesa (sommando ai 12,827 miliardi del ministero della Difesa il bilancio di voci di carattere militare presenti in altri ministeri), un aumento del 26% rispetto al 2022, superando per la prima volta il 2% del PIL richiesto dalla NATO. Nel frattempo, l’investimento nella sanità pubblica rimane al di sotto dei livelli pre-crisi (5,7% del PIL rispetto al 6,3% del 2009) e le liste d’attesa mediche raggiungono record. La domanda è inevitabile: perché ci sono soldi per i caccia F-35, il cui costo unitario si aggira intorno agli 80 milioni di euro, ma non per garantire pensioni dignitose o posti letto ospedalieri?
È evidente che ci troviamo di fronte a due pesi e due misure in termini di disciplina fiscale e, ancora una volta, a una definizione di priorità che privilegia il riarmo e la guerra rispetto al benessere della classe lavoratrice.
In terzo luogo, possiamo notare che dietro il discorso della sostenibilità si nasconda un altro obiettivo, che è quello di trasferire i risparmi dei lavoratori a gestori privati. Negli ultimi anni, i governi e le organizzazioni datoriali hanno promosso in modo aggressivo i piani pensionistici privati, presentandoli come un complemento necessario alla presunta debolezza del sistema pubblico. Anche i sindacati maggioritari hanno firmato accordi per promuoverli, normalizzando un modello che va a vantaggio di banche e assicurazioni.
L’attività è molto redditizia. Secondo l’Associazione degli Istituti di Investimento Collettivo e dei Fondi Pensione (Inverco), nel 2023 i fondi pensionistici privati in Spagna hanno gestito 119 miliardi di euro, con commissioni che possono divorare fino al 30% dei rendimenti. Inoltre, questi piani trasferiscono il rischio ai singoli individui, poiché se gli investimenti falliscono (come nel 2008) il lavoratore perde la pensione. Mentre il sistema pubblico, basato sulla ripartizione e sulla solidarietà, garantisce un reddito stabile anche in caso di crisi. Non è un caso che BlackRock, il più grande gestore di fondi al mondo, stia facendo pressioni sull’UE affinché privatizzi le pensioni.
Siamo quindi di fronte a una svolta costante verso la privatizzazione occulta, che sta portando alla trasformazione del diritto a una pensione dignitosa in un business miliardario per i grandi fondi.
In quarto luogo, uno degli argomenti più cinici a favore del prolungamento della vita lavorativa è l’aumento dell’aspettativa di vita. Se viviamo più a lungo, dobbiamo lavorare più a lungo, ripetono politici ed editorialisti al servizio dei loro padroni. Ma questa logica, che mira solo ad aumentare la generazione individuale di plusvalore per individuo e a ridurre il rendimento dei contributi sotto forma di pensioni, nasconde consapevolmente due realtà.
Da un lato, l’enorme disuguaglianza nella longevità in Spagna: a seconda del codice postale di residenza, una persona può vivere fino a sette anni in meno se vive in un quartiere operaio, segno evidente di come esista una differenza di classe anche nell’aspettativa di vita.
D’altra parte, e in relazione a quanto detto sopra, le condizioni di vita della classe operaia fanno sì che la relativa longevità non vada necessariamente di pari passo con la buona salute. Ciò è evidente dall’aumento delle malattie croniche e della necessità di assistenza per le disabilità legate all’età, nonché da una vita lavorativa fisicamente e mentalmente estenuante.
Ci troviamo quindi di fronte a un disegno di tagli avaro e immorale che riduce la vita della persona a rimanere sulla ruota dello sfruttamento e dell’estrazione del plusvalore fino a quando, resi inutili a tale scopo, veniamo scartati, non permettendoci di sviluppare appieno una parte sostanziale degli ultimi anni della nostra vita.
Da quanto detto sopra possiamo dedurre senza troppi sforzi che ridurre la giornata lavorativa, evitare la trappola di trasformarla nell’apertura di una porta per il lavoro su richiesta, migliorare le condizioni di lavoro e di salute e utilizzare gli incrementi di produttività in modo che la popolazione goda di un maggior numero di anni di pensione in buona salute si scontra in modo antagonistico con un sistema che dà priorità all’accumulazione di capitale rispetto al benessere di quelli di noi che produciamo tutto. L’ennesima prova che il capitalismo è incompatibile con la vita.
Come abbiamo visto in un breve scorcio di quattro aspetti della realtà, la lotta per le pensioni non è un dibattito tecnico, ma politico. Le pensioni non sono un lusso, ma un diritto conquistato. Per difenderlo occorre smascherare le false argomentazioni, ma anche lottare per costruire un sistema in cui la ricchezza venga utilizzata per prolungare una vita dignitosa e soddisfacente, e non la giornata lavorativa.
Si tratta di un diritto che ci viene sottratto e quindi di un altro campo di battaglia nella lotta di classe dove, ancora una volta, gli interessi del capitale e del lavoro sono inconciliabili. Una lotta di classe in cui il nemico avanza a ritmo costante e che richiede una risposta decisa da parte nostra, che metta in discussione a livello globale un modello economico che privatizza i profitti e socializza le perdite, e che investe nella distruzione invece che nella cura delle vite. La prossima volta che qualcuno ci parlerà di riformare le pensioni per la sostenibilità, dovremmo rispondere con domande scomode: sostenibilità per chi? Perché non tagliare le spese militari? Perché non tassare chi ha di più? Perché non va tutto per chi produce tutto? Perché non il socialismo-comunismo?