Chi governerà la crisi sociale? 2/2
Il lento scivolamento reazionario prepara il contrasto al conflitto sociale
Il secondo grande problema della delega al Governo è avallare nei fatti quel lento scivolamento reazionario della società italiana, che dietro la pretesa di rappresentare l’interesse comune nazionale, sta già mettendo in atto le misure per fronteggiare il dopo. Nulla di tutto ciò che stiamo vedendo in questi giorni è neutrale, nulla scomparirà da un giorno all’altro senza lasciare tracce e abitudini.
Nessuno di noi si sconvolge più per la presenza dei militari nelle stazioni, che da anni sono presenti per la lotta al terrorismo. Eppure solo qualche anno fa una cosa del genere non sarebbe passata inosservata, così come non lo è per cittadini di altri Paesi dove queste misure non sono previste.
Per spiegare le scelte del Governo in tempi di pandemia basta citare alcuni dati di questi giorni. Da Fine febbraio al 9 aprile sono stati effettuati complessivamente 853.369 tamponi per il Covid-19[1]. Dall’11 marzo al 10 aprile il Viminale ha dichiarato che le forze di Polizia hanno controllato complessivamente 6.482.041 persone, 2.680.801 attività commerciali, elevando 238.903 sanzioni personali[2]. Dati in continua crescita quelli dei controlli, stabili quelli dei tamponi. In Italia ci sono circa 60,36 milioni di abitanti. Il peso in percentuale è presto fatto.
La scelta su criteri di prevenzione scelti dice molto. Ad oggi solo l’1,38% della popolazione è stata sottoposta a tampone, mentre circa il 10,7% della popolazione è stato fermato dalle forze di polizia, e meno dello 0,4% è stato sanzionato. Eppure nella visione imperante il problema non è la carenza di tamponi o le misure che costringono milioni di lavoratori impiegati in settori non necessari a continuare ad uscire di casa, ma le violazioni da parte dei cittadini.
Sarebbe anche utile, ma purtroppo impossibile, fare un conto di quante di quelle violazioni siano dovute a lavoratori in nero impossibilitati a fornire giustificativi ma costretti a continuare a lavorare perché esclusi da ogni forma di misura assistenziale del Governo.
In ogni caso la macchina repressiva messa in campo in Italia si sta rodando efficientemente, ed è pronta ad affrontare la vera fase dell’emergenza per le classi dominanti che sarà quella di combattere il conflitto sociale nascente.
Già oggi la carenza di adeguate misure del Governo insieme con il prolungamento delle misure di contenimento sta portando a fenomeni spontanei di rivolte. Nelle fabbriche la mobilitazione dei lavoratori e gli scioperi mettono quotidianamente in discussione le richieste delle aziende, seppure ancora in modo parziale e non legato a livello nazionale e spesso episodico. Nelle periferie si alza la voce di interi settori esclusi da misure assistenziali prive di mezzi di sostentamento adeguato. Ma siamo solo all’inizio, ed è ancora forte l’idea che a prevalere debba essere il contrasto del virus, ma fino a quando?
Sono già diversi i segnali di allarme. Due giorni fa il Ministro dell’Interno Lamorgese ha inviato una circolare ai prefetti nella quale afferma che alle difficoltà delle imprese «potrebbero accompagnarsi gravi tensioni a cui possono fare eco, da un lato, la recrudescenza di tipologie di delittuosità comune e il manifestarsi di focolai di espressione estremistica, dall’altro, il rischio che nelle pieghe dei nuovi bisogni si annidino perniciose opportunità per le organizzazioni criminali»[3]
Singolare, ma non troppo, che il pericolo politico e sindacale venga equiparato dal Ministro dell’Interno a quello delle infiltrazioni della criminalità mafiosa e organizzata, ma assai indicativo sulle modalità con cui l’esecutivo intende liquidare le tensioni sociali.
Da questa crisi usciranno rafforzati gli elementi reazionari e ogni forma di contrasto in chiave repressiva, perché è in gioco la sopravvivenza stessa degli attuali rapporti sociali, con le classi dominanti costrette a richiedere “sacrifici” enormi ai lavoratori.
