Continua la guerra in Libia. Al via una nuova missione imperialista targata UE (1/2)
Mentre l’attenzione è totalmente rivolta alla pandemia del Coronavirus, continua l’escalation degli eventi bellici nella martoriata Libia, che rimane un teatro di primaria importanza in cui si acutizzano i conflitti d’interesse tra i molteplici protagonisti di una guerra che vede al suo centro il controllo del petrolio e delle riserve di gas, con il pieno coinvolgimento anche dell’imperialismo italiano.
Dalla sanguinosa rimozione di Gheddafi attraverso l’intervento imperialista nel 2011, la Libia non è mai uscita da una guerra civile che vede coinvolte tutte le 140 tribù libiche e diverse centinaia di milizie che si sono formate sul campo, nonostante i (falsi) propositi di pacificazione proclamati ripetutamente dalle organizzazioni e dai centri imperialisti al fine di riprendere adeguati livelli di estrazione del petrolio e la sua esportazione. È proprio sulla spartizione del bottino libico che infuriano le dispute tra centri imperialisti, con il coinvolgimento di potenze regionali sempre più ambiziose che alimentano il conflitto tra le fazioni locali sulla pelle del popolo libico.
La situazione sul campo di battaglia
Un anno fa iniziava l’offensiva del generale Haftar, alla guida del governo di Tobruk (Cirenaica) e dell’”Esercito Nazionale Libico”, sostenuto da Russia, Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Francia. Dopo essersi impossessato dei pozzi petroliferi della Cirenaica e dei porti di Sidra, Ras Lanuf, Brega e Zuetina, da cui partono le petroliere, Haftar ha preso il controllo anche di vaste aree del paese, arrivando a 5Km dal centro della capitale Tripoli, dove rimane asserragliato Al-Serraj alla guida del cosiddetto Governo di Accordo Nazionale (GNA), sostenuto da Turchia, Qatar e Italia e riconosciuto ufficialmente dalla “comunità internazionale” come “unico governo legittimo”. Quest’ultimo conta sul sostegno solo di alcune tribù e di alcune milizie tripoline, di Zitan e, in modo contraddittorio, di quelle di Misurata, ma detiene il controllo della Banca centrale e delle unità navali delle milizie che controllano le città costiere e si definiscono come “Guardia costiera libica”.
Dietro le due fazioni borghesi principali svolgono un ruolo di certo non irrilevante le varie milizie presenti sul campo, molte delle quali cambiano fronte e “nemico” a seconda delle convenienze e di accordi in base a ai loro interessi del momento. Alcune gestiscono i campi di concentramento in cui vengono carcerati, sfruttati e torturati i migranti in transito verso l’Europa, così come controllano anche alcuni pozzi petroliferi, il traffico d’armi, ecc..
L’intervento turco a fianco del governo di Al Serraj, con l’invio di ingenti forniture di armamenti, consiglieri militari e migliaia di mercenari jihadisti siriani, ha mutato le condizioni sul campo di battaglia con l’avvio dell’operazione “Tempesta di Pace”, che ha portato le autorità di Tripoli a dichiarare a fine marzo che la “guerra è estesa su tutta la Libia”, rivendicando di aver “inflitto pesanti perdite alle milizie dell’aggressore, costringendole a tornare indietro”.[1] A testimonianza dell’intensificarsi degli scontri nonostante una “tregua” che è solo di facciata, la battaglia infuria principalmente su un’area, compresa tra la costa mediterranea e un centinaio di chilometri all’interno, che dai confini occidentali della Libia nel settore di Zintan va verso est, passando da Tripoli, Garabulli e Sirte, con offensive e controffensive da parte di entrambe le fazioni su quattro fronti[2], aggiungendo ulteriori vittime alla lunga lista delle migliaia di libici che hanno perso la vita in questo conflitto.
Conferenza di Berlino
Lo scorso 19 gennaio si è tenuta a Berlino l’ennesima conferenza internazionale, dopo quelle di Parigi, Mosca e Palermo, tra le potenze imperialiste coinvolte (Italia, Francia, USA, Regno Unito, Germania, Russia, Cina, UE), le potenze regionali (Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti) e le principali fazioni libiche, ufficialmente per una “soluzione politica del conflitto”. Dietro questa facciata si celano gli obiettivi dei protagonisti di far avanzare gli interessi dei propri monopoli attraverso i rispettivi piani diplomatici che preparano quelli sul piano militare e viceversa. Come le precedenti, anche la Conferenza di Berlino non poteva portare alcuna soluzione a garanzia della pace e stabilità in Libia, ancor meno a garanzia degli interessi del popolo libico e gli esiti pubblicizzati non hanno avuto, infatti, alcun riscontro sul terreno.
I progetti di “cessate il fuoco”, “rispetto dell’embargo sulle armi” o “ritiro delle forze militari straniere”, sono rimasti solo parole di circostanza, non potendo né impedire né cancellare le vere cause del conflitto, cioè la competizione interimperialista per le risorse energetiche, in cui sono coinvolti sia il generale Khalifa Haftar che il primo ministro Fayez al-Sarraj, che, infatti, non hanno firmato il progetto di accordo.
Inoltre, il giorno precedente la Conferenza di Berlino, Haftar ha decretato la chiusura degli oleodotti (bloccando i giacimenti di Sharara, il più grande di Libia, quello di Hamada e anche due gestiti da Eni, quello di El Feel, cioè “l’elefante”, e quello di Bu-Attifel) e dei terminal (tra cui i due maggiori, quello di Sidra e quello di Ras Lanuf), provocando un danno economico che ormai sfiora i quattro miliardi di dollari, secondo quanto stimato dalla compagnia petrolifera libica NOC.