L’esempio esplicito dell’Ungheria con i pieni poteri ad Orban dimostra che l’Unione Europea, che a parole si fa paladina della democrazia e della libertà, è in realtà terreno privilegiato di coltura di istanze reazionarie, a cui – specialmente nell’Est – ne ha costruito le premesse. Che ciò prenda forme esplicite – come in Ungheria – o si esaurisca in un rafforzamento degli attuali esecutivi, o nella forma di esecutivi di unità nazionale la scelta è solamente nell’individuazione dello strumento più utile che le classi dominanti sceglieranno di utilizzare.
In Italia al momento il consenso di cui gode l’esecutivo nella gestione della crisi non rende utile una prospettiva del genere. L’accentramento di poteri nelle mani del Governo – dai provvedimenti normativi, alla comunicazione diretta – si sposa con un consenso generale. Ma sarà così anche nelle prossime fasi, quando cioè all’emergenza del virus si paleserà in modo sempre maggiore l’emergenza della crisi sociale?
Il disegno del Governo di unità nazionale, con al vertice una personalità riconosciuta internazionalmente come Draghi potrebbe essere la strategia per affrontare la “fase 4”, quella dell’emergenza sociale, quando il conto della salvezza delle classi dominanti sarà presentato ai lavoratori e agli strati popolari.
In questo scenario un esecutivo che abbia al proprio interno il più vasto schieramento di forze parlamentari, impedirebbe le scene di questi giorni, dando quella compattezza esterna per chiedere con maggior forza misure europee di copertura che oggi appaiono negate, e interna per applicare le conseguenze di quelle misure e reprimere il dissenso e la sua organizzazione.
Il potenziale calo di popolarità di un governo costretto a prolungare misure emergenziali e privo di adeguati strumenti per prevenire la rabbia sociale con provvedimenti di sostegno, sarebbe così compensato dalla compattezza del fronte politico istituzionale. Le classi dominanti attueranno questo piano solo se la crisi assumerà proporzioni tali da non poter essere riassorbita nella dialettica tra maggioranze e opposizioni omogenee.
In ogni caso il lento scivolamento reazionario di questi giorni sarà pronto e ben servito per chiunque dovrà utilizzarlo: che siano esecutivi di parte come oggi lo è quello guidato da Conte, che siano governi di unità nazionale come lo sarebbe quello futuro guidato da Draghi o da altra personalità di rilievo internazionale.
Chi governerà la crisi? È questo quindi il tema caldo che pone interi pezzi di potere italiano a spostarsi e premere nella direzione più consona ai loro interessi. Repubblica, Corriere della Sera, Sole 24 Ore, l’intero gruppo Cairo da giorni attraverso i loro mezzi trovano spazio per un soft power in favore dell’unità nazionale. Disegno che spinge a acuire la polemica sull’utilizzo dei media, sulla legittimità dei provvedimenti d’urgenza adottati dal Governo, ma che in realtà non ha nulla a che vedere con i temi presentati, ma solo con la legittimità che tale utilizzo sia fatto da un Governo parziale piuttosto che dal Governo invocato di unità nazionale.
La necessità di organizzare un blocco di classe per affrontare la crisi
Quanto a noi, avere l’ambizione storica di incidere realmente in questa fase, significa trovare il modo di delineare una strategia definita per affrontare la crisi. Una strategia che con alcuni punti fermi, orientati al rovesciamento di questo sistema e facendo leva su contraddizioni materiali immediate, possa unire nel modo più vasto e coerente possibile settori sindacali e politici che oggi sono portatori parziali di questo obiettivo comune.
Si tratta quindi di contrapporre al blocco delle classi dominanti, che governerà la crisi in difesa degli interessi capitalistici, un blocco dei lavoratori e delle classi popolari che sappia collegare le azioni di resistenza inizialmente parziali e anche spontanee, in una direzione che dalla primitiva e semplice opposizione/negazione delle politiche dei governi capitalistici, giunga a mano a mano delineare un proprio programma e una propria visione autonoma di società.
Un obiettivo non da declamare ma da praticare facendolo camminare concretamente, conquistando a questa prospettiva i settori più combattivi delle lotte parziali e le posizioni necessarie nei luoghi di lavoro e in ogni settore della società per darle concretezza e attuabilità. Un piano unitario d’azione tra forze rivoluzionarie e sindacali di classe che possa dare a questo progetto massa fisica e critica, di cui oggi nessuno da solo dispone realmente, che non ha la pretesa di superare d’un colpo questioni teoriche e politiche aperte, ma di mettere quelle non necessarie e attuali in secondo piano rimandandone la discussione a momenti e fasi più avanzate nelle quali queste abbiano una effettiva e determinante importanza, concentrandosi unitariamente sugli obiettivi attuali immediati, pena la condanna all’incapacità totale di incidere in un fase chiave della storia. Un piano d’azione comune, non nuove organizzazioni, perché le questioni esistenti non si annullano, ma si fanno camminare parallelamente alla definizione di un quadro comune nei cui limiti colpire uniti, lavorando nella stessa direzione: utilizzare la crisi per acuire le contraddizioni capitalistiche, organizzare e unire i lavoratori e le classi popolari, controbattere alla propaganda e resistere alla repressione delle classi dominanti, far avanzare nelle lotte parziali una prospettiva anticapitalistica e la necessità della costruzione della società socialista-comunista.
Solo costruendo un blocco popolare coeso e organizzato sarà possibile parlare anche alle classi intermedie, agli strati precipitati verso il basso dalla crisi impedendone la saldatura reazionaria con le classi dominanti. Ma se la classe operaia e gli strati popolari non avranno massa percepibile e visibile, se i loro soggetti politici di riferimento non saranno considerati come autorevoli e capaci in concreto di attuare una trasformazione generale della società, quella saldatura reazionaria sarà inevitabile. Ogni tentativo di evitarla semplicemente modificando le proprie parole d’ordine in un contesto di rapporti di forza sfavorevoli, cedendo sui principi e sulla prospettiva, otterrà l’esito opposto di aiutare a portare consensi tra le classi popolari alle ipotesi reazionarie, prima fra tutte quella che nella difesa esplicita o implicita dell’interesse nazionale, della patria – non in una colonia da liberare, ma in un paese imperialista! – trova da sempre il terreno migliore per allineare i lavoratori dietro false bandiere e spingerli a sposare il disegno delle classi dominanti.
Forse tutto questo non sarà in grado di conquistare quel cambiamento di sistema necessario, perché i rapporti di forza e in particolare l’ememento soggettivo politico-organizzativo, sono del tutto sfavorevoli. Ma potrà comunque avere l’effetto non trascurabile in termini storici, di riaprire nei fatti un’opzione che oggi appare impraticabile. Cosa non accaduta nella crisi del 2008/09 che anzi ha visto morire i residuati della sinistra radicale, sotto il peso delle loro contraddizioni e del loro opportunismo, sprecando un’occasione altrettanto storica.
Tutti gli economisti e gli analisti concordano che l’attuale crisi sarà molto maggiore di quella precedente. Le crisi negli ultimi anni si susseguono e il tratto determinante è che ogni “ripresa” nel nostro Paese non riesce per ragioni strutturali a tornare al punto di partenza della crisi, attestandosi ben più in basso. Le contraddizioni internazionali si amplificano, in lotte che stanno rivolgendo gli equilibri mondiali, con l’egemonia economica, politica e culturale degli Stati Uniti che si riduce.
È tempo di ergersi sopra le questioni di cortile, per vestire appieno i panni del ruolo storico che ci compete.
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[1] https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-italia-news-ultime-notizie-aggiornamenti-9-aprile-AD2tHIJ
[2] https://www.interno.gov.it/it/coronavirus-i-dati-dei-servizi-controllo
[3] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Lamorgese-circolare-ai-prefetti-rischio-gravi-tensioni-presidiare-legalita-possibili-focolai-estremisti-ministra-interno-d2746959-572a-4ae3-81ab-5568dfbf307e.html