La missione imperialista dell’UE
In questo contesto, lo scorso 1° aprile ha preso il via una nuova operazione navale dell’UE, denominata EUNAVFOR MED “IRINI” formalmente con il pretesto di far rispettare l’embargo ONU sulle armi in Libia con mezzi marittimi, satellitari e aerei, come stabilito dalla Conferenza di Berlino.
La controversa decisione di questa nuova missione militare PSDC (Politica di sicurezza e di difesa comune) da parte del Consiglio Europeo è di per sé rivelatrice della sua natura imperialistica, degli interessi e delle dispute che si celano dietro la facciata “umanitaria” con cui viene presentata “IRINI”, il cui mandato avrà una prima durata fino al 31 marzo 2021, con quartier generale a Roma-Centocelle, sotto comando italiano[3] come la precedente missione europea “SOPHIA”, terminata dopo 5 anni.
Sono significativi, infatti, gli scontri tra gli Stati europei, in particolare tra Francia e Italia, sul comando della missione, ritenuta strategica per il controllo del Mediterraneo, sulle regole d’ingaggio e sulla zona di operatività.
Rispetto a “SOPHIA”, le navi della missione “IRINI” (a cui partecipano l’Italia, la Francia, la Spagna, la Grecia, la Germania e la Finlandia), saranno schierate solo sulla parte orientale della costa libica, tra Egitto e Grecia, a est delle rotte seguite dai migranti in partenza dalla Libia, in modo da evitare ogni “obbligo” di soccorso in mare, lasciando alla famigerata “guardia costiera libica” i compiti di “salvataggio”, ovvero di respingimento e reclusione. Nei rari casi in cui dovesse avvenire un recupero di migranti in mare, la loro destinazione sarà la Grecia e non più l’Italia. Questa è stata una delle controversie più importanti e il governo italiano ha spinto verso questa soluzione, accettata dal governo greco in cambio della soddisfazione di obiettivi geopolitici convergenti e di un importante contributo economico, cioè di una compensazione politica e finanziaria.
La capacità d’intervento della missione sarà limitata al mare. Questo vuol dire che “IRINI” può fermare un carico di armi solo se trasportato via nave, mentre dovrà limitarsi a segnalare gli aerei e i veicoli sospetti senza poterli ispezionare ed eventualmente sequestrare. Questo aspetto ha indispettito non poco le autorità di Tripoli (GNA), il cui Ministro degli Affari Esteri[4] ha denunciato una disparità che favorirebbe le forze del generale Haftar, dato che il rifornimento di armi per il GNA avviene soprattutto via mare, dalla Turchia verso Tripoli, mentre per il governo della Cirenaica avviene per via terrestre, soprattutto dall’Egitto e con ponti aerei dagli Emirati Arabi. Per contro, anche le autorità del GNA hanno conservato la possibilità di utilizzare i migranti come elemento di pressione/negoziazione nei confronti dell’Italia. Come al confine greco-turco, anche in questo caso vediamo come le vittime, sradicate dalle proprie terre dalla barbarie di guerre e depredazione, continuino ad esser usate come merce di scambio nelle trattative e negli antagonismi degli imperialisti.
La definizione della missione risponde quindi a diversi interessi in gioco, anche a rischio di renderla inefficace ai fini dichiarati: l’imperialismo italiano, con la guida della missione, cerca di riguadagnare posizioni nello scacchiere libico non solo nei confronti della Turchia che, col suo coinvolgimento, è divenuta l’alleato più forte del governo di Tripoli e un soggetto “internazionale” con influenza e interessi economici crescenti in Libia, ma anche nei confronti della Francia. Il capitale francese, a sua volta, vuole una diversa spartizione delle concessioni estrattive attraverso il rafforzamento del governo della Cirenaica. La borghesia greca, ottenendo che la missione sia orientata verso il Mediterraneo orientale, cerca di guadagnare posizioni di vantaggio nella contesa con la borghesia turca su questo spazio marittimo, sempre più strategico e ricco di risorse. Il blocco imperialistico dell’UE si presenta, quindi, diviso al suo interno, mentre si rafforza il ruolo di potenze come la Russia e la Turchia che, seppure su fronti opposti, in Libia hanno entrambe interessi in contraddizione con i progetti europei e statunitensi.
Questo quadro, seppur breve e incompleto, smaschera la natura degli intenti di questa missione che, ben lontana dai propositi umanitari annunciati, in uno scenario di aspra concorrenza interimperialista, rappresenta la proiezione sul piano militare, tutt’altro che unanime e condivisa tra gli “alleati”, della competizione tra monopoli capitalistici all’interno della stessa UE, prima fra tutte quella tra l’italiana ENI e la francese TOTAL, nonché della competizione tra l’UE, la Russia, la Turchia e, convitato di pietra, la Cina.
[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2020/03/26/libia-accordo-su-missione-ue-irini_096bb207-74df-441c-a536-26d348e9c88d.html
[2] https://www.analisidifesa.it/2020/04/la-guerra-in-libia-si-allarga-su-quattro-fronti/
[3] Il controllo politico e la direzione strategica saranno invece demandati alle autorità europee, in particolare al cosiddetto comitato politico e di sicurezza (CPS), sotto la responsabilità del Consiglio e dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR).
[4] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2020/04/01/libia-tripoli-irini-avvantaggia-haftar_3304607c-5bd8-4e20-a894-888521cd3fb5.